Francesco Paolo Frontini (Catania, 6 agosto 1860 – Catania, 26 luglio 1939) è stato un compositore, musicologo e direttore d'orchestra italiano.

«Bisogna far conoscere interamente la vera, la grande anima della nostra terra.
La responsabilità maggiore di questa missione dobbiamo sentirla noi musicisti perchè soltanto nella musica e nel canto noi siciliani sappiamo stemperare il nostro vero sentimento. Ricordatelo». F.P. Frontini

Dedicato al mio bisnonno F. P. Frontini, Maestro di vita. Pietro Rizzo
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sabato 12 novembre 2016

Celebrazioni per il centenario della morte di Luigi Capuana

Malìa - aspettando che qualche "buon santo" si decida a riproporla in Sicilia, volendo anche a Bologna...    :) prima che io muoia.



Celebrazioni per il centenario della morte di Luigi Capuana -Teatro Sangiorgi

- Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università degli Studi di Catania - E.A.R. Teatro Massimo Bellini - Società di Storia Patria per la Sicilia Orientale

"Letteratura e musica al tempo di Capuana"
Introduzione
Maria Rosa De Luca e Rosalba Galvagno
Concerto
Giuseppe Senfett, pianista
musiche di Francesco Paolo Frontini
Letture
Angelo Tosto
Catania 11.11.2016

"la storia di Malìa" Letture di Angelo Tosto


Giuseppe Senfett in fantasia per pianoforte dell'opera Malìa.



lunedì 18 agosto 2014

La Rivista Popolare ed. 1905 - a Giuseppe Mazzini


"Il culto d’un popolo verso i grandi suoi morti è senza dubbio indizio della sua civiltà; ma, quando si pensi che molti di quei magnanimi a cui s’innalzano monumenti furono perseguitati e calunniati e odiati in tutte le maniere mentre durarono in vita, vien quasi voglia di conchiudere che molte che paiono manifestazioni di animi generosi non sono altro che misere ipocrisie, e gran parte di ciò che diciamo civiltà non è che industria d’inganni, onde un popolo si studia apparire quel che non è, non solo al giudizio degli altri ma di sè stesso.
Sarebbe perciò desiderabile, a decoro di una gente e ad onor vero dei grandi trapassati, che non ci si affaccendasse troppo a commemorare, a statuare, a monumentare coloro che furono grandi, e si guardasse invece di conformare i pensieri e le azioni nostre a quelle dei magnanimi, dico di coloro che tali furono veramente, non di tanti che prima e dopo morte usurparono tal nome, e fama e gloria ebbero di grandi non per fatti [p. 6]propri, ma per capriccio di fortuna che li pose in alto, e per adulazione di servi, che più adorano la fortuna che non rispettino la virtù.
Questa sarebbe da vero opera di nazione civile; ma i popoli, quantunque si dicano civili, seguiteranno probabilmente a far pompa di morti per coprire le miserie dei vivi: chè, inalzar marmi e bronzi costa soltanto danari, quando l’ingegnarsi di imitare i grandi costa tali sacrifici che, tranne pochissimi, nessuno è capace, non che di sostenere, d’immaginare." M.R.




MAZZINI
Dall' Atlantide  di Mario Rapisardi - Canto  undecimo

Sei tu, sei tu, con subito e profondo 
Estro d'entusiasmo Edea favella: 
Ben t'affiguro al mite aspetto, al fondo 
Sguardo, alla fronte pensierosa e bella ! 
O intemerato cavalier del mondo, 
Ben principia da te l' età novella, 
Da te, dal cui presago alto pensiero 
Raggiò, qual sole dall' oceano, il Vero !

Quando più pura e più sublime Idea 
Più puro cor, mente più alta accese ? 
Quando in età più tenebrosa e rea 
Raggio più bel di libertà discese ? 
Quando mai l'ala del Pensier che crea 
Finse più mite eroe, più sante imprese ? 
Quando sdegno che atterra, amor che molce 
Andar congiunti in armonia più dolce?

