Francesco Paolo Frontini (Catania, 6 agosto 1860 – Catania, 26 luglio 1939) è stato un compositore, musicologo e direttore d'orchestra italiano.

«Bisogna far conoscere interamente la vera, la grande anima della nostra terra.
La responsabilità maggiore di questa missione dobbiamo sentirla noi musicisti perchè soltanto nella musica e nel canto noi siciliani sappiamo stemperare il nostro vero sentimento. Ricordatelo». F.P. Frontini

Dedicato al mio bisnonno F. P. Frontini, Maestro di vita. Pietro Rizzo

sabato 17 gennaio 2015

«Scapigliatura Catanese» di Gesualdo Manzella Frontini

Eravamo di quella generazione irrequieta, che aveva esercitato gli spiriti bollenti sotto il Consolato Austriaco, gridando « Viva Trento e Trieste » e cantando l'inno a Oberdan s'era fatta piattonare  dalle daghe dei questurini.

Generazione segnata dal destino per due guerre.
Fu proprio nelle vacanze che precedevano l' ingresso all' Università che il gruppetto iconoclasta sopraggiunto dalle smanie volle concretare la sua azione, confidando ad un giornale tutte le speranze e le certezze di un rinnovamento.
Tre matricole e un paio d'irregolari, e c' era un  anziano studente  di filosofia.
Vacanze torride dell'agosto siciliano, anzi catanese, così che alle scalmane letterarie dava vital nutrimento la calura del lastricato lavico del Corso Stesicoro fluido tra i vapori, e dissolvetesi lontano l' Etna.
Avevamo sulla coscienza tre o quattro giornali letterari e un mucchio di debiti con tutti i tipografi, e scantonavamo con apprensione all'odore dell'antimonio, pur avendo rifilato con dignità e cuor trepido ai genitori le note insolute del nostro primo  assalto  alla  gloria.
Tempi di preparazione e di orientamento verso una cultura più vasta, e d'insofferenza per ciò che andava deteriorandosi del tramontato ottocento. Diane vaghe, con programmi ancora in fieri, ma si attaccava la vecchia cultura e il vecchio mondo.
Le nostre aspirazioni si polarizzavano verso Firenze. Il «Leonardo», Papini, il pragmatismo, le questioni sociali : le distanze ingrandivano i fatti e gli uomini, quaggiù ci sentivamo spaesati e senza destino. I colleghi universitari che ci avevano preceduto di tre o quattro anni si erano composti e addormentati nella polemica Carducci-Rapisardi, che noi consideravamo ormai superata, e ci lasciava indifferenti. 
E infatti deposto il berretto goliardico, s'era visto che di quei propositi audaci non restava che il desiderio di collocarsi, anche a tradire, al canto del gallo.
E quando si era saputo che il Rapisardi lasciava la cattedra si direbbe che si era provato un certo chiuso compiacimento. Del resto la facoltà di lettere era in quel tempo fra le più salde e quotate : 
Carlo Pascal, Ettore Romagnoli, Paolo Savj-Lopez e poi, onore grande per noi letterali, l' assunzione di Luigi Capuana a maestro di stilistica e lessicografia. Una cattedra come un'altra, ma l'orgoglio di poter sentire la parola di uno scrittore vivo e vegeto, che la generosità di un Ministro aveva cercato di strappare alle incertezze di una vita precaria ci strinse attorno al Maestro  benigno e sorridente.
Il « Circolo Artistico » era il nostro covo. Fra gli insegnanti della vigilia liceale, colta gente compassata e tradizionalista, e noi pochi reprobi si stabilirono relazioni di generosa simpatia da quella parte e di ossequio ironico da parte nostra.
Qualcuno di noi aveva già lanciato un volumetto ribelle, fin nel titolo, dai banchi del liceo, « Novissima » semiritmi, con la certezza di far dispiacere ai professori, mentre poi aveva dovuto subire una affettuosa e commossa paternale sulla intemperanza, le imitazioni, gli echi abbondanti ch'erano  nel libro incriminato.

