Francesco Paolo Frontini (Catania, 6 agosto 1860 – Catania, 26 luglio 1939) è stato un compositore, musicologo e direttore d'orchestra italiano.

«Bisogna far conoscere interamente la vera, la grande anima della nostra terra.
La responsabilità maggiore di questa missione dobbiamo sentirla noi musicisti perchè soltanto nella musica e nel canto noi siciliani sappiamo stemperare il nostro vero sentimento. Ricordatelo». F.P. Frontini

Dedicato al mio bisnonno F. P. Frontini, Maestro di vita. Pietro Rizzo
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domenica 14 gennaio 2018

Giudizi della stampa 1893 - Malìa un'opera in tre atti




Malìa è un'opera in tre atti di Francesco Paolo Frontini, su libretto di Luigi Capuana.

La prima rappresentazione avvenne al teatro Brunetti (oggi Duse) di Bologna, il 30 maggio 1893.

Intepreti di quel debutto furono:

MASSARO PAOLO, padre di..., Sig. ANTONIO BARDOSSI, basso;

NEDDA, Sig.ra CLOTILDE MALATESTA, mezzosoprano;

JANA, e di ..., Sig.ra LEONILDE GABBI, soprano;

NINO, fidanzato di Jana, Sig. ETTORE MARCHI, tenore;

COLA, marito di Nedda , Sig. MICHELE WIGLEY, baritono.

Contadini e contadine, vendemmiatori e vendemmiatrici.Suonatori.(coro)

Direttore della prima rappresentazione: Maestro Cav. Vittorio Podesti

La scena è in un villaggio siciliano. Epoca: primi anni del secolo 1800.


 per ingrandire cliccare immagine



















sabato 12 novembre 2016

Celebrazioni per il centenario della morte di Luigi Capuana

Malìa - aspettando che qualche "buon santo" si decida a riproporla in Sicilia, volendo anche a Bologna...    :) prima che io muoia.



Celebrazioni per il centenario della morte di Luigi Capuana -Teatro Sangiorgi

- Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università degli Studi di Catania - E.A.R. Teatro Massimo Bellini - Società di Storia Patria per la Sicilia Orientale

"Letteratura e musica al tempo di Capuana"
Introduzione
Maria Rosa De Luca e Rosalba Galvagno
Concerto
Giuseppe Senfett, pianista
musiche di Francesco Paolo Frontini
Letture
Angelo Tosto
Catania 11.11.2016

"la storia di Malìa" Letture di Angelo Tosto


Giuseppe Senfett in fantasia per pianoforte dell'opera Malìa.



venerdì 21 ottobre 2016

Malìa


Malìa è un'opera in tre atti di Francesco Paolo Frontini, su libretto di Luigi Capuana.

La prima rappresentazione avvenne al teatro Brunetti (oggi Duse) di Bologna, il 30 maggio 1893.



Malìa ha questo grande pregio indiscutibile, di essere una fonte preziosa alla quale si può attingere, se si vuole conoscere veramente l'anima musicale siciliana, di cui Francesco Paolo Frontini è il più degno rappresentante.
Piantai un fiore nel mese d'aprile,
Nel maggio mi sbocciò rosso avvampante ;
Quel fiore siete voi, donna gentile,
Fioriste nel mio cor, donna galante.
COLA - atto I scena V
L'ultimo decennio del secolo diciannovesimo — definito per antonomasia la primavera della nuova arte musicale italiana — passa oggi quasi inosservato.

Quella certa stabilità che allora pareva dovesse conservare l'arte musicale italiana fino alla meravigliosa evoluzione verdiana, sboccò tutto a un tratto in un verismo provinciale che, secondo valutazioni errate, avrebbe dovuto essere il punto di riferimento di una nuova concezione dell'arte e quindi di una nuova estetica musicale.