Dolce armonia, che nel tuo bronzeo petto 
Di vaticinj e di dolor nutrita, 
Dalle voci cresciuta, onde un eletto 
Stuolo agitò la tenebra abborrita, 
Alimentata dal perenne affetto, 
Per cui sì novi eroi dieder la vita, 
Resa divina dal sospir di tante 
Madri e dall' ira e dall'amor di Dante,

Nel tuo grido proruppe, e all'aure prave, 
Onda oscura intristia l' itala pianta, 
Diffuse a un tratto un fremito soave, 
Una speranza inusitata e santa; 
Dai pigri petti, dalle menti ignava 
Fugò la nebbia e la negghienza tanta, 
E come squillo di celesti trombe, 
Svegliò la terra ed animò le tombe.

Sorsero sette re, pallulàr sette
Venali turbe al mal d'Italia armate, 
E industri insidie e perfide vendette 
Fra l'erbe ordir dal pianto tuo bagnate; 
Il demonio dell'Odio e delle Sette 
Ti saettò con Farmi avvelenate; 
Ma il vermiglio Guerriero, un contro a tutti, 
Sguainò la sua spada e fùr distrutti.

Salve, o dell' Ideal nitido acciaro, 
Raggio di libertà puro ed ardente, 
Celere qual pensier, come Sol chiaro, 
Gloria della ridesta itala gente ! 
Per te dall' ombre dell' esilio amaro 
Rifiammeggiò del Ligure la mente; 
Per te l'Idea, che il cor gli arse perenne, 
Nella destra d'un dio fulmin divenne !




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La Rivista Popolare ed. 1905 n. 11/12




martedì 3 gennaio 2012

Mario Rapisardi - "Senza pianto una zolla e senza fiori Terrà chi invan sfidò numi e tiranni." 4.01.2012 il centenario

Con queste poche righe, voglio ricordare il centenario della morte del Poeta, che viene ignorato dai catanesi. Chi avrà la voglia e il tempo, può approfondire nel sito dedicato. (qui).   
- Catania per Rapisardi doveva essere quella che è Bologna per Carducci, invece .....preferisce il nulla.

«Io preparo le valige per il viaggio nell'ombra, e la notizia d'un tuo lavoro sulla mia vita mi giunge grata come il saluto d'un buon amico al momento della partenza. La mia vita è povera d'avvenimenti, e chi ha la generosa idea di narrarla, ha da contentarsi di uno studio sullo svolgimento delle mie opinioni, dei sentimenti, degl'ideali che hanno guidato la mia vita e che tutti si trovano riflessi nei miei libri. ... ». M. R.
*
Egli muore il 4.01.1912 a Catania: al suo funerale parteciparono oltre 150.000 persone, con rappresentanze ufficiali che giunsero addirittura da Tunisi.
Catania tenne il lutto per tre giorni.
Nonostante questo, a causa del veto opposto dalle autorità ecclesiastiche, la sua salma rimase insepolta per quasi dieci anni in un magazzino del cimitero comunale.
*****
Scendeva dalla sua casa al « tondo » Gioeni, in fondo alla via Stesicoro-Etnea: cappello largo, vestito nero, cravattone nero a farfalla, e un ombrello sotto il braccio, parasole o parapioggia secondo lo stato del cielo: alto, pallido, con la zazzera e i baffi lunghi e spioventi alla cinese: divisa da poeta e da pensatore ribelle. Faceva una sosta alla libreria Giannotta, il suo Zanichelli catanese: e di là con breve compagnia si recava verso le undici all'Università. Ciccio, il portiere con la barbetta rossa, annunciava sin dalla mattina: « Picciotti oggi cala Rapisarda »; e l'annuncio si propagava, e la folla in attesa era grande. Il poeta entrava solenne, in un fragore di applausi. Sedeva sulla cattedra di fronte ai banchi stipati, traeva dalla tasca il manoscritto della lezione - quella volta su Parini - e cominciava con tre parole: « Il prete, il birro, il pedante » che rivelavano il soddisfatto tumulto della sua ispirata fatica.
Con tali parole Concetto Marchesi rievoca fedelmente gli anni catanesi in cui frequentava le lezioni universitarie del fiero professore anticlericale e antimonarchico.


*****
Riconoscimenti al Titano, così intitola il 4° paragrafo del 5° capitolo di “Una vita tormentata”, pubblicato nel 1991 da Sebastiano Catalano con prefazione di Nicolò Mineo.

