Francesco Paolo Frontini (Catania, 6 agosto 1860 – Catania, 26 luglio 1939) è stato un compositore, musicologo e direttore d'orchestra italiano.

«Bisogna far conoscere interamente la vera, la grande anima della nostra terra.
La responsabilità maggiore di questa missione dobbiamo sentirla noi musicisti perchè soltanto nella musica e nel canto noi siciliani sappiamo stemperare il nostro vero sentimento. Ricordatelo». F.P. Frontini

Dedicato al mio bisnonno F. P. Frontini, Maestro di vita. Pietro Rizzo
Visualizzazione post con etichetta futurista Catania. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta futurista Catania. Mostra tutti i post

sabato 17 gennaio 2015

«Scapigliatura Catanese» di Gesualdo Manzella Frontini

Eravamo di quella generazione irrequieta, che aveva esercitato gli spiriti bollenti sotto il Consolato Austriaco, gridando « Viva Trento e Trieste » e cantando l'inno a Oberdan s'era fatta piattonare  dalle daghe dei questurini.

Generazione segnata dal destino per due guerre.
Fu proprio nelle vacanze che precedevano l' ingresso all' Università che il gruppetto iconoclasta sopraggiunto dalle smanie volle concretare la sua azione, confidando ad un giornale tutte le speranze e le certezze di un rinnovamento.
Tre matricole e un paio d'irregolari, e c' era un  anziano studente  di filosofia.
Vacanze torride dell'agosto siciliano, anzi catanese, così che alle scalmane letterarie dava vital nutrimento la calura del lastricato lavico del Corso Stesicoro fluido tra i vapori, e dissolvetesi lontano l' Etna.
Avevamo sulla coscienza tre o quattro giornali letterari e un mucchio di debiti con tutti i tipografi, e scantonavamo con apprensione all'odore dell'antimonio, pur avendo rifilato con dignità e cuor trepido ai genitori le note insolute del nostro primo  assalto  alla  gloria.
Tempi di preparazione e di orientamento verso una cultura più vasta, e d'insofferenza per ciò che andava deteriorandosi del tramontato ottocento. Diane vaghe, con programmi ancora in fieri, ma si attaccava la vecchia cultura e il vecchio mondo.
Le nostre aspirazioni si polarizzavano verso Firenze. Il «Leonardo», Papini, il pragmatismo, le questioni sociali : le distanze ingrandivano i fatti e gli uomini, quaggiù ci sentivamo spaesati e senza destino. I colleghi universitari che ci avevano preceduto di tre o quattro anni si erano composti e addormentati nella polemica Carducci-Rapisardi, che noi consideravamo ormai superata, e ci lasciava indifferenti. 
E infatti deposto il berretto goliardico, s'era visto che di quei propositi audaci non restava che il desiderio di collocarsi, anche a tradire, al canto del gallo.
E quando si era saputo che il Rapisardi lasciava la cattedra si direbbe che si era provato un certo chiuso compiacimento. Del resto la facoltà di lettere era in quel tempo fra le più salde e quotate : 
Carlo Pascal, Ettore Romagnoli, Paolo Savj-Lopez e poi, onore grande per noi letterali, l' assunzione di Luigi Capuana a maestro di stilistica e lessicografia. Una cattedra come un'altra, ma l'orgoglio di poter sentire la parola di uno scrittore vivo e vegeto, che la generosità di un Ministro aveva cercato di strappare alle incertezze di una vita precaria ci strinse attorno al Maestro  benigno e sorridente.
Il « Circolo Artistico » era il nostro covo. Fra gli insegnanti della vigilia liceale, colta gente compassata e tradizionalista, e noi pochi reprobi si stabilirono relazioni di generosa simpatia da quella parte e di ossequio ironico da parte nostra.
Qualcuno di noi aveva già lanciato un volumetto ribelle, fin nel titolo, dai banchi del liceo, « Novissima » semiritmi, con la certezza di far dispiacere ai professori, mentre poi aveva dovuto subire una affettuosa e commossa paternale sulla intemperanza, le imitazioni, gli echi abbondanti ch'erano  nel libro incriminato.

