Francesco Paolo Frontini (Catania, 6 agosto 1860 – Catania, 26 luglio 1939) è stato un compositore, musicologo e direttore d'orchestra italiano.

«Bisogna far conoscere interamente la vera, la grande anima della nostra terra.
La responsabilità maggiore di questa missione dobbiamo sentirla noi musicisti perchè soltanto nella musica e nel canto noi siciliani sappiamo stemperare il nostro vero sentimento. Ricordatelo». F.P. Frontini

Dedicato al mio bisnonno F. P. Frontini, Maestro di vita. Pietro Rizzo

martedì 19 gennaio 2016

Biografia di Domenico Tempio - Vincenzo Percolla ed. 1867

"Me non nato a percotere Le dure illustri porte, Nudo accorrà, ma libero Il regno della morte. Nò , ricchezze, nè onore Con frode o con viltà, Il secol venditore Mercar non mi vedrà".
PARINI


Domenico Tempio (Catania22 agosto 1750 – Catania4 febbraio 1821)



Chi sei ? chi fosti ?
Chi giudicar ti può? Qual fia la lode Degna di te ?


Il Tempio è famoso fra quanti vati illustrarono l'alloro nel sicolo dialetto.
Egli nasceva in una terra ove tutto è poesia : nasceva nella metà  del  secolo decimottavo in Catania, culla di grandi Uomini e di quel Cigno  peregrino i cui canti melodiosi avranno un eco in ogni cuore finché il sole starà. Sin dall'infanzia mostrò  esser dotato di un' anima focosa e concitata, e divenne il fanciullo più frugolino del suo vicinato. Crebbe;   ed il padre attese con tenera   diligenza a farlo  compiutamente istruire. Il giovinetto faceva  inarcar  le ciglia di stupore a'più schifi — Crebbe ancora—e negli studii più serii sfrenavasi ad un volo d' aquila sovra gli altri : apprese le lettere latine ed italiane, rettorica, filosofia ed i primi elementi delle scienze esatte con tale alacrità e discernimento da non temer paragone. Vero  è che  a'suoi dì qualche nube  della prisca barbarie aggravavasi tuttavia, qual massa di piombo, sulle menti d' alcuni de' nostri ; ma pure era sempre il secolo di Giangiacomo , di Montesquieu , di Voltaire , di Filangieri , di Beccaria, di Romagnosi, di Parini , di Foscolo , di Monti e di Botta — astri luminosi dell' alba d' un giorno novello ed avventuroso !.. ed una sola scintilla dell' immensa lor luce poteva sciogliere e dissipare pe' quattro venti la ruggine di cento secoli ; poteva diffondere il baleno della folgore sulle, tenebre più dense ed impermeabili della credula antichità.
Ed egli, imberbe ancora , apostatando il pessimo insegnamento, canonizzato dal prestigio della longeva ignoranza , quasi leone che da vecchia catena si sferri, seppe correre dietro il genio filosofico di quel secolo rigeneratore ; e lo seguì con maggior lena rinvigorito poi dall' esempio e dalla voce dell' immortal Ventimiglia e del Biscari , che , chiamando alla sant' opera il De Cosmis, il Gambino ed altri, gittarono le fondamenta d'un immenso e sublime Santuario, dove arder dovesse perenne, come il fuoco di Vesta , la face del vero sapere ; il quale, indi a non molto, dovea ripurgare delle passate scorie gl'intelletti del popolo, e richiamarli a novelli e migliori destini.
Fra tante belle conoscenze  due cose trassero a sé singolarmente il giovine Tempio : la storia e la poesia. Egli accoppiava  con bel nodo Livio ad Orazio , Tacito a Giovenale , Ovidio a Rollin, Virgilio  a  Goguet ,al Varchi, al Guicciardini, al Machiavelli. Ma quando meditò sulla Divina Commedia e sulla Gerusalemme Liberata ; quando scorse 1' Orlando Furioso ed . il Canzoniere del Cantore di Laura, oh allora vide di che poteva esser egli capace; e sentì che un torrente d'imagini gli corse ratto per le vie del cuore e della fantasia , e sentì che le sue fibra oscillavano commos se. Il Vate! egli tosto esclamò — oh il Vate   è l' eco pella voce di Dio ! — il Vate , come in una fonte d'acqua lustrale, può tergere e ripulire i costumi di un popolo ! !