E intanto Giovanni Verga, al quale, arrossendo, facevamo tanto di cappello, passando davanti al « Circolo Unione » aveva propinato l' elisir delle più folli speranze al giovanetto audace, che osava dedicargli un suo volume di novelle anticipato da una prefazione che annunziava il crollo di tutte le tradizioni e di tutte le regole e la rivoluzione più interessata e inesorabile della sintassi. Vale la pena di trascrivere la lettera illuminata dal grande sorriso di quel galantuomo fine e ironico.

Egregio Sig.  Manzella, La  ringrazio del volumetto che ha voluto mandarmi  « per   un   giudizio »   ma io non  mi sento vocazione nè veste di giudice, e men che meno dopo quel po' di roba che dice avanti « ai miei critici ». Senta, per quella simpatia che mi ispira il suo ingegno di cui dà in queste prime novelle una magnifica promessa — glielo dico subito — nelle illusioni dei suoi vent'anni ci son passato anch' io — e anche per la simpatia che Ella mi dimostra dedicandomi una di queste sue novelle, lasci stare i titoli e sottotitoli violenti, le prefazioni gonfie e vuote — ne ho anch'io sulla coscienza — i propositi fatui di rinnovazione e di resurrezione, e lavori, e faccia e rifaccia con gelosa e incontentabile autocritica. Ella è giovane, beato lei, ha dell'ingegno, e può fare. Questo glielo dico un po' bruscamente forse, e forse pei intonarmi allo stile della sua prefazione, ma sinceramente, e badi che non faccio complimenti, e il lieto pronostico che faccio a lei non fo a tutti. Così la mia franchezza anche sgarbata, le si mostra più sincera e le farà piacere. 
Buon augurio a lei  G. Verga.