E intanto Giovanni Verga, al quale, arrossendo, facevamo tanto di cappello, passando davanti al « Circolo Unione » aveva propinato l' elisir delle più folli speranze al giovanetto audace, che osava dedicargli un suo volume di novelle anticipato da una prefazione che annunziava il crollo di tutte le tradizioni e di tutte le regole e la rivoluzione più interessata e inesorabile della sintassi. Vale la pena di trascrivere la lettera illuminata dal grande sorriso di quel galantuomo fine e ironico.

Egregio Sig.  Manzella, La  ringrazio del volumetto che ha voluto mandarmi  « per   un   giudizio »   ma io non  mi sento vocazione nè veste di giudice, e men che meno dopo quel po' di roba che dice avanti « ai miei critici ». Senta, per quella simpatia che mi ispira il suo ingegno di cui dà in queste prime novelle una magnifica promessa — glielo dico subito — nelle illusioni dei suoi vent'anni ci son passato anch' io — e anche per la simpatia che Ella mi dimostra dedicandomi una di queste sue novelle, lasci stare i titoli e sottotitoli violenti, le prefazioni gonfie e vuote — ne ho anch'io sulla coscienza — i propositi fatui di rinnovazione e di resurrezione, e lavori, e faccia e rifaccia con gelosa e incontentabile autocritica. Ella è giovane, beato lei, ha dell'ingegno, e può fare. Questo glielo dico un po' bruscamente forse, e forse pei intonarmi allo stile della sua prefazione, ma sinceramente, e badi che non faccio complimenti, e il lieto pronostico che faccio a lei non fo a tutti. Così la mia franchezza anche sgarbata, le si mostra più sincera e le farà piacere. 
Buon augurio a lei  G. Verga.