Il padre volle opporsi a questa sua nobile vocazione con volerlo per sempre  dannato al penoso   studio della giurisprudenza: triste e comune sorte di quasi la più parte de'poeti più insigni ! — Ma il nostro Domenico si sarebbe contentato di stare inceppato piuttosto in una galea al   remo,   che rassegnarsi a quel cenno paterno : e difatti anziché dilombarsi curvo sulle polverose glosse del gelido Accursio, egli leggeva di celato il sommo Alighieri ed il Tasso. Talora   voleva esercitarsi aringando, come a pien popolo, o innanzi a Magistrati e trovava d'avere invece tradotto, senza avvedersene , un' egloga di Virgilio, un'ode del Venosino.   Sdegnatosi impertanto con se medesimo, sforzavasi risolutamente di dar sempre il bando alle muse;  e ad ogni istante gli rigurgitavano nel cuore rime e d'ogni maniera versi— e   gli   sgorgavano indi incessantemente dal labbro. Sì, egli  era   tradito dal suo genio : egli era Poeta  nato !  Ma  le  impressioni che aprivano  la sua  fantasia a quei   siffatti  slanci , non erano gli spiriti e i nani malefici, non gli spettri e le anime dannate , come suole ne' giovani. ma erano quelle della stessa natura ; erano le bellezze del mondo   esteriore ;   erano le scene   che   appresentano magnificamente il cielo , la terra ed il mare. Né potea rincontrarsi in oggetto della creazione senza sentirsi un interno guizzo di vene, senza inebbriarsi d'una gioia secreta, che l'invogliava ad ardue cose e gli suggeriva ad un tempo l'idea e la nota. Gli astri, gli alberi, le pianure , i colli, gli uomini, i monumenti avevan per lui una favella da pochi intesa ,   da nessuno udita.  In   essi  leggeva le speranze   d'una vita-avvenire, le sventure e le glorie d'un tempo che fu, i fasti ed i rovesci de' secoli — e il presente , e il futuro, e l'ispirazione, e l'armonia, e l'amore e Dio — Dio ch' è di tutte   cose  spirituali e corporee , domestiche e civili , profane e sacre alto ed   unico fondamento e sorgente.
Egli era dunque preso delle bellezze della natura obbiettiva ; n' era il pittore — n' era il cantore, ed in esse scopriva nuovi tesori poetici. Egli avea letto i classici ; e credendo d'imitarne le bellezze , creava anche da sé; s'ingegnava di ritrarre da'classici, perchè allora non era sorta questa moderna scuola che, scimiando dagli oltramontani , ha inaridito le sorgenti del vero bello , ed ha l'oro al fango sacrilegamente rimestato.
Ma poche furono le delizie della sua giovinezza. Giunse il tempo del disinganno doloroso della vita, e tutto gli parve cambiar di colore sotto il suo sguardo? stato abbastanza illuso : gli cadde la benda dagli occhi, e tosto s'accorse come dalla perfìdia degli uomini nasca quell' amara solitudine di cuore che ti rende misantropo. Allora quest'immenso teatro di maraviglie che ne circonda , più non valse a sedurlo gran fatto ; nel cielo più non mirò che un orribile campo di fiere tempeste ; nella terra non udì che gemiti e grida disperate ; nelle acque non trovò che marosi , naufragi e morte.
Ogni oggetto della natura perdette il suo primiero incanto — tutto tornò muto, freddo, nudo senza quelle foglie d'oro da cui era stato orpellato : da ciò una vita tutta privata e diffidente; un'esistenza più concentrata e solitaria — e l'anima dissugata, rannicchiandosi in sé stessa , non cominciò a pascersi che di cupe meditazioni. Piegò lo sguardo al suo secolo, e che vide? — vide la tirannide in seggio — vide l'idra feudale, non ancora abbatutta , saettar dalle fauci le sue lingue trisulci ed insanguinate, e guatar minacciosa e furente ; vide le leggi guerce, senza nerbo, in duplice linguaggio , e quasi sempre in gergo ; la libertà civile compressa , e divenuta un vocabolo senza realità di concetto ; le distinzioni di razza e di sangue dominanti oltremodo, come se i Baroni fossero preadamiti o non isfognassero egualmente dalla comun madre ; vide il popolo, perchè ignorante e senza esistenza politica , soperchiato dalla miseria e da' potenti : il bene pubblico fatto patrimonio esclusivo di alcuni soli voracissimi ; l' industria smessa affatto ; il vizio infame insignito d' onori e premi mal tolti e venali ; la virtù iniquamente bestemmiata. Ah sì, queste furono le condizioni in che Tempio dovette vivere — se non che la luce del buon insegnamento veniva a poco a poco rischiarando le nubi dell'ignoranza e molcendo di salutifero balsamo le comuni piaghe inasprite.