Figurarsi. Il giovanetto, che slittando sulle sferzate del Maestro, si adagiava, compiaciuto, sulle parole buone, dettate certo dalla cordialità dell' artista arrivato, s'era collocato capo gruppo.
In quella lettera del Verga c'era stato indubbiamente lo zampino del Capuana, che se amava quel trio di scapestrati ribelli, fedelissimi uditori e appassionati delle sue lezioni, di tanto in tanto, se l' occasione si dava, non risparmiava qualche stretta di martinicca.  Tant'è i tempi stringevano e bisognava bruciare le tappe. Il giornale ci voleva.
E una sera, il giovane fu incaricato di redigere un manifesto ch'egli indirizzò « alla gioventù contemporanea e agli artisti giovani». Bisognava parlare chiaro e forte, rompere il sonno agli indolenti, menar le mani, lanciar sassi, non importa se taluno senza indirizzo preciso. Anche a Palermo c' era odor di battaglia. A Messina si era lavorato di lena già qualche anno prima con la rivista « Ars Nova » ove collaboravano giovani preparati solidamente, acuti e aggiornati. Fermento, ch'era in fondo, il sintomo di quella nuova Italia che si annunziava in crescenza portentosa, dopo l'equivoco torpore del passaggio inavvertito del secolo giovane sul vecchio. 
Strabiliati i professori, ch'erano stati chiamati — i nostri vecchi professori del liceo — a fiancheggiare l'opera dei giovani, ma che in realtà avrebbero dovuto, paziente milizia in borghese, impedirci audaci sconfinamenti.
Il manifesto ne uscì stroncato, mutilato, scapitozzato, roba da far pena. Noi ci vendicammo facendone stampare un'edizione ufficiale per tranquillizzare gli spiriti diffidenti di taluni amministratori del « Circolo Artistico » e risparmiare la dignità e l'onorata divisa dei nostri ex-professori; e un'edizione alla macchia che ci affrettammo a lanciare fra gli amici e i conoscenti della Penisola, mentre qualche copia riservata veniva fatta scivolare nelle tasche degli accoliti e dei novizi, che guardavano a noi come a gente di gravi propositi. Il manifesto s'infiorava di simili frasi:
« Parta dalla terra del sole, dalla città ardita sotto l'incubo del minaccioso possente ubero di fuoco, o fratelli giovani, dispersi fra le ruine d' Italia, la voce di rinnovamento»; affermava la necessità di « risvegliare le virtù della razza » e si proponeva « senza preconcetti, scuole, formalismi, di seguire l' istinto vergine da ogni tocco d'imitazione». «Noi siamo la vita e il futuro, oltre ogni teoria per un fine di rinnovamento: noi  rechiamo in noi l'avvenire».
A Luigi Capuana fu fatto leggere il manifesto stampato alla macchia, l'edizione integrale. 
Il Maestro parve perplesso. Forse in cuor suo si doleva di talune contingenze di carattere pratico, per le quali non aveva accettato la direzione del periodico «Critica ed Arte», che poi durò un anno e che nell'ordinamento e nel carattere programmatico, specie nei primi numeri, fu il giornale più aderente alla famiglia di cui era il rappresentante : disaccordo dichiarato, profondo, congenito, simpaticamente incongruente. Atteggiamenti e pezzi prefuturisti fra articoli e novelle barboge, talvolta  mattoni   eruditamente  deprimenti,  poesie di Tommaso Cannizzaro e folgorazioni  stellari del Marinetti.
Frattanto, era nata la « Voce » e con più scaltri aggiornamenti e con più diretti contatti si aggrediva da ogni parte la resistenza passiva dei detentori di quella cultura che si esauriva in sè stessa, senza mete, senza ideali. Per qualcuno di noi però tutto ciò aveva importanza fino ad un certo punto, che ritenevamo 1' arte dovesse rimorchiare o almeno aprire la via alla politica, e non farsi rimorchiare.  Il giornale era morto.
Ed ecco improvviso sul nostro cielo teso nella stanchezza, grave sui nostri spiriti (propositi di evasione scoppiavano qua e là definitivi) guizzare un giorno il fulmine futurista. Marinetti da Parigi lanciava il suo Manifesto e voleva uccidere il chiaro di luna.
Quella sera ci trovammo tutti, e l'autore dell' appello « alla gioventù contemporanea e agli artisti giovani » ebbe il suo quarto d' ora di rivincita. Sembravamo impazziti. Conoscevamo Marinetti. Egli faceva sul serio, e chiedemmo d'essere con lui e ci affidammo alla sua sapienza tattica e al suo impeto, che ci sapeva del vulcano poderoso, il quale avevamo chiamato a testimonio delle nostre intenzioni e del nostro programma distruttivo. Marinetti rispose con una lettera, che oggi ha un interesse documentario, che narra un programma realizzatosi nella storia.
