Francesco Paolo Frontini (Catania, 6 agosto 1860 – Catania, 26 luglio 1939) è stato un compositore, musicologo e direttore d'orchestra italiano.

«Bisogna far conoscere interamente la vera, la grande anima della nostra terra.
La responsabilità maggiore di questa missione dobbiamo sentirla noi musicisti perchè soltanto nella musica e nel canto noi siciliani sappiamo stemperare il nostro vero sentimento. Ricordatelo». F.P. Frontini

Dedicato al mio bisnonno F. P. Frontini, Maestro di vita. Pietro Rizzo
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martedì 22 dicembre 2015

Mario Rapisardi e l'amore di Amelia Poniatowski


(...)Casa Rapisardi lungi dai rumori e dalle beghe, era un tempio non dell'arte soltanto, entro il quale folgorasse come in un mondo chiuso eppure in relazione vivente e continua con tutto il mondo intellettuale, non solo italiano ma mondiale, il genio dell'artefice illustre, del pensatore ribelle; all'ombra della quercia immane, si effondeva altresì il profumo dli una, grazia fatta di soavità e di amore, la grazia, inestinguibile di Amelia Poniatowski. Chi frequentò quella, casa e mi esprime i ricordi ineffabili e le baldanze di una prima giovinezza, aperta tutta alle idealità dell'arte e ai fremiti generosi della vita, e che la vita poi afferrò e costrinse — ahimè — nelle sue ferree morse tanto lungi, come egli mi diceva rimpiangendo, da quei sogni quasi divini, un amico e discepolo caro al Maestro e Poeta per temperamento, per ingegno e per cuore, Francesco Nicolosi Raspagliesi, quella casa mi descrive come il ridotto delle muse impersonate in una, che delle antiche avesse avuto il vivido ingegno e delle nostre moderne lo spirito di umiltà, di abnegazione che va oltre ogni consueto limite e che comprende in tutta l'estensione della parola il vivere una vita per un amore. 

Amelia Poniatowski in quanti la conobbero suscitò fervida ammirazione per le qualità rare della mente e del cuore, che intorno al Poeta per venticinque anni le fecero profondere i tesori della sua natura ricchissima; ed Alfio Tomaselli appunto, poiché il Poeta, fu spento, conobbe in lei la compagna che sola poteva interpretare il suo sentimento, e consacrò in un vincolo civile quello spirituale già esistente nell'amore che congiungeva per generosità, venerazione, devozione la compagna e lo scolaro intorno al Grande, fiaccola viva ed accesa dei più puri ed elevati sentimenti.
Alfio Tomaselli sposò Amelia Poniatowski; ma, come sempre, poiché un avverso destino sembra contrastare duramente agli umani i sogni più belli, Amelia Poniatowski in breve morì, e con la sua dipartita, mentre, se esiste un mondo dell'al di là, certamente di questo migliore e più felice, ove le anime elette si ritrovano, ella, andò a raggiungere novamente quella del Grande cui già aveva donato tanta parte di sé, lasciò bensì nella solitudine e nel pianto inconsolabile il secondo compagno il quale, forse, si era ripromesso, nella sua dedizione alla donna gentile, di darle col suo affetto quella parte di gioia ch'era potuta sfuggirle in una, vita troppo chiusa,  trascorsa senza varietà di colore presso' un uomo che, forse appunto perchè di eccezione, non era quanto a carattere d'umor sempre lieto, e riversava, come avviene, le sue inquietudini e i suoi travagli interiori, che il Rapisardi ebbe molti, anche senza volere sulla creatura più amata. Amelia Poniatowski era d'altra parte la sola, che potesse accogliere tutta la piena spesso amarissima dei vari affetti e degli orgasmi che turbavano l'animo del Rapisardi. Vissuto questi, come dice il Tomaselli, sempre fuori e di sopra dalle competizioni di piazza; schivo degli onori come anche degli strisciamenti; disgustato e diffidente in seguito alle ingiuste lotte mossegli contro da ogni sorta di avversari; contrario egli a tutte le fazioni politiche e religiose; temperamento diritto ed intero, è facile immaginare i dolori, le amarezze, i fastidi di mille generi sofferti tra le calunnie, le contumelie, gli scandali attraverso la doppia bruciatura del suo «Lucifero», eseguita l'una dal tipografo Barbèra, l'altra dall'Arcivescovo di Catania, e le lotte per la pubblicazione del « Giobbe », e quelle per le « Poesie religiose », e i sequestri delle poesie più significative sui vari giornali, e i processi, da cui a mala pena poterono salvarlo devoti ed illustri amici, quali il Bovio e il Saffi e l'insigne Graziadio Ascoli.