Figurarsi. Il giovanetto, che slittando sulle sferzate del Maestro, si adagiava, compiaciuto, sulle parole buone, dettate certo dalla cordialità dell' artista arrivato, s'era collocato capo gruppo.
In quella lettera del Verga c'era stato indubbiamente lo zampino del Capuana, che se amava quel trio di scapestrati ribelli, fedelissimi uditori e appassionati delle sue lezioni, di tanto in tanto, se l' occasione si dava, non risparmiava qualche stretta di martinicca.  Tant'è i tempi stringevano e bisognava bruciare le tappe. Il giornale ci voleva.
E una sera, il giovane fu incaricato di redigere un manifesto ch'egli indirizzò « alla gioventù contemporanea e agli artisti giovani». Bisognava parlare chiaro e forte, rompere il sonno agli indolenti, menar le mani, lanciar sassi, non importa se taluno senza indirizzo preciso. Anche a Palermo c' era odor di battaglia. A Messina si era lavorato di lena già qualche anno prima con la rivista « Ars Nova » ove collaboravano giovani preparati solidamente, acuti e aggiornati. Fermento, ch'era in fondo, il sintomo di quella nuova Italia che si annunziava in crescenza portentosa, dopo l'equivoco torpore del passaggio inavvertito del secolo giovane sul vecchio. 
Strabiliati i professori, ch'erano stati chiamati — i nostri vecchi professori del liceo — a fiancheggiare l'opera dei giovani, ma che in realtà avrebbero dovuto, paziente milizia in borghese, impedirci audaci sconfinamenti.
Il manifesto ne uscì stroncato, mutilato, scapitozzato, roba da far pena. Noi ci vendicammo facendone stampare un'edizione ufficiale per tranquillizzare gli spiriti diffidenti di taluni amministratori del « Circolo Artistico » e risparmiare la dignità e l'onorata divisa dei nostri ex-professori; e un'edizione alla macchia che ci affrettammo a lanciare fra gli amici e i conoscenti della Penisola, mentre qualche copia riservata veniva fatta scivolare nelle tasche degli accoliti e dei novizi, che guardavano a noi come a gente di gravi propositi. Il manifesto s'infiorava di simili frasi:
« Parta dalla terra del sole, dalla città ardita sotto l'incubo del minaccioso possente ubero di fuoco, o fratelli giovani, dispersi fra le ruine d' Italia, la voce di rinnovamento»; affermava la necessità di « risvegliare le virtù della razza » e si proponeva « senza preconcetti, scuole, formalismi, di seguire l' istinto vergine da ogni tocco d'imitazione». «Noi siamo la vita e il futuro, oltre ogni teoria per un fine di rinnovamento: noi  rechiamo in noi l'avvenire».
A Luigi Capuana fu fatto leggere il manifesto stampato alla macchia, l'edizione integrale. 
Il Maestro parve perplesso. Forse in cuor suo si doleva di talune contingenze di carattere pratico, per le quali non aveva accettato la direzione del periodico «Critica ed Arte», che poi durò un anno e che nell'ordinamento e nel carattere programmatico, specie nei primi numeri, fu il giornale più aderente alla famiglia di cui era il rappresentante : disaccordo dichiarato, profondo, congenito, simpaticamente incongruente. Atteggiamenti e pezzi prefuturisti fra articoli e novelle barboge, talvolta  mattoni   eruditamente  deprimenti,  poesie di Tommaso Cannizzaro e folgorazioni  stellari del Marinetti.
Frattanto, era nata la « Voce » e con più scaltri aggiornamenti e con più diretti contatti si aggrediva da ogni parte la resistenza passiva dei detentori di quella cultura che si esauriva in sè stessa, senza mete, senza ideali. Per qualcuno di noi però tutto ciò aveva importanza fino ad un certo punto, che ritenevamo 1' arte dovesse rimorchiare o almeno aprire la via alla politica, e non farsi rimorchiare.  Il giornale era morto.
Ed ecco improvviso sul nostro cielo teso nella stanchezza, grave sui nostri spiriti (propositi di evasione scoppiavano qua e là definitivi) guizzare un giorno il fulmine futurista. Marinetti da Parigi lanciava il suo Manifesto e voleva uccidere il chiaro di luna.
Quella sera ci trovammo tutti, e l'autore dell' appello « alla gioventù contemporanea e agli artisti giovani » ebbe il suo quarto d' ora di rivincita. Sembravamo impazziti. Conoscevamo Marinetti. Egli faceva sul serio, e chiedemmo d'essere con lui e ci affidammo alla sua sapienza tattica e al suo impeto, che ci sapeva del vulcano poderoso, il quale avevamo chiamato a testimonio delle nostre intenzioni e del nostro programma distruttivo. Marinetti rispose con una lettera, che oggi ha un interesse documentario, che narra un programma realizzatosi nella storia.