« Caro Collega, ho trovato nel vostro invito agli artisti giovani e alla gioventù contemporanea un fervido e magnifico grido di riscossa, genialmente lanciato alle forze virili della letteratura, perchè esse si manifestino « senza scuole, preconcetti e formule, seguendo l'impulso vergine d' ogni tocco di imitazione » : questo è infatti uno degl'impulsi che hanno prodotto il nostro Movimento Futurista, ma non la sua essenza distruttiva e ascensionale, che non abbiamo inventata nè voi, nè io, come nessuno ha inventato — permettetemi lo scherzo — le instancabili forze vulcaniche che screpolano la vostra Isola divina. Io  mi sono accontentato di dare la formula esplosiva e incendiaria di un ammasso di sorde rivolte, di nause profonde, di disgusti feroci contro il culto del passato, l'impero dei morti, la tirannia dei professori, dei politicanti astuti, pacifisti e conservatori. Il futurismo non è altro che una parola facile e leggera da sventolate dovunque il genio creativo trionferà delle strettoie scolastiche, dovunque il sangue irruente sarà sparso prodigalmente per una idea ; dovunque si lotterà senza paura per distruggere quotidianamente tutto ciò che agonizza in noi, per meglio abbracciare l'irruente futuro. Senza paura, dico, senza guardarci alle spalle, camminare, correre velocissimamente nella polvere  dispersa dei nostri morti. Senza paura, dico, poiché l'Italia è disgraziatamente ancora un paese di vigliacchi, di uomini seduti in poltrona a sognare, o a collezionare francobolli. Disprezzo del passato, libertà assoluta a tutte le follie, a tutte le ebbrezze del sangue ; tutti i diritti alla gioventù, e, ai vecchi, soltanto quello di morire. Ecco il programma che il nostro sangue c' impone ! La guerra, presto ! Domani, speriamo; contro l'Austria, naturalmente, poichè da tempo siamo infastiditi dalle sue insolenti gomitate!... La guerra, poichè tutto infradicia, si avvilisce e si mummifica nella pace!... La guerra, con la immensa fiammata d'entusiasmo, di disinteresse e di eroismo, coi suoi crolli, con le sue rovine, con la sua congerie di prudenze calpestate, di legami infranti, di esistenze capovolte. Futurismo vuol dire ancora : liberazione dai rancidi sentimentalismi che appestano la letteratura, liberazione dalla tirannia dell'amore, che schiaccia e  falcia  le  migliori  forze  dei  popoli  latini.
Come vedete, nulla ho inventato: ho semplicemente espresso in una forma violenta le idee che ribollono nella migliore parte della gioventù italiana. In Italia, dove non si fa, ahimè, che del personalismo, disprezzando i pensieri degli uomini, per non giudicarne che le facce, gli abiti, e la borsa, il Futurismo fu accolto da un uragano di insolenze, accusato di bluf, di reclamismo ad oltranza. In Francia, invece, in Inghilterra, nell'America del Nord e nel Giappone il Futurismo fu salutato da una salve di applausi, suscitando discussioni e controversie che ne assicurano ormai il trionfo. Questo tenevo a dirvi, caro collega, per la simpatia che io nutro per il vostro ingegno novatore, e per le alte idealità che ci sono comuni. Vostro  Marinetti
Prima di questa lettera c'era stato un momento di perplessità avvilita, ma poi vinse in noi l'impetuoso temperamento siciliano. E cominciò lo scambio ininterrotto torrenziale di corrispondenza fra il giovane e l'Apostolo.
Catania   divenne   stazione collegata d'irradiazione futurista. I bombardamenti marinettiani esaltanti l'originalità l'ingegno il coraggio dell'isolano seguivano   agli   articoli   a  catena,  che  dal quotidiano della città spazzavano finalmente, lanciati a serie, l'aria morta e suscitavano curiosità; interesse, irrisione  e  perfino  un duello. Cari giorni indimenticabili in cui si viveva per mille, nella illusione di vedere crollare il vecchio mondo fra le convulsioni. 
E all'Università che cosa avveniva?
Molti  colleghi   vollero  dignitosamente  dimostrare il   disappunto,   fischiando   il   Futurista, e furono battuti dal  gruppo esiguo, e non soltanto metaforicamente. Marinetti prometteva una sua prossima visita :  bastava  questo per esaltare il collega lontano  —  che  fra  l'altro anche gli amici si dissipavano:   la   vita   diventava   impossibile.   Questo mio   vecchio popolo catanese, satrapo di tante civiltà, esperiente e ironico, quando non esalta irride. Ma era bello restar solo, disdegnoso: adorno zavorra. E finalmente scoppiò l'ultima bomba che sconvolse molte posizioni avversarie.
Il propagandista instancabile,  che attendeva la visita della pattuglia futurista nel suo paese, ov'era quasi solo a difendere,  sentinella  morta,  il movimento, osò una sortita in campo nemico con un audace mossa tattica, servendosi di un mascheramento, che proteggeva moralmente  l'avanzata.
Si era pubblicato allora allora  «l'Incendiario » del Palazzeschi,  ed ecco sulla terza pagina del quotidiano un articolo dedicato a «Luigi Capuana, sempre giovane» .  Il Maestro aveva infatti talune idee personalissime sulla funzione stimolatrice e quasi  precorritrice  della critica.
Pochi giorni dopo con grande meraviglia dello stesso autore dell'articolo, perveniva al giornale, col nulla osta per la pubblicazione, la lettera che pubblichiamo, quasi integralmente, e della quale il Marinetti fu entusiasta.