Amelia divideva con lui ogni, amarezza ed ogni fatica. Tra le «amorevoli gentilezze» e le "affabilità preziose" di lei, egli appariva più florido, diveniva più bello. Allietava ella in ogni modo le sue solitudini: gli leggeva libri, redigeva e raccoglieva corrispondenza, svegliava i silenzi con la musica fascinatrice, era insomma l'anima vivente, pietosa e giuliva della tranquilla casa lungi dai rumori, spa-ziante, « tra gli orti e i campi aprici » —come dice lo stesso Poeta — ove traevano in pellegrinaggio nella raccolta ombra uomini insigni di tutti i paesi ed amici e discepoli, ma ove trascorrevansi altresì lunghissimi periodi di solitudine, e da cui egli il Maestro non uscì affatto più, nemmeno in carrozza, per tutti gli ultimi anni, schivando quasi con passione di vedere ogni gente, di far conoscenze nuove, infastidito da ogni sorta di malanni che gli vietavano la gioia, infastidito dalla stessa luce che, pur troppo, quantunque egli amasse moltissimo, gli era divenuta insopportabile, accrescendogli la quasi quotidiana emicrania. L'impareggiabile creatura assisteva il Poeta in tutto. Dal dì che lo conobbe, 20 maggio 1885, giorno che il Rapisardi ricorda con indicibile emozione :

O fausto giorno
Che consentisti di venirmi a fianco !
Per incanto d'amor giovine torno

sino al giorno ultimo della sua vita, 4 gennaio 1911, ella gli consacrò l'esistenza, facendo di due vite, quella del Maestro declinante e battuta dall'avverso destino, e la sua, fiorente e ricca d'ogni celeste dono, di bellezza, di grazia, d'intelligente e spirituale bontà, una vita unica e sola, venendo ringagliardita la prima di tutti i tesori di giovinezza e di amore che erano rinchiusi nella seconda. 
Alla vicinanza di Amelia, Rapisardi riaprì l'anima, come un fiore. Una limpida vena scaturì novamente e più meravigliosamente dal cuore suo. Le « Poesie religiose » furono per la maggior parte della nuova ispirazione. Da indi innanzi vivificata dalla donna gentile fu tutta, la sua produzione.
Dopo il 20 maggio 1885, dopo i primi mesi dalla benedetta unione, mesi di letargo, come egli dice scrivendo al suo Reina nei primi dell'86, una nuova polla abbondantissima si manifesta, e dalle parole di lui ai raccoglie tutta l'intima e gaia resurrezione :
« Mi son finalmente rimesso a poetare, egli scrive, e le poesie religiose fioccano: figurati, ne ho scritto sei in meno di quindici giorni ». 

Ma lontano da Amelia si sente sfinito. Essendosi dovuto allontanare una volta da lei, per venire a Roma il 28 settembre dell'86, dopo 33 ore eterne di viaggio, le scrive : " Mi pare un anno che sono lontano da mia madre e da te, oggetti carissimi della mia vita", e più sotto « ho maledetto il momento d'essere partito», e attribuendo alle tenere cure di lei forse questo infiacchimento, che rivela invece il grandissimo prezzo del tesoro ritrovato e ch'egli nella sua appassionata esclamazione mette in rilievo : « io non mi sento più io : tutto è mutato agli occhi miei, tutto mi è caduto dal cuore, fuorché il tuo dolcissimo amore, che spero mi accompagnerà fino all'ultimo istante della mia vita ».
Altrove, sempre nella stessa circostanza e già sulla via del ritorno, ma trattenuto in quarantena (13 ottobre '86, da Napoli) ancora ad Amelia, che invita a raggiungerlo a Reggio : « Ho bisogno, anzi necessità di te: che la malinconia e la tristezza s'è talmente impossessata di me, che mi par di perdere la testa ». 
 