L'influenza mascagniana aveva fatto passare quasi inosservato l'apice della ascensione artistica diGiuseppe Verdi, perchè il « fattaccio » di cronaca quotidiana aveva cominciato a stendere un velo di incomprensione sul significato altissimo dell'ultima parola verdiana.

La divergenza verista affiorata improvvisamente sul decadentismo ottocentesco, trovò contro la sua spinta iniziale una corrente opposta nell'impressionismo che già aveva cominciato a far capolino, riuscendo poi a travolgere anche quel po' di Wagnerismo rimasto latente, malgrado l'infiltrazione incontenibile e la base solida che si era ormai costruita in Italia.

Cosicché all'inizio del ventesimo secolo vediamo scomparire non solo la parentesi verista, ma anche il pericolo teutonico a base di leitmotiv e di pesantezza sonora.

La conseguenza fu naturalmente questa, che l'ultimo slancio di ispirazione del genio di Verdi non trovando motivo di paragone con la nuova concezione musicale dell'ultimo decennio non completamente sviluppata ma allacciandosi al giocondo spirito rossiniano, rimase senza eco, mentre la nuova corrente che faceva capo a Mascagni di Cavalleria scompariva completamente nel giro di pochi anni e con essa, venivano anche a mancare i tentativi dignitosi di Giordano, di Cilea, ecc.

Ma il periodo, per quanto di breve durata, ebbe allora frutti insperati e conserva tuttora, dopo il trapasso dei tesori nascosti.

Il verismo sulla scena aveva fatto accapponare la pelle a quella parte di pubblico italiano meno adusato alla violenza del carattere e più incline alla irrealtà sdolcinata, cosa del resto che è nella stessa essenza dell'arte musicale.

Ma nelle regioni meridionali dove l'elemento ideale è tutto intessuto di tragicità e di violenza, il verismo trasportato sul palcoscenico, centuplicava la sensazione della realtà, riuscendo a trascinare e a conquistare la massa.

E se si riflette che l'anima popolare del mezzogiorno canta per istinto, per natura, per necessità dello spirito, ben si deduce che un'arte basata su elementi melodici, folkloristici e passionali è forse l'unica che risponda alla comprensione di quel popolo.

Arte regionale, ne conveniamo pienamente, ma arte nel senso assoluto della parola, arte che sa scegliere i sentimenti più reconditi, che sa dire una parola propria, che sa trascinare.

Pensavo a tutto questo rileggendo quel mirabile finale, secondo di Malìa la bella opera di F. Paolo Frontini, la scena cioè in cui tutti gli elementi tragici, passionali, idealmente amorosi e superstiziosamente violenti, culminano nella maledizione estrema al simulacro della Madonna, trascinato sotto le finestre di Jana dal popolo devoto.

Grido infernale e di dannazione, schianto angoscioso di follia insana contro la fede immensa che sovrasta sul cuore dei popolani, muti dinanzi al mistero della Divinità.

Scena di verismo crudo, brutale, che è però fatale conseguenza di passione soffocata, annientata dalla inesorabilità del destino, che si accanisce contro un'anima fragile, sensibilissima.

La musica coglie appunto il senso più dolce della tragedia umana e descrive il tumulto delle passioni in un canto che si snoda a sussulti e a singhiozzi e a frasi larghe di disperazione e di violenza in cui però predomina sempre il cuore.

Il popolo siciliano è unico nell'offrire questo strano contrasto di dolcezza tragica e violenta !
C'è forse bisogno di ricorrere al pletorico, all'assordante, a tutti i mezzi di cui dispone la scienza per descrivere il dramma che si compie in un minuto?

L'anima siciliana si ribella alla confusione: semplice, lineare, tanto nell'intrecciare un idillio quanto nel concludere una partita « d'onore », ha bisogno solo di chiarezza e di comprensione.

L'arte deve essere la sua, i canti devono essere i suoi, l'espressione deve dire tutta la forza del sentimento che si nasconde nel cuore per il quale sentimento non ci sono finzioni, ne restrizioni, ma deve svolgere puro e semplice Verismo.