« Caro Collega, ho trovato nel vostro invito agli artisti giovani e alla gioventù contemporanea un fervido e magnifico grido di riscossa, genialmente lanciato alle forze virili della letteratura, perchè esse si manifestino « senza scuole, preconcetti e formule, seguendo l'impulso vergine d' ogni tocco di imitazione » : questo è infatti uno degl'impulsi che hanno prodotto il nostro Movimento Futurista, ma non la sua essenza distruttiva e ascensionale, che non abbiamo inventata nè voi, nè io, come nessuno ha inventato — permettetemi lo scherzo — le instancabili forze vulcaniche che screpolano la vostra Isola divina. Io  mi sono accontentato di dare la formula esplosiva e incendiaria di un ammasso di sorde rivolte, di nause profonde, di disgusti feroci contro il culto del passato, l'impero dei morti, la tirannia dei professori, dei politicanti astuti, pacifisti e conservatori. Il futurismo non è altro che una parola facile e leggera da sventolate dovunque il genio creativo trionferà delle strettoie scolastiche, dovunque il sangue irruente sarà sparso prodigalmente per una idea ; dovunque si lotterà senza paura per distruggere quotidianamente tutto ciò che agonizza in noi, per meglio abbracciare l'irruente futuro. Senza paura, dico, senza guardarci alle spalle, camminare, correre velocissimamente nella polvere  dispersa dei nostri morti. Senza paura, dico, poiché l'Italia è disgraziatamente ancora un paese di vigliacchi, di uomini seduti in poltrona a sognare, o a collezionare francobolli. Disprezzo del passato, libertà assoluta a tutte le follie, a tutte le ebbrezze del sangue ; tutti i diritti alla gioventù, e, ai vecchi, soltanto quello di morire. Ecco il programma che il nostro sangue c' impone ! La guerra, presto ! Domani, speriamo; contro l'Austria, naturalmente, poichè da tempo siamo infastiditi dalle sue insolenti gomitate!... La guerra, poichè tutto infradicia, si avvilisce e si mummifica nella pace!... La guerra, con la immensa fiammata d'entusiasmo, di disinteresse e di eroismo, coi suoi crolli, con le sue rovine, con la sua congerie di prudenze calpestate, di legami infranti, di esistenze capovolte. Futurismo vuol dire ancora : liberazione dai rancidi sentimentalismi che appestano la letteratura, liberazione dalla tirannia dell'amore, che schiaccia e  falcia  le  migliori  forze  dei  popoli  latini.
Come vedete, nulla ho inventato: ho semplicemente espresso in una forma violenta le idee che ribollono nella migliore parte della gioventù italiana. In Italia, dove non si fa, ahimè, che del personalismo, disprezzando i pensieri degli uomini, per non giudicarne che le facce, gli abiti, e la borsa, il Futurismo fu accolto da un uragano di insolenze, accusato di bluf, di reclamismo ad oltranza. In Francia, invece, in Inghilterra, nell'America del Nord e nel Giappone il Futurismo fu salutato da una salve di applausi, suscitando discussioni e controversie che ne assicurano ormai il trionfo. Questo tenevo a dirvi, caro collega, per la simpatia che io nutro per il vostro ingegno novatore, e per le alte idealità che ci sono comuni. Vostro  Marinetti
Prima di questa lettera c'era stato un momento di perplessità avvilita, ma poi vinse in noi l'impetuoso temperamento siciliano. E cominciò lo scambio ininterrotto torrenziale di corrispondenza fra il giovane e l'Apostolo.
Catania   divenne   stazione collegata d'irradiazione futurista. I bombardamenti marinettiani esaltanti l'originalità l'ingegno il coraggio dell'isolano seguivano   agli   articoli   a  catena,  che  dal quotidiano della città spazzavano finalmente, lanciati a serie, l'aria morta e suscitavano curiosità; interesse, irrisione  e  perfino  un duello. Cari giorni indimenticabili in cui si viveva per mille, nella illusione di vedere crollare il vecchio mondo fra le convulsioni. 
E all'Università che cosa avveniva?
Molti  colleghi   vollero  dignitosamente  dimostrare il   disappunto,   fischiando   il   Futurista, e furono battuti dal  gruppo esiguo, e non soltanto metaforicamente. Marinetti prometteva una sua prossima visita :  bastava  questo per esaltare il collega lontano  —  che  fra  l'altro anche gli amici si dissipavano:   la   vita   diventava   impossibile.   Questo mio   vecchio popolo catanese, satrapo di tante civiltà, esperiente e ironico, quando non esalta irride. Ma era bello restar solo, disdegnoso: adorno zavorra. E finalmente scoppiò l'ultima bomba che sconvolse molte posizioni avversarie.
Il propagandista instancabile,  che attendeva la visita della pattuglia futurista nel suo paese, ov'era quasi solo a difendere,  sentinella  morta,  il movimento, osò una sortita in campo nemico con un audace mossa tattica, servendosi di un mascheramento, che proteggeva moralmente  l'avanzata.
Si era pubblicato allora allora  «l'Incendiario » del Palazzeschi,  ed ecco sulla terza pagina del quotidiano un articolo dedicato a «Luigi Capuana, sempre giovane» .  Il Maestro aveva infatti talune idee personalissime sulla funzione stimolatrice e quasi  precorritrice  della critica.
Pochi giorni dopo con grande meraviglia dello stesso autore dell'articolo, perveniva al giornale, col nulla osta per la pubblicazione, la lettera che pubblichiamo, quasi integralmente, e della quale il Marinetti fu entusiasta.