Due avvenimenti contrassegnarono lo scorcio del secolo xx: uno di segno positivo che fece risplendere ancora di più il fascino e il carisma che il docente (M. Rapisardi) esercitava sulla gioventù studiosa, la cui fama si era estesa ben oltre l'Isola ed aveva «contagiato» quelli di altre Università (Palermo, Messina, Roma ed anche straniere); l'altro minore, che toglieva qualcosa di accademico al professore, che rinunziava (per motivi di salute) a mantenere la presidenza della Facoltà di Lettere, rivestita da un decennio. Ciò avveniva agli inizi dell'anno 1899. Di ben altra risonanza e valenza il primo, volano del quale furono le manifestazioni promosse da un Comitato di studenti. L'occasione fu il giubileo di Palingenesi (1868), i Trent'anni trascorsi dalla prima edizione.
Le «Onoranze» al Vate coinvolsero studenti vicini e lontani, come le studentesse della Scuola di Magistero di Roma, le autorità cittadine (sindaco e giunta comunale, la Provincia) e tutte le associazioni esistenti allora a Catania, le tre Università e i Sindaci di Palermo e di Messina (ciascuno aderì a nome della rispettiva Città). Naturalmente furono il sindaco e la giunta comunale, che diedero con le deliberazioni adottate ad hoc una veste di festa e solennità che coinvolgeva l'intera città (come vedremo fra poco).
In quell'occasione un gruppo di studenti, particolarmente vicini al Maestro («i discepoli»), con contributi apprezzabili, diedero alle stampe una speciale pubblicazione dedicata al Vate e caposcuola.
Il Rapisardi ringraziava, qualche giorno dopo, commosso per le vibrazioni suscitate in Lui dagli scritti e dalle composizioni.

*// monumento in bronzo voluto dagli studenti universitari
Il programma e lo svolgimento completo delle «Onoranze», deliberate dal Comitato per il 19 giugno 1898, subì il veto del prefetto di Catania. (….)
Le manifestazioni, in seguito autorizzate, si svolsero nel gennaio del 1899 ed ebbero il clou con una cerimonia spettacolare al massimo, che vide la partecipazione massiccia del popolo con le rappresentanze delle autorità catanesi e degli Atenei della Sicilia, di folti gruppi di studenti delle Università di Trieste, Vienna ed altre, e che si svolse domenica 22 gennaio 1899. Per rievocare avvenimenti che hanno per teatro la città intera, occorre attingere alla cronaca coeva che è sempre prodiga di dettagli interessanti.
L'inaugurazione del monumento al Giardino Bellini: essa assurge a glorificazione in vita del Vate, consacrazione definitiva da valere per le nuove generazioni. Il programma comprendeva l'inaugurazione di esso alle ore 12, la conferenza del prof. Ragusa Moleti nel foyer del Teatro Bellini alle ore 15 e, infine, la sera del 19, un'artistica fiaccolata con «Illuminazione festiva del Palazzo Municipale e del Siculorum Gymnasium». (...)
È impossibile riassumere le proporzioni dell'avvenimento, l'imponenza del corteo che si snodava lentamente dalla Piazza Università, i gonfaloni del Municipio e delle tre Università siciliane, le bandiere di tutte le associazioni e dei sodalizi cittadini, le due bande: la municipale e quella dell'Ospizio di beneficenza, che suonavano l'inno degli studenti e l'«lnno a Rapisardi» (autore lo studente Lucio Costanzo).
All'arrivo la «Villa» era già gremita e quindi, inevitabilmente, furono invase le aiuole «fra la disperazione dei guardiani». Subito dopo lo scoprimento, i discorsi del Sindaco, di Virgilio La Scola, in rappresentanza dell'Associazione della Stampa siciliana, del professore Boner di Messina, del dottor Antonio Campanozzi per il Comitato promotore.
Poi il tentacolare corteo si dirigeva verso la casa del Poeta al Borgo. L'incontro fra il Sindaco e il Rapisardi e l'abbraccio alla sommità della scala fu sotto il segno della commozione e delle lacrime. Il cronista attento annotava: «L'illustre Poeta è stordito dalla forte emozione», mentre la folla esigeva di vedere il Poeta e «Finalmente il Rapisardi viene spinto a farsi sul balcone». È un momento esaltante e fantasmagorico, ma per il Poeta di smarrimento «Migliaia di cappelli e di fazzoletti sventolano vertiginosamente, migliaia di bocche gridano: viva Rapisardiì le bande intuonano l'inno a Rapisardi e quello agli studenti, le bandiere oscillano e s'inchinano dinanzi al Grande». «Egli, solenne, circonfuso, ringrazia col gesto, che la parola gli si ferma nella gola stretta dalla commozione...». Per la commozione il Rapisardi è costretto a ritirarsi «la vista gli si offusca, i ginocchi gli si piegano... e si ritira...».
Nonostante l'imponente partecipazione popolare non si registrò alcun disordine e turbamento dell'ordine pubblico, come si dava atto nel rapporto del delegato di P.S. al questore «La cerimonia in complesso è stata ordinatissima e seria» . Fra le personalità presenti nel corteo gli onorevoli Angelo Majorana e Giuseppe De Felice, nonché i rappresentanti della stampa catanese: Nino Martoglio, direttore del «D'Artagnan» e Paolo Arrabito, direttore della «Gazzetta della Sera», quotidiano.
Un'iniziativa editoriale e culturale di rilievo, in consonanza con le onoranze, fu assunta da Antonio Campanozzi, con l'inizio della pubblicazione della rivista «Palingenesi».
Dopo le «Onoranze» veramente eccezionali, che - come abbiamo visto - si conclusero nel gennaio 1899, il Poeta ringraziava con un messaggio diretto «Agli studenti» e rifletteva che mai come di fronte ai giorni resi solenni «io ho sentito l'insufficienza dell'opera mia» ed emergeva il senso di «malinconia». «E la malinconia cresce se considero la tristizia dei tempi e le misere condizioni a cui è ridotto il nostro sventurato paese»; concludeva esortando i giovani a credere «che la giustizia, la libertà, la pace regneranno, presto o tardi, nel mondo». Delle «Onoranze», tributate con affetto, con intensità, solennità ed ufficialità, rimangono gli «Atti», un volume di scritti critici e di rievocazioni, di cronache e di ricordi personali, pubblicato a cura dell'infaticabile presidente del Comitato promotore ed organizzatore.