Ecco perchè il fortunato tentativo mascagniano di portare sul teatro di musica il rapido dramma diGiovanni Verga trovò salde e profonde radici nel mezzogiorno, dove parve sollevare d'un tratto un'ondata di passione ardente.

Ma la concezione frontiniana, se si riallaccia per un momento al tentativo verista, si distacca profondamente, come essenza e come idealità, da tutto ciò che di caduco e di convenzionale si trova inevitabilmente in questo genere.

Per capir questo, bisogna partire da un punto di vista completamente diverso di quello di coloro i quali trovarono una facile via di ispirazione in una espressione artistica, che sembra a prima vista accessibile anche ai più refrattari.

La descrizione della vita vissuta e l'estrinsecazione dei sentimenti che si agitano, può suggerire è vero, mezzi facili di espressività artistica ma trascina spesso al convenzionalismo volgare e insufficiente per assurgere a dignità di arte; convenzionalismo del resto, che rimane confinato in un vicolo cieco senza speranza di espansione e di conquista.
Ma nell'arte di F. Paolo Frontini, oltre alla sincerità evidente di una ispirazione non contagiata da influenze discutibili, abbiamo elementi tali di coloriti regionale e slanci di passionalità tutta siciliana, da farci considerare la sua Malìa non alla stregua di altre opere dello stesso genere ma, presa isolatamente, come il prodotto più spontaneo di un'arte tipicamente genuina.

La semplicità dei mezzi di espressione è la sola che potesse mettere in rilievo tutta la forza di ispirazione, che si rivela in una linea ininterrotta di melodicità veramente sentita; l'elemento folkloristico, di cui è tutta imbevuta quest'opera d'arte aggiunge al pregio della spontaneità un valore intrinseco come esempio tipico di arte regionale, e il dramma della superstizione e dell'amore accentua quel senso di umanità che sulla scena ogni tanto non fa male.

E' inutile cercare nella musica di F. Paolo Frontini la dissertazione, la ricercatezza studiata, la pedanteria accademica, la confusione, la stiracchiatura fatta coi denti.

Tutta la sua produzione, dai piccoli componimenti per pianoforte all'«opera», reca un'unica impronta.

La fonte di ispirazione è una sola, come unico diventa il mezzo di tradurre in espressione sonora il senso ultimo della propria spiritualità.

Il tragico e l'idilliaco sboccano sempre in frasi melodiche che traducono l'affanno e la calma. 
La concitazione è melodia, come è melodia l'amore. I sussulti nervosi, isterici, non diventano pesantezze armoniche o pletoricità orchestrali: contrasterebbero non solo con la natura dell'artista ma sarebbero in contraddizione col folklore siciliano.

Malia, nella sua veste semplice e tipica trascina alla meditazione e, per chi sente scorrere nelle proprie vene tutto il calore del sangue generoso, par che il profumo di zagara si espandi nell'aria come per mitigare la nausea della caducità delle cose di questo mondo.
Ma c'è l'ammonimento severo, ed è questo, che se l'arte di Scarlatti o di Vincenzo Bellini diventò arte nazionale, anche l'opera folkloristica può offrirci un motivo di evoluzione e un modello sincero di espressione spirituale popolare.

Se non fosse per tutto quanto e stato detto avanti, Malìa ha questo grande pregio indiscutibile, di essere una fonte preziosa alla quale si può attingere, se si vuole conoscere veramente l'anima musicale siciliana, di cui F. Paolo Frontini è il più degno rappresentante.

Nella evoluzione che si compie ineluttabilmente, soltanto l'oblio è imperdonabile nelle cose belle



giovedì 17 febbraio 2011

Malìa ha questo grande pregio indiscutibile, di essere una fonte preziosa alla quale si può attingere, se si vuole conoscere veramente l'anima musicale siciliana.