Egli n'ebbe l'anima vivamente commossa;   quindi sin d'allora non vagheggiò che un pensiero—quello di giovare dell'ingegno la patria ,   poiché ogni altro argomento gli era vano. Ma qual via doveva  egli tenere ? — porsi a scranna  e dettare alteramente  pre-cetti di morale e di virtù? svolger massime filosofiche in prò del ben pubblico e contro il vizio ?  Mai no : egli sapeva che tante volte gl' Istitutori delle cattedre non fanno che dire e gridare al deserto ; egli sapeva che i migliori libri non sono neanche scartabellati — Ma come dunque riuscir nell'intento? Col solo diletto — col poetare. Tolse a guida Flacco ed Aristofane — Esopo ed Anacreonte — Borni e Luciano, ed eccolo divenuto poeta civile —poeta nazionale. Pinse  al vivo nella  sua lingua vernacola il carattere , i costumi, i pregiudizii, le magagne  del   suo paese ; e ruzzando e ridendo svergheggiò acremente il vizio e la prepotenza ;  rese un diadema   di venerazione alla  povera virtù: turò il simulato labbro alla vile calunnia, profferse tributo di laude alla voce del Saggio, che tante fiate è derisa.
E sebbene il più delle sue opere da vane giullerie abbia pigliato materia ; sebbene gli argomenti da cui trae cagione di scrivere, non siano che alcuni casi ed aneddoti dappoco e sterilissimi , pure è colà che tu ammiri il suo genio impareggiabile , la sua immaginazione feconda , il suo estro poetico vivificante , la sua originalità ne'pensieri, nello stile e nel vezzo di berteggiare tutto suo ; è colà che rinvieni tanti eletti fiori dì filosofia e di morale sparsi e serrati in mezzo al fitto d' una messe di serio e di giocoso, d'eroico, di burlesco e di mordacità a bello studio gaia e bicipite, che sorprende e diletta, come nelle opere più gustose e venuste de' latini e de' greci. Ma qui pure i suoi versi ricchi di frizzi e di bei motti scorrono talvolta tinti da una vena di bile magnanima, che stringeva da gran pezza le viscere del vate; ed anziché appalesarti un' anima spensierata e folleggiante, ti rivela un genio indomito per dispetto ed estremamente irritato e quasi presso a consumare sè stesso. Nella sua poesia dunque sta tutta accolta la storia del suo cuore , delle sue passioni . de'suoi patimenti , delle sue speranze : ma sempre vi campeggia tuttavia la natura fisica, che fa spesso germogliare in lui gli ardimentosi concetti; egli non pensa e non sente che a seconda le idee esterne che gli entran per gli occhi. Di bellezze morali non è già scevro , ma le fisiche lo prendono maggiormente. Il creato si è aperto a' suoi piedi ; egli vi si slancia, lo percorre ... ed osserva, dipinge e canta versando , come da inesausta fonte , poesia, critica, popolarità, sarcasmi, amore, entusiasmo e derisione ; canta stampando ovunque le orme del suo Genio creatore. Vero è che nelle sue poesie sono scurrilità e lascivie: ma egli è forse peccato il mescer talvolta (per dirla con Flacco) stultitiam con-sitiis brevem?—E poi non è per insozzarci di quelle lordure ch' egli le mette in mostra : è solo perchè dalle turpitudini altrui l'animo nostro rifugga, ed al vivere onesto si componga.
Le composizioni del Tempio sono di vario genere, di vario metro, di vario colore. Trattò l'ode, l'anacreontica, il ditirambo, l'idillio, l'apologo, l'epitalamio, il dramma, il poema e tutto trattò : percorse tutti i metri — toccò tutte le corde. E qui è piano e festevole—là è satirico e maestro di frizzi ; qui franco , elevato e serio — là dolce ed amabile: qui brioso e lascivetto —là cantore e pittore: o per dir meglio ora è Virgilio ed ora Flacco—quando Teocrito e quando Berni—ora Aristofane ed ora Redi-ora Tasso ed ora Lucrezio. Oh davvero ch'egli era poeta
per eccellenza ! !
Ma vediamolo col fatto ; gustiamo a reciso qualche brano delle sue opere. Ecco il principio di un' Ode saffica sopra la necessità origine d'ogni bene, ch'è una bella imitazione dell' ode di Orazio — Iam satis terris nivis ec.