Intanto, dopo aver dato all'Italia «una forma nuova di poema, l'epopea del pensiero», il poema filosofico, eccolo a darle il poema satirico. Già sono apparse — altra fatica — le poesie di Catullo, interamente tradotte, ed ecco nel giugno 1891, scrivendo al Reina, annunciargli «sette canti già belli e finiti dell'Atlantide ». Sette canti ohe sono, come egli dice, « sette flagelli di scorpioni rotati con braccio d!i ferro e con riso di Lucifero su tutte le menzogne e le perfidie e le viltà del secolo ». Né basta; che un'altra novità è alle viste : la versione del « Prometeo' liberato » di Shelley, pubblicata nel '92. Dello stesso anno ancora sono l'« Empedocle » ed altri versi.
Come si vede, a fianco della sua benevola fata, egli non perde il suo tempo. Proseguendo, una commedia « La famiglia del signor Teofilo » intitolata, poi « Un santuario domestico » è rappresentata per la prima volta in Catania nel '93 dalla Compagnia Pietriboni. Nel '95 al 28 dicembre è pronta l'intera traduzione metrica delle « Odi » di Orazio, di cui manda come primizia il « Carme secolare » a Felice Cavallotti.
E continua la sua operosità in mille modi. Nella raccolta postuma delle « Nuove foglie sparse » sono molte delle poesie scritte nell'ultimo decennio di vita, come pure poemetti, epigrammi, iscrizioni e prose trovansi nelle altre due raccolte : « Poemetti e iscrizioni » e « Pensieri e giudizi ».
Ancora quando travagliato, dal male : « Cinque anni io sono stato — scrive a Edmondo De Amicis nel '97 — fremendo e spasimando, tra le spire di .un perfido male, e se non mi fossi io stesso condannato agli ozi forzati, e non avessi avuto l'assistenza generosa di questa nobile creatura ohe m'è compagna, il suicidio avrebbe spezzato il mio cuore, e la mia ragione travagliata da pubblici e da privati dolori si sarebbe inabissata nel baratro della pazzia», ancora la Musa. va a visitarlo qualche volta,, quella Musa, ch'egli abbraccia e bacia.
piangendo. Una collana di sonetti « Nozze immortali » è pubblicata nel 1898 dalla « Nuova Antologia ». « Non ostante i soliti acciacchi » corre non di meno sempre dietro « ai fantasmi dell'Ideale ». Ma il male con la fine è ormai alle porte. Ora egli si limiterà a scrivere ad amici, a conoscenti, a sollecitatori ed ammiratori. Amelia lo sorregge e l'accompagna nell'altro travaglio. Come ricordavo sopra, ella gli è d'accanto ognora, scrive per lui, corregge, legge, interpreta, annota. Non v'è lavoro che non porti ormai l'impronta delle sue mani, non v'è ispirazione che non rasenta la perpetua freschezza, del suo sorriso.  M. A. Personne

* Nuova Antologia anno 59 - 1° luglio 1924

http://rapiasrdi.altervista.org/la_contessa_lara.htm

lunedì 13 aprile 2015

La Biblioteca di Mario Rapisardi e intervista con Amelia Poniatowski



La Biblioteca di Mario Rapisardi - di Rodolfo de Mattei

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Rivista mensile "la parola e il libro" n.4 1963



Intervista con Amelia Poniatowski, compagna del Poeta
Oblio e odio, di Lorenzo Vigo - Fazio.

Pregai un mio amico adulto, il Prof. Giorgio Buscema, d'accompagnarmi, e andai con lui a bussare alla porta dell'appartamento, che fu l'ultima abitazione dello scrittore.