Piantai un fiore nel mese d'aprile,
Nel maggio mi sboggiò rosso avvampante ;
Quel fiore siete voi, donna gentile,
Fioriste nel mio cor, donna galante.
COLA - atto I scena V

L'ultimo decennio del secolo diciannovesimo — definito per antonomasia la primavera della nuova arte musicale italiana — passa oggi quasi inosservato.

Quella certa stabilità che allora pareva dovesse conservare l'arte musicale italiana fino alla meravigliosa evoluzione verdiana, sboccò tutto a un tratto in un verismo provinciale che, secondo valutazioni errate, avrebbe dovuto essere il punto di riferimento di una nuova concezione dell'arte e quindi di una nuova estetica musicale.

L'influenza mascagniana aveva fatto passare quasi inosservato l'apice della ascensione artistica di Giuseppe Verdi, perchè il « fattaccio » di cronaca quotidiana aveva cominciato a stendere un velo di incomprensione sul significato altissimo dell'ultima parola verdiana.

La divergenza verista affiorata improvvisamente sul decadentismo ottocentesco, trovò contro la sua spinta iniziale una corrente opposta nell'impressionismo che già aveva cominciato a far capolino, riuscendo poi a travolgere anche quel po' di Wagnerismo rimasto latente, malgrado l'infiltrazione incontenibile e la base solida che si era ormai costruita in Italia.

Cosicché all'inizio del ventesimo secolo vediamo scomparire non solo la parentesi verista, ma anche il pericolo teutonico a base di leitmotiv e di pesantezza sonora.

La conseguenza fu naturalmente questa, che l'ultimo slancio di ispirazione del genio di Verdi non trovando motivo di paragone con la nuova concezione musicale dell'ultimo decennio non completamente sviluppata ma allacciandosi al giocondo spirito rossiniano, rimase senza eco, mentre la nuova corrente che faceva capo a Mascagni di Cavalleria scompariva completamente nel giro di pochi anni e con essa, venivano anche a mancare i tentativi dignitosi di Giordano, di Cilea, ecc.

Ma il periodo, per quanto di breve durata, ebbe allora frutti insperati e conserva tuttora, dopo il trapasso dei tesori nascosti.

Il verismo sulla scena aveva fatto accapponare la pelle a quella parte di pubblico italiano meno adusato alla violenza del carattere e più incline alla irrealtà sdolcinata, cosa del resto che è nella stessa essenza dell'arte musicale.

Ma nelle regioni meridionali dove l'elemento ideale è tutto intessuto di tragicità e di violenza, il verismo trasportato sul palcoscenico, centuplicava la sensazione della realtà, riuscendo a trascinare e a conquistare la massa.

E se si riflette che l'anima popolare del mezzogiorno canta per istinto, per natura, per necessità dello spirito, ben si deduce che un'arte basata su elementi melodici, folkloristici e passionali è forse l'unica che risponda alla comprensione di quel popolo.

Arte regionale, ne conveniamo pienamente, ma arte nel senso assoluto della parola, arte che sa scegliere i sentimenti più reconditi, che sa dire una parola propria, che sa trascinare.

Pensavo a tutto questo rileggendo quel mirabile finale, secondo di Malìa la bella opera di F. Paolo Frontini, la scena cioè in cui tutti gli elementi tragici, passionali, idealmente amorosi e superstiziosamente violenti, culminano nella maledizione estrema al simulacro della Madonna, trascinato sotto le finestre di Jana dal popolo devoto.

Grido infernale e di dannazione, schianto angoscioso di follia insana contro la fede immensa che sovrasta sul cuore dei popolani, muti dinanzi al mistero della Divinità.

Scena di verismo crudo, brutale, che è però fatale conseguenza di passione soffocata, annientata dalla inesorabilità del destino, che si accanisce contro un'anima fragile, sensibilissima.