Ccu tirrimoti, strepiti e ruini 
Focu a li mini dunanu li trona, ; 
Lenta è la zona, e di lu celu rutti 
Su l' aquidutti. 
Giovi sdignatu fremi furibunnu, 
Voli lu munnu subbissari sanu , 
Ed a dui manu scarrica saitti 
'Ntra li suffitti. 
Eulu tutti scatinau li venti, 
Nè foru lenti , già pri l' aria sparsi, 
Feri a truzzarsi 'ntra li soi cuntrasti 
Comu li crasti. 
Lu gran Nettunu furiusu arraggia 
Contra la spiaggia , e lu marinu sali 
Va'ntra sipali, e pri la lunga praja 
Sborrica raja. 
Gonfiu Simetu li campagni scupa, 
Casi sdirrupa, gnuttica paghiara, 
E li massara , comu li larunchi, 
Natanu unchi. 
Cala Dittainu, e comu avissi sennu, 
(Giovi dicennu, iu non ci accunsentu) 
Va viulentu, e arrobba a li vicini 
Porci e gaddini. 
Dà Gurnalonga ad iddu , chi si unisci, 
Di petri lisci lu tributu,, qnannu 
Jungi, tirannu scanni, vanchi e tauli 
Pipi a li cauli !
Lu Judiceddu suttirraniu sbraca
Ogni ccruaca, e pr'unni curri e. passa 
Prijnchi, e scassa ccu lu so futuri 
Li sepulturi. 
Tutti li morti 'ntra la lorda scuma 
Natanu 'nsuma , e cui non sa natari, 
Non c'è chi fari, chi annijatu resta 
Da la timpesta.

Se non fosse per tema di riuscir troppo lungo, vorrei qui trascriver per intero questa bellissima ode saffica , in cui risplendono tutti i pregi d' una poesia veramente originale. Ma dal poco che qui ho recato , può ciascuno veder di che tempra siano codesti versi Tempiani, i quali portano in sé stessi l' impronta del genio. Queste prime strofe sono altrettante perle. Il Viceré Caraccioli se le faceva ripetere spesso dall'Arciprete Scrina, come cosa oltremodo pregevole ; e Saverio Mattei, il traduttore de'Salmi , non sapeva ristarsi dal leggerle di sovente e declamarle.
Né men belli per freschezza e novità d'immagini sono a stimarsi i due Ditirambi sul vino, de'quali uno ha molte belle imitazioni del Bacco in Toscana di Redi,  il primo comincia così :