La Signora Amelia Poniatowski e il Dr. Alfio Tomaselli, a cui ella, da pochi giorni, era andata sposa, ci accolsero garbatamente e mi fornirono le notizie che desideravo.

Così, «Il Tirso» di Roma, periodico d'arte fondato da Gabriele D'Annunzio, nel n. 36 della decima annata, il 16 Novembre del 1913, pubblicò, in prima pagina, su quattro colonne, il mio articolo: «Oblio e odio alla memoria di Mario Rapisardi (Intervista con Amelia Poniatowski, compagna del Poeta ».

Ne riproduco, qui appresso, alcuni passi salienti: 

«- Oh, come sono contenta della loro visita!... Avrei dovuto mandare io qualche cosa ai giornali del continente, per protestare contro questa indegna congiura d'odio e d'oblio... Ma giacché loro hanno avuto la bella idea di venirmi a trovare, non ne fa più d'uopo. - Ci dice la Signora Poniatowski ».
...« - Come hanno veduto, la casa ha perduto la fisionomia di prima, perfino la terrazza, così cara a Mario, scompare... »

« - Ma ci dica: non ha reagito ella contro questa violazione? »

«- S'io abbia reagito!... - esclama calorosamente. - Ma se io mi sono votata a tutti i santi... del potere: a sindaci, a deputati, a municipi, a giunte...».

« E non le hanno dato ascolto? »

«Neanche per sogno. Il padrone di casa mi ha risposto che s'era messo d'accordo col Municipio.
Ne ho parlato ad artisti, a letterati, a politici. Nessuno ha saputo impedire... quest'accordo. »
«Sarà stato forse perchè Mario, ch'era un'anima alta e nobile, ed ebbe sempre il torto di dire la verità - la quale certe volte riesce amara - scrisse qualche parola frizzante contro municipi, sindaci, onorevoli, giunte comunali, amministrative, ecc. Ed ora se ne vendicano... »
« - E' la vendetta dei vili! - soggiunse il mio amico. »
« - Con l'odio, il disprezzo, l'oblio... Ma Mario resta sempre quello che è; io lo chiamo l'Uomo della verità. »

« - E sanno cosa se n'è fatto del cadavere? - ci chiede il dottore. »

« - Ecco, lo spiego loro subito. - soggiunge la Signora Amelia - Il 4 Gennaio, farà due anni che il Grande e scomparso. Ed è da quasi due anni, perciò, che il suo corpo giace, non ancora tumulato, nell'ufficio del cappellano del cimitero... Quel povero dottore che l'ha imbalsamato, affinché i sorci non lo mangiassero, ha usato tutti i mezzi... Perché le mosche non cadano nel piatto, ci mettiamo sopra una coppa di rete metallica, così hanno fatto con lui... »

« - E nessuno reclama? - gridai. »

« - L'altro giorno, un gruppo di giovani, in segno di protesta, venne ad apporre quella lapide - ci dice ella, mostrandoci col dito, appoggiata ad una sedia, una lastra di marmo d'un metro quadrato circa. -
Trascrivo quello che vi sta scritto:

RICORDANDO L'IMMORTALE MAESTRO MARIO RAPISARDI
GLI STUDENTI UNIVERSITARI
XX Settembre 1913

« - Si figuri che costoro che si dicono discepoli di Mario, attaccarono la lastra sul muro del domicilio del Signor Chiarenza!... E che chiasso fecero!... »
« Appena io mi fui accorta dell'errore, dissi: - Non sono ancora due anni che Mario Rapisardi è morto, e non vi ricordate più dove è vissuto! - »
« Ed ordinai subito che togliessero quella lapide. ».

-Ed i mobili?