La musica coglie appunto il senso più dolce della tragedia umana e descrive il tumulto delle passioni in un canto che si snoda a sussulti e a singhiozzi e a frasi larghe di disperazione e di violenza in cui però predomina sempre il cuore.

Il popolo siciliano è unico nell'offrire questo strano contrasto di dolcezza tragica e violenta.
C'è forse bisogno di ricorrere al pletorico, all'assordante, a tutti i mezzi di cui dispone la scienza per descrivere il dramma che si compie in un minuto?

L'anima siciliana si ribella alla confusione: semplice, lineare, tanto nell'intrecciare un idillio quanto nel concludere una partita « d'onore », ha bisogno solo di chiarezza e di comprensione.

L'arte deve essere la sua, i canti devono essere i suoi, l'espressione deve dire tutta la forza del sentimento che si nasconde nel cuore per il quale sentimento non ci sono finzioni, ne restrizioni, ma deve svolgere puro e semplice Verismo.

Ecco perchè il fortunato tentativo mascagniano di portare sul teatro di musica il rapido dramma di Giovanni Verga trovò salde e profonde radici nel mezzogiorno, dove parve sollevare d'un tratto un'ondata di passione ardente.

Ma la concezione frontiniana, se si riallaccia per un momento al tentativo verista, si distacca profondamente, come essenza e come idealità, da tutto ciò che di caduco e di convenzionale si trova inevitabilmente in questo genere.

Per capir questo, bisogna partire da un punto di vista completamente diverso di quello di coloro i quali trovarono una facile via di ispirazione in una espressione artistica, che sembra a prima vista accessibile anche ai più refrattari.

La descrizione della vita vissuta e l'estrinsecazione dei sentimenti che si agitano, può suggerire è vero, mezzi facili di espressività artistica ma trascina spesso al convenzionalismo volgare e insufficiente per assurgere a dignità di arte; convenzionalismo del resto, che rimane confinato in un vicolo cieco senza speranza di espansione e di conquista.
Ma nell'arte di F. Paolo Frontini, oltre alla sincerità evidente di una ispirazione non contagiata da influenze discutibili, abbiamo elementi tali di coloriti regionale e slanci di passionalità tutta siciliana, da farci considerare la sua Malìa non alla stregua di altre opere dello stesso genere ma, presa isolatamente, come il prodotto più spontaneo di un'arte tipicamente genuina.

La semplicità dei mezzi di espressione è la sola che potesse mettere in rilievo tutta la forza di ispirazione, che si rivela in una linea ininterrotta di melodicità veramente sentita; l'elemento folkloristico, di cui è tutta imbevuta quest'opera d'arte aggiunge al pregio della spontaneità un valore intrinseco come esempio tipico di arte regionale, e il dramma della superstizione e dell'amore accentua quel senso di umanità che sulla scena ogni tanto non fa male.

E' inutile cercare nella musica di F. Paolo Frontini la dissertazione, la ricercatezza studiata, la pedanteria accademica, la confusione, la stiracchiatura fatta coi denti.

Tutta la sua produzione, dai piccoli componimenti per pianoforte all'«opera», reca un'unica impronta.

La fonte d' ispirazione è una sola, come unico diventa il mezzo di tradurre in espressione sonora il senso ultimo della propria spiritualità.

Il tragico e l'idilliaco sboccano sempre in frasi melodiche che traducono l'affanno e la calma.
La concitazione è melodia, come è melodia l'amore. I sussulti nervosi, isterici, non diventano pesantezze armoniche o pletoricità orchestrali: contrasterebbero non solo con la natura dell'artista ma sarebbero in contraddizione col folklore siciliano.

Malìa, nella sua veste semplice e tipica trascina alla meditazione e, per chi sente scorrere nelle proprie vene tutto il calore del sangue generoso, par che il profumo di zagara si espandi nell'aria come per mitigare la nausea della caducità delle cose di questo mondo.
Ma se l'arte di Scarlatti o di Vincenzo Bellini diventò arte nazionale, anche l'opera folkloristica può offrirci un motivo di evoluzione e un modello sincero di espressione spirituale popolare.