« Caro Manzella Frontini. Voi lusingate gentilmente la mia vanità chiamandomi in pubblico «sempre giovane». Grazie. Mi avete fatto ricordare di quando ero giovane davvero e un po' ribelle, come e quanto poteva permettermelo la mia indole tranquilla, alquanto scettica nonostante gli entusiasmi che mi spingevano a lavorare. Se ora l'età mi consiglia di tenermi in disparte, il ribelle di di una volta si compiace però di stare a guardare e ad ascoltare quel che fanno e dicono i giovani vostri pari; e soltanto il timore di sembrare ridicolo, come tutti i vecchi che hanno la velleità di mostrarsi galanti a dispetto degli anni, m'impedisce di mescolarmi alle vostre discussioni e di manifestare quel che penso intorno alle opere, versi e prosa, che le traducano in fatto.
Ma nell'intimità di questa lettera di ringraziamento posso prendermi la libertà di dirvi che la notevole spiegabilissima esagerazione del loro programma non m'impedisce di approvare nel giusto valore i Futuristi. Se avessi cinquant'anni di  meno,   mi  dichiarerei  uno  di  loro.
E evidente che essi chiedono cento per ottenere almeno venti ! Sono giovani di grande ingegno: e se fanno un po' di chiasso, questo dimostra  che intendono il  loro  tempo.
In un certo modo il Manifesto del Futurismo mi sembra una fierissima satira al pubblico distratto e alla pedanteria che vorrebbe continuare a baloccarlo con le vecchie formule retoriche, classiche o romantiche, non significa niente. 
Che Marinetti e i suoi amici siano dei matti da legare è tale enorme sciocchezza da non potersi attribuire saviamente neppure ai loro oppositori, Marinetti è un raro poeta, un fortissimo artista. Chi ha scritto « Roi Bombance » e « La ville Charnelle » dev'essere preso molto sul serio.
Buzzi, Cavacchioli, De Maria, Palazzeschi e gli altri, chi più chi meno, han dimostrato di voler tentare nuove vie, e fan prevedere che, presto o tardi, sbarazzandosi facilmente dell'esuberanza - chiamiamola così - giovanile, daranno geniali e notevoli frutti di arte elevata e sincera.
So che Marinetti e i suoi apostoli verranno a Palermo e, forse, a Catania. Credo che da noi non avverrà la indecente gazzarra di Napoli e di altri posti. 
Chi non combatte idee e uomini per partito preso, dovrebbe cavarsi il cappello davanti a questi coraggiosi giovani che hanno cultura ed ingegno da vendere. E, dopo tutto questo, lasciatemi invidiare la vostra  reale giovinezza.
Cordialissimi  saluti dal vostro
Aff.mo  Luigi  Capuana

Lo sbaraglio fu completo fra gli universitari, la vittoria passò ingagliardendo i tiepidi e convinse perfino coloro che per temperamento non avrebbero mai piegato il capo carico di morte formole  e  di sorpassati pregiudizi. La lettera del Capuana fu riprodotta dal Marinetti in migliaia di esemplari e divulgata in tutto il mondo.
Il lievito spirituale di quel movimento già dava sul suolo di Tripoli quella prodigiosa fermentazione, che sarà più tardi evidentissima nella falange del  volontarismo futurista del  '15.
G. Manzella Frontini

* Tratto da Catania rivista del comune 1955 - articolo gentilmente offerto da Teodoro Reale.