« Caro Manzella Frontini. Voi lusingate gentilmente la mia vanità chiamandomi in pubblico «sempre giovane». Grazie. Mi avete fatto ricordare di quando ero giovane davvero e un po' ribelle, come e quanto poteva permettermelo la mia indole tranquilla, alquanto scettica nonostante gli entusiasmi che mi spingevano a lavorare. Se ora l'età mi consiglia di tenermi in disparte, il ribelle di di una volta si compiace però di stare a guardare e ad ascoltare quel che fanno e dicono i giovani vostri pari; e soltanto il timore di sembrare ridicolo, come tutti i vecchi che hanno la velleità di mostrarsi galanti a dispetto degli anni, m'impedisce di mescolarmi alle vostre discussioni e di manifestare quel che penso intorno alle opere, versi e prosa, che le traducano in fatto.
Ma nell'intimità di questa lettera di ringraziamento posso prendermi la libertà di dirvi che la notevole spiegabilissima esagerazione del loro programma non m'impedisce di approvare nel giusto valore i Futuristi. Se avessi cinquant'anni di  meno,   mi  dichiarerei  uno  di  loro.
E evidente che essi chiedono cento per ottenere almeno venti ! Sono giovani di grande ingegno: e se fanno un po' di chiasso, questo dimostra  che intendono il  loro  tempo.
In un certo modo il Manifesto del Futurismo mi sembra una fierissima satira al pubblico distratto e alla pedanteria che vorrebbe continuare a baloccarlo con le vecchie formule retoriche, classiche o romantiche, non significa niente. 
Che Marinetti e i suoi amici siano dei matti da legare è tale enorme sciocchezza da non potersi attribuire saviamente neppure ai loro oppositori, Marinetti è un raro poeta, un fortissimo artista. Chi ha scritto « Roi Bombance » e « La ville Charnelle » dev'essere preso molto sul serio.
Buzzi, Cavacchioli, De Maria, Palazzeschi e gli altri, chi più chi meno, han dimostrato di voler tentare nuove vie, e fan prevedere che, presto o tardi, sbarazzandosi facilmente dell'esuberanza - chiamiamola così - giovanile, daranno geniali e notevoli frutti di arte elevata e sincera.
So che Marinetti e i suoi apostoli verranno a Palermo e, forse, a Catania. Credo che da noi non avverrà la indecente gazzarra di Napoli e di altri posti. 
Chi non combatte idee e uomini per partito preso, dovrebbe cavarsi il cappello davanti a questi coraggiosi giovani che hanno cultura ed ingegno da vendere. E, dopo tutto questo, lasciatemi invidiare la vostra  reale giovinezza.
Cordialissimi  saluti dal vostro
Aff.mo  Luigi  Capuana