Era la notti e già faceva scuru ; 
Ed ogni armali o sia di pinna o pilu 
A lu so nidu, o 'ntra lu jazzu duru 
Aggiuccatu durmeva , e facia chitu , 
Quannu Varvazza succidu ed impuru 
Pri la sudura. chi scurreva a filu, 
Doppu aviri durmutu una jurnata 
Si susi , e fa una longa pisciazzata

Nel secondo Ditirambo si hanno molte bellezze poetiche in diverso metro, ch'io qui tralascio per brevità Ne' Drammi poi e ne' Dialoghi il nostro Tempio ha fatto rivivere Aristofane,   Nel poemetto — Lu  Veru Piaciri — riluce una vivacità di colorito , che solo l'arte d'un diligente pennello poetico può dare. Nei-1' Ode Li Vasuni ha tutta la grazia , il brio e la delicatezza d' Anacreonte. Nelle favole ha tutta l' ingenuità di La-Fontaine e le grazie del Passeroni; e seno fra esse da ricordarsi come scelte : Lu Sdegnu, — La Superbia— La Faccitosta ed altre poche.
Nè alle poesie messe a stampa van di sotto per numero o per pregio le cose inedite ; le quali se più eleganti o più immaginose, se più nuove o più terse siano delle prime , non è facile giudicare. Sono fra esse dialoghi , canzoni , drammi e sonetti italiani e vernacoli, che ogni buon poeta stimerebbe un gran bene poterli dir suoi. È però rincrescevole che molti di questi componimenti, per le lascivie onde son lorde , non potranno veder mai la luce del giorno; sebbene l'autore non abbia tralasciato di cavar sempre da esse utilità morali ; e lo dice in aperto egli stesso:

Scrivu chi sunnu l' omini,
E fazzu a la morali
Di lu presenti seculu
Processi criminali. 
A quali signu arrivanu
Mia musa si proponi
Dirvi li brutti vizii
E la corruzioni ; 
Chi di la Culpa laidi
Tanti l' aspetti sunu,
Chi basta sulu pingirla
Per abborrirla ognunu.


Ma le ali del genio di lui non potevano raccogliersi così tosto lassù dove sale la più parte de'vati paghi dello scarso favor delle Muse ad essi impartito, e stanchi dell'altalena durata. No; egli qual aquila peregrina, poteva animoso slanciarsi in una plaga più sublime , poteva spaziare pel firmamento , varcare gli spazi infiniti delle sfere, e furando la fiamma di co-lassù , scuotere il mondo di maraviglia e d' ammirazione. E venne l'ora: e che aspetti? gli disse il genio — Scrivi e crea : egli scrisse , e creò un gran poema , la Carestia : il cui soggetto è la sommossa popolare seguìta in  Catania nel 1798 per le dolorose conseguenze della carestia di quell' anno. È qui da notare che quel poema non fu dapprima fatto a bello studio e con proposito, ma quasi di repente nato nel-1' occasione ch' egli scriveva una lirica a Nice sul cen-nato argomento. Scelse perciò il metro settenario col suo sdrucciolo alternato, proprio delle brevi composizioni di questo genere ; ma da che vide l'autore crescere mano mano il suo componimento, pensò , per non perdere il già fatto, di andare innanzi senz' altro e distendere tutti quei casi del tumulto, come gli capitavano a mente. Se è così , com' è verissimo , egli fece d' uno zipolo una lancia, come suol dirsi : ed oh le singolari bellezze che per ogni canto, per ogni strofe della sublime epopea rincontransi!. Sicché ben alta è la venerazione che la patria tributa alla Carestia del nostro Vate. Egli meritava di già una corona d' alloro per le sue rime : ma i venti canti del suo Poema son tuttavia altrettanti raggi di gloria pe'quali egli immensamente rifulge.
Tempio, scriveva il Prof. Longo , è il poeta della ragione, della filosofia, dell'immaginazione ; e ciò non pertanto è il Poeta del suo tempo e del suo paese. Egli fa servire le sue cognizioni storiche, filosofiche, politiche a dipingere gli uomini quali sono in sé stessi, co'loro vizi, colle loro virtù, secondo lo stato dei lumi e della civiltà e secondo l'educazione buona o rea, ricevuta nella puerizia, e l'istruzione grossolana o raffinata, propria, di ciascun ceto e di ciascuna condizione di persone. Tempio è il pittore degli uomini e de' costumi del suo tempo : voi nelle sue composizioni avete, la storia del suo paese , la storia di lui medesimo. I suoi argomenti non trattano che soggetti peculiari, non tramandano che avvenimenti, che aneddoti del suolo che lo vide nascere, e ch' egli sembra non avere abbandonato giammai. Che miglior cosa de'suoi Ditirambi? che cosa più animata, più graziosa , più piccante de' suoi Drammi ? — Che cosa più ardita , più pittoresca della sua ode saffica : La Necessità origine d'ogni bene? che maggior varietà ne'suoi poemetti ? che più vasto soggetto della sua Carestia-poema nazionale, poema che non è né classico né romantico , poema indefinibile , poema della più ardua difficoltà, poema ch'è nel tempo stesso epico, lirico, comico, allegorico e satirico?.