*Busto all'Università (1899) - Apoteosi per un vivente.
La fase della «monumentazione» del Vate continuò con l'inaugurazione del mezzo busto all'Università, scoperto il 23 gennaio successivo alle ore 14. Oggi non più esistente, era «collocato nel muro di ponente dell'Aula Magna». Dopo gli immancabili discorsi (oratori il dott. Campanozzi, il Rettore Annibale Ricco, il prof. Giardina a nome della Facoltà di Lettere), una commissione di studenti si recò a fare visita al Poeta per consegnargli alcune pergamene, due album: uno con le firme di studenti di Vienna e l'altro con le sottoscrizioni di quelli dell'Università di Roma e delle studentesse del Magistero femminile, un quadro del pittore Alessandro Abate ed altri doni («uno scudo d'argento degli studenti triestini dell'Università di Graz»). Un'ovazione prolungata degli studenti, rimasti ad attendere sulla via «costrinse il Poeta ad affacciarsi per ben due volte». Era il massimo che il Poeta poteva concedere ai suoi giovani estimatori e discepoli! .
Questo grande avvenimento, motivo di orgoglio per qualsiasi persona, turbò il professore Rapisardi. Ecco le «conseguenze» sul comportamento successivo del Poeta, come le riferisce un testimone, il prof. Casagrande «Quando per il giubileo della sua Palingenesi (1899) gli studenti delle tre Università di Sicilia gli decretarono un busto di bronzo, Egli si scusò d'intervenire all'inaugurazione solenne, e d'allora in poi non passò più per la corsia del corridoio superiore, che gli avrebbe mostrato la sua apoteosi. Egli in quella apoteosi vide invece le estreme sue esequie. Da questo quadro esce un uomo schivo, modesto, che scansava le riunioni solenni e, insieme, il fastidio della popolarità, restìo alle esibizioni ed agli applausi.
Vedi anche
Le onoranze del 1889. svolte a Catania per M. R., di Lorenzo Vigo-Fazio

Rapisardi - Un poeta della Natura e del Mistero -
Saggio di Nunzio Vaccalluzzo - ed. R. Sandron 1930   (indispensabile per capire il Poeta)  (Qui)









 (Poemetti - Don Josè VII)

O vecchia vela, che degli euri infidi
Sai la chiara lusinga e il fosco oltraggio,
E all'incertezze d'un lontan viaggio
Audace ancora il sen logoro affidi

Troppo in te forse e del nocchier tuo saggio
Nella fortuna e nel valor confidi,
Se contr'al ciel maligno e al mar selvaggio
Speri giungere illesa agli ardui lidi.