« - Sono rinchiusi la dentro - ci dice, indicandoci la porta a tramontana (quella dello studio), che è chiusa con diversi lucchetti. - Un numero rilevante di volte ho mandato a dire al Municipio che li tolgano, e non li lascino rodere dai tarli, ma coloro fanno orecchio da mercante. Anzi, ogni volta, hanno mandato qualcuno, per aggiungere un altro lucchetto; e l'ultima volta, fecero ricoprire esternamente di latta le imposte dei due balconi dello studio. »

« I manoscritti, almeno, sono al sicuro? »

« - Ma che! Sono pure la dentro, gettati per terra, alla rinfusa... »
« Dio voglia che i topi li abbiano rispettati. Se ne trovano fra essi alcuni inediti, che Mario scrisse, adolescente, fra la vita e la morte. Anche quelli della "Palingenesi" e d'altre opere. »
« - Perché il Municipio non li rileva? E tutti gli oggetti sono catalogati? »
« - Niente affatto. Prima di morire, Mario mi diceva sempre: "Cataloghiamoli! Cataloghiamoli!" E loro: "C'e tempo! C'e tempo!" ».

...« Loro che sono liberi scrivano, scrivano tutte queste cose che il pubblico non sa! »

« Promettiamo di dire tutta la verità ai nostri lettori, e ringraziando, ce n'andiamo, con nel cuore, un sacro impeto di sdegno. »

La pubblicazione di tale mio articolo suscitò uno scalpore più grande del previsto. Numerosissimi furono i quotidiani, le riviste, i periodici che lo riprodussero o lo riassunsero; e tutti, prendendo le mosse dalla vibrante nota di protesta, che il Comitato di Redazione del « Tirso » vi aveva posto in calce. Anche taluni importanti quotidiani stranieri pubblicarono quanto io avevo denunciato all'opinione pubblica, biasimando l'incuria del Municipio di Catania.

La stampa catanese quotidiana e periodica faceva larga eco all'indignazione nazionale ed estera.
Così che l'amministrazione municipale fu costretta a provvedere al più presto a dare onorata sepoltura al Poeta; ed invitò Carlo Pascal a commemorarlo, nel Teatro Massimo Bellini.

Ricorderò sempre con compiacimento codesto coraggioso episodio giornalistico della mia adolescenza, il quale mi procurò la malevolenza dei responsabili dell'abbandono, in cui erano stati lasciati li cadavere di Mario Rapisardi e le sue cose; e d'altro canto, segno l'inizio della campagna, da me durata in Italia ed all'estero, per diffondere il pensiero del Poeta, rivalutarne l'opera e difenderne la fama(1).



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(1) Nel 1922, commemorai, in Catania, il X anniversario della morte di M. Rapisardi, pronunciando, nel Teatro Massimo Bellini, un discorso su « L'epistolario inedito di Mario Rapisardi », che fa parte del mio volume « Saggi e Discorsi», edito, nel 1925, da « Bottega d'Arte » di Carpi di Modena.
Ho scritto del Rapisardi, su tanti giornali e riviste; e nei periodici da me diretti «Endimione» (Casa editrice «Ausonia », Roma) e « Rivista di Catania e del Meridione », la vita e l'opera del Poeta vi furono ampiamente illustrate.

Nel 1930 l'editore Alfredo Formica di Torino pubblicò la raccolta, a cui avevo atteso per quindici anni: « Mario Rapisardi: Prose, Poesie, Lettere postume, raccolte e ordinate da Lorenzo Vigo-Fazio ».
Il 4 Gennaio del 1933, in Parigi, nella sede della «Dante Alighieri», commemorai il XXI anniversario della morte del Poeta, tenendovi un discorso su « L'opera e la fortuna di Mario Rapisardi», il quale, nel 1955, fu pubblicato in opuscolo estratto dalla « Rivista di Lecco ».

II 3 Febbraio del 1944, l'Assemblea dei Soci del Centro di Studi Rapisardiani, in Catania, mi elesse suo Socio onorario; e nella seduta del 7 Novembre 1954, in seguito alla morte del suo illustre Presidente, Prof. Francesco Marietta, mi chiamò, con voto unanime, a succedergli, in tale carica. Nel 1962, il Centro di Studi Rapisardiani in Catania pubblicò il mio libro: « Mario Rapisardi nel cinquantenario della morte ».