Se non fosse per tutto quanto e stato detto avanti, Malìa ha questo grande pregio indiscutibile, di essere una fonte preziosa alla quale si può attingere, se si vuole conoscere veramente l'anima musicale siciliana, di cui F. Paolo Frontini è il più degno rappresentante.

Nella evoluzione che si compie ineluttabilmente, soltanto il dimenticare è imperdonabile nelle cose belle.




*............Ma ciò che qui interessa e dal carteggio scaturisce chiaramente, è l'influenza determinante che, negli anni della sua formazione al Conservatorio di Palermo, ebbe sul Frontini l'incontro col Pitrè, l'uomo dotto e generoso che, intrattenendosi a ragionare con lui di canti popolari, gli comunicò succhi vitali pei suoi orientamenti futuri. 
Prova di ciò sono le ben sei raccolte di melodie lasciate dal catanese, tutte riguardanti la Sicilia, e il loro alto valore scientifico, senza dire del libretto di Malìa, il capolavoro, musicato su testo di Luigi Capuana, in cui l'ambiente, caratterizzato da canti popolari, stornelli a risposta, danze, trovò, in un compositore spiccatamente congeniale alla poesia di popolo, un interprete di eccezionale merito e sensibilità.

Estratto dal volume - Pitrè e Salomone - Marino

sabato 4 dicembre 2010

Il mondo è una sala - Malìa 1893 - Atto primo - Scena III



COLA (a Nino) Egli è troppo occupato!

Il mondo è una sala,
Chi entra, chi n'esce!
Quest'oggi la gala,
Vien fatta per me!
La folla si mesce....
La scena è mutata....
(battendogli su la spalla)
Domani..... Arrivata
La gala è per te !

CORO
Che matto! Che matto! ma buono di core!
E il riso non guasta, condisce l'amore!
(escono)
Composizione di Francesco Paolo Frontini
http://frontini.altervista.org/opera_...

Musica e clip di Pietro Rizzo
notazione musicale

giovedì 1 luglio 2010

A Cavalleria rusticana, la Sicilia rispose con Malìa (la storia)


Dalla sua polemica al successo bolognese: questa è la storia dell'opera Malìa di F. P. Frontini oggi, ingiustamente posta in oblio.

Non sempre il maestro Frontini era propenso a far confidenze, ma negli ultimi anni della sua vita ne fece qualcuna assai interessante.

Si tratta della storia della “Malìa”, il maggior lavoro del musicista catanese e certamente uno dei più bei melodrammi “veristi" dell'ultimo ottocento, degno della più fortunata popolarità se non fosse nato sotto cattiva stella.
“Malìa” ebbe una genesi polemica.

L'idea di un'opera di argomento e carattere siciliani nacque, nella mente del Frontini, poco dopo l'apparizione della “Cavalleria “ mascagnana.

Non fu sentimento di invidia quello del musicista catanese - ma una specie di risentimento campanilistico.

Frontini aveva, fin dal 1882, iniziato la raccolta di cantilene e arie popolari catanesi che - sotto il titolo “Eco della Sicilia” - aveva pubblicato presso Ricordi.