Ma sia che il vento ti flagelli, o sia
Ch'oziosa tu penda all'aria morta,
Sempre al ciel t'aprirai nitida e franca;

E se cadrai da'  neri gorghi  assorta,
Cadrai come la vecchia anima mia,
Lacera si, ma dispiegata e bianca.  
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 "Vada intanto al tumulo del prode, che pensò e cantò così altamente ed ebbe così nobili sdegni per tutti gli oppressi, contro le sopraffazioni e le vigliaccherie, il commosso nostro rimpianto e l'affettuoso saluto".
"Critica Sociale", a. XXII, n. 1, 1 gennaio 1912, p. 5.
Necrologio del poeta catanese - Filippo Turati
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PAGINE AUTOPSICOBIOGRAFICHE

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Questa baraonda, giova pure a qualcosa:ci dà la misura della politica, della cultura e della morale italiana... (QUI)


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IN MORTE DI MARIO RAPISARDI
Da vari giorni infermo
giaceva il sommo pensator poeta;
e, rassegnato come un greco stoico,
aspettava seren l'ultima mèta.

E intorno a lui gli amici,
nella trepidazion, nell'amarezza,
prevedevan vicina la catastrofe,
senza speranza alcuna di salvezza.

Ed oggi si diffonde,
messaggera di lutto e di sconforto,
triste notizia, in termini laconici,
ahimè, che Mario Rapisardi è morto!

A sì ferale annunzio,
piange l'Italia che lavora e spera
e il genio, che non ha confini e codici,
piange, anch'egli, al di là della frontiera.

Par che la nostra vita
sia come tôcca da malore ignoto
e si stacchi qualcosa dal nostr'essere,
lasciando noi nello squallor, nel vuoto.

Chi fu? Fu lottatore,
rigido nella vita e nei costumi,
diritto di pensiero e di carattere,
odiato a morte da gonfiati numi.

Fu educator che seppe
sull'esempio basar l'insegnamento,
suscitando nel cuor de' suoi discepoli
la forza e la virtù del sentimento.

Come principio pose
'amor fraterno che insegnò egli stesso;
e, per base, ritenne urgente l'ordine,
e come fine designò il progresso.

Ei di sospetti onori
schivo e flagellator della menzogna,
nella sua vita non trovate un attimo
d'incoerenza e viltà, nè di vergogna.

Il dilagar del vizio
e il traffico sferzò della coscienza;
per questo l'addentava il Giove olimpico,
sotto il manto dell'arte e della scienza.

Sempre sdegnoso e fiero,
della giustizia difensore invitto,
contro l'abuso di civili barbari,
d'oppressi e vinti perorò il diritto.

Egli ebbe anima greca,
cuore di Tito, mente gigantesca;
concezione profonda di filosofo,
genio latino, ispirazion dantesca.

Ei l'avvenire umano
divinar seppe con robusti versi.
Basta legger Lucifero e l'Atlantide
per convincersi meglio e persuadersi.

L'opera di scrittore,
arte fu di sublime poesia;
e benchè non toccò Clitunno e Satana,
chi può negar che novator non sia?

Chi può negare in lui
il genio della scienza e della rima?
Che importa se Carducci, pien di fegato,
volgarmente l'assale e non lo stima?

Basta che lo comprenda
chi sdegna genuflettersi e servire
e non cerca medaglia o laticlavio,
lottando - come lui - per l'avvenire.

Basta che le dottrine
professate da lui diventin pane,
che alimenti la fede e nutra l'anima,
nel turbinio delle vicende umane.

In si calda speranza,
copriam la tomba sua di semprevivi,
mentre, nell'ora luttuosa e tragica,
passano i buoni e restano i cattivi.


 ANTONIO GAMBERI             Joeuf, gennaio 1912

*****
Ho scritto malissimo lo so; e non per la fretta e la furia con cui ho scritto; ma perchè non so far di meglio. Mi biasimerai? Non m'importa. Non ho nulla da perdere nella fama. (Pietro Rizzo)