Il nostro Poeta visse  quasi nella solitudine.
Come appena s' avvide a quante bassezze ed a quanti pericoli conduca sovente il vivere in seno all' umana società , volontariamente si ritrasse dal consorzio degli uomini per menare un vivere più tranquillo e sicuro fra le sue mura domestiche. La sua vita civile quindi non presenta nessuna circostanza notevole: egli non ambì cariche ed onori ; visse con le sue poche fortune , e quasi dimentico de' raggiri di questo basso mondo. Non usciva di casa che rarissime volte , passando gran parte de' suoi giorni fra un crocchio di veri amici, che ne apprezzavano l'ingegno ed il merito : ed era fra essi ch' egli, ne' luoghi di ritrovo , dando spesso, per loro inchiesta, libero sfogo alla sua infiammata fantasia , creava quelle sue portentose liriche— Ebbe a lottare con l'avversa fortuna; e negli ultimi anni di sua vita si trovò in tali strettezze, che gli amici (siccome era debito loro) ebbero a soccorrerlo con una mensile contribuzione, sebbene egli fruisse altresì di parecchi assegnamenti vitalizii sulla Mensa Vescovile e sul patrimonio del Municipio. L'amicizia e la gratitudine furono da lui come cose
celesti venerate. Amico de' dotti e de' grandi del suo tempo , il merito vero di essi lodò ne' suoi Canti; ma non fu adulatore giammai ;  perchè  il poetico fuoco nell'adulazione si spegne, quasi face ell'onda. Fu marito e padre tenerissimo; fu cittadino integerrimo, e non aspirò che alla libertà della patria.
Era di complessione piuttosto vigorosa e d'alta statura ; chiaro e schietto di cuore e d' un carattere un pò sentito : il suo volto era notevole per una cert'aria di nobile gravità , che imponeva il rispetto e la confidenza : ma nel suo sguardo acutissimo dinotava un ingegno prepotente — un ingegno capace di Usare lo splendore de'cieli e le maraviglie della terra senza smarrirsi o titubare. Era lo sguardo del poeta che infoca la musa, come per leggere nel futuro.

 Il giorno 4 Febbraio del 1821 fu quello in cui l'anima  dell' ispiralo Tempio passò a sfera migliore ; e con lui,   starei per  dire ,   s'estinse  la nostra musa vernacola. La sua salma ebbe, sepoltura nella Chiesa di S. Giov. Battista: ma non un monumento che faccia a' posteri onorevole ricordanza del suo gran nome. Questo è il destino a cui gli uomini   ingrati   dannarono sempre la memoria de'Grandi. Ma tu, o Catania vetusta, madre di Eroi, madre  di sovrani intelletti, placa le Ombre degl' Illustri tuoi figli ! Onora il nome di Domenico Tempio, che per te è nome di gloria. Leva tra'lauri ed i trofei che li mercano riverenza dovunque, il simulacro al tuo gran Vate — al tuo Dante ! e ne avrai plauso altissimo non che dall' Italia , dalle più culte Nazioni del mondo.
                                                                                                       Catania 1867  Vincenzo Percolla