Per merito suo l'Italia aveva potuto conoscere ( per la prima volta Mi votu e mi rivotu, Ciuri..ciuri, Amuri, amuri e altri 47 canti ) i veri sentimenti che si nascondono in questa ermetica anima siciliana e che sogliono effondersi attraverso i canti popolari.
Dal canto suo Giovanni Verga - e nei libri e sul teatro - ne aveva saputo mettere in giusta luce tutti gli aspetti della primitiva psicologia.
Frontini era molto amico del Verga e non gli garbò molto vedere tradotta la scarna e densa prosa verghiana ai versi piuttosto retorici intonati da una musica che recava accenti dialettali toscani.
La Sicilia è dei siciliani pensò, e raggiunse Luigi Capuana che, in quel tempo viveva a Roma.
Poeta e musicista dopo molte discussioni, si accordarono su un soggetto originale e di grande evidenza scenica.
L'argomento era verista s'intende, non per nulla il Capuana era il propugnatore italiano della nuova corrente estetica.
Ma il musicista chiese un verismo che non mettesse in evidenza un fattaccio: desiderò la narrazione di una vicenda passionale imperniata si su un “documento umano” ma trasfigurata e purificata dalla musica.
Frontini ritornò a Catania con la testa in fiamme e aspettò il libretto che Capuana gli aveva promesso.
Passarono settimane, quindi qualche mese.
Poi la poesia del libretto cominciò ad arrivare a squarci, a brani, a pezzetti e a Frontini, oltre che il musicista, toccò fare il sarto per ricucirli insieme.
Poesia ottima, versi incisivi si, ma troppo scarni, troppo laconici nei quali la musica - nella sua espansione sentimentale - mal si costringeva.
Il musicista cercò di allungare i versi con qualche ripetizione in attesa che il poeta gli inviasse sviluppi richiesti e il resto del libretto.
Ma Capuana tacque del tutto e Frontini rimase, inoperoso a rodersi nell'attesa.
Fortunatamente non era uomo da abbattersi.
Ripartì per Roma e Capuana se lo vide piombare inaspettato, in quell'ultimo piano della casa dove abitava.
Le parole del musicista furono secche e concise come, fino allora, erano stati i versi del poeta.
Non mi muoverò più da qui se non prima potrò portare con me il libretto di “Malia” completo.
Capuana cedette.
Mise da parte gli altri lavori incominciati, raccolse gli appunti sparsi del libretto di “Malìa” e vi si buttò a corpo morto.
Il lavoro, in breve prese forma.
Il libretto venne acquistato dal musicista che ritornò a Catania elargendo sorrisi, ringraziamenti e tante scuse al poeta: poi lo fece leggere a Mario Rapisardi, lo lesse lui stesso ad una piccola cerchia di amici: tutti lo trovarono bellissimo.
Con questi consensi, il musicista si mise a lavoro e terminò l'opera in poco tempo.
Con il manoscritto Frontini si recò a Milano da Giulio Ricordi, suo editore.
Il quale ascoltò e lodò molto l'opera, però…. però quell'anno c'era troppo lavoro: bisognava rimandare la stampa e la rappresentazione di “Malìa” per l'anno seguente, Frontini, che bolliva non se ne persuase affatto.
Chiuse la partitura e infilò l'uscio con tanti saluti per l'editore famoso il quale lanciò al musicista focoso la sua pacata profezia: Ve ne pentirete.
Li per li Frontini non ci badò affatto.
Un nuovo Editore di musica, il Demarchi, voleva insediarsi a Milano e cercava giovani musicisti da lanciare .
Era una manna. Frontini si presentò a lui e gli fece sentire la sua opera.
“Malìa” venne subito accettata e inclusa nel cartellone del teatro Brunetti di Bologna.
La sera del 30 maggio 1893 Frontini diede la sua risposta a Mascagni: una risposta rispettosa ma fiera.
Ecco La Sicilia, parve dire il musicista catanese e l'entusiastico successo che accolse l'opera parve confermare la sua aspirazione.

Dopo Frontini dovette fare i conti con il destino avverso profetizzato da Giulio Ricordi.

L'editore Demarchi fallì, Frontini si affrettò a riacquistare la proprietà della sua opera che venne rappresentata anche a Catania, l'ultima volta nel 1957.

Poi fu condannata a giacere, sotto chiave.

L'opera - ancora viva e vitale - continua a restare chiusa dentro lo scaffale e aspetta che qualche buon santo la proponga. ( Per approfondire Malìa - qui )