Lo sbaraglio fu completo fra gli universitari, la vittoria passò ingagliardendo i tiepidi e convinse perfino coloro che per temperamento non avrebbero mai piegato il capo carico di morte formole  e  di sorpassati pregiudizi. La lettera del Capuana fu riprodotta dal Marinetti in migliaia di esemplari e divulgata in tutto il mondo.
Il lievito spirituale di quel movimento già dava sul suolo di Tripoli quella prodigiosa fermentazione, che sarà più tardi evidentissima nella falange del  volontarismo futurista del  '15.
G. Manzella Frontini

* Tratto da Catania rivista del comune 1955 - articolo gentilmente offerto da Teodoro Reale.







martedì 29 maggio 2012

COSA É IL FUTURISMO ? Commento al decalogo di Gesualdo Manzella Frontini (1910)


COSA É IL FUTURISMO ? Commento al decalogo di Gesualdo Manzella Frontini



I. Noi vogliamo cantare l'amor del pericolo, l'abitudine all'energia e alla temerità — Il coraggio l'audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.
E perciò, o signori critici, nessuna impennata: in ogni caso quest'affermazione è restrizione del mondo poetico non già allargamento di confini.
Senz'essere futurista la buon'anima di Tirteo piantava gli acuti speroni ai fianchi dei muscolosi guerrieri spartani cantando l'amor del pericolo e della temerità: l'abitudine all'energia erasi assimilata e s'esprimeva nella bellezza plastica di quei corpi, che il ginnasio aveva foggiati, mirando lontano ad un ideale di forza bella.
O gli speroni acuti del canto bronzeo volante di Tirteo.
O gli Hypothékai, o gli Embatéria.. pulsanti e forti di temerità !
Ma la critica non à il dovere di saper leggere le intime relazioni e le mutue rispondenze che trascorrono tra i balzi del tempo, legandolo in anella possenti e sotterranei la corona delle esistenze, ed in onde il mare agitato dei commovimenti umani.

IILa letteratura esaltò fino ad oggi, l'immobilità pensosa, l'estasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l'insonnia febrile il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.
Meritatissimi schiaffi e meritatis-simi pugni, o pacifici borghesi, che avete condannato l' anima a far le pulci entro la berlina aperta agli scaracchi del primo venuto! Poi avete riso al Poeta che osava ribellarsi con incomposti movimenti ed impetuose scosse e divincolamenti, con la scusa ch'era ridicolo.
Per tutti i capelli di San Pietro, meglio, assai meglio il verso che avesse l'agilità d'un salto mortale, la sonorità d'uno schiaffo, la velocità appena percepibile d'una corsa e la persuasione.... d'un buon pugno alla Johnson, che la putrida velma verminosa d'un sonettaccio contemplativo, laudativo, inneggiante... alla cocolla o al panno chiazzato d'una qualunque bimba di clorotica salute!
Ed ora l'avete anche con me! Badate alla pesca e alle adunche branche dei granchi... (che serie di gruppi... gutturali-nasali) !
Io  non sono un avvocato futurista! Figuratevi che il Marinetti ad un
certo punto del suo proclama dice: « Ci opponete delle obiezioni?.. Basta! Basta! Le conosciamo... Abbiamo capito!.... La nostra Bella e mendace intelligenza ci afferma che noi siamo il riassunto e il prolungamento degli avi nostri. Forse!... Sia pure ! Ma che importa? Non vogliamo intendere!....
Guai a chi ci ripeterà queste parole in faccia!... » 
Ebbene io tante volte gli ò ripetuto in faccia quest' accusa ed ancora ritorno ad accusarli... Quindi non sono sospetto di... partigianeria.
Il   secondo comma del decalogo però mentisce: signori critici, e cosa mai cantava l'Unico, l'enorme, l'irriducibile Pindaro?
Inni, peani, ditirambi, epinicii! Eternità del Kallinicos, consacrata dalle ampie volate delle strofi palpitanti!

Voi, signori, che non avete osato parlare del Futurismo mentre dall'imo fegato la bile per la via dei polmoni v'urgeva irruenta alla gola, conglobata in triviali insulti, in fulminanti parolacce pesanti come un poema rapisardiano, voi, signori, avrete naturalmente inteso che gli epinicii di Pindaro esaltavano il movimento aggressivo, l'insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto... il lancio del disco, la lotta violenta corpo a corpo....
E allora anche Simónide e allora Pindaro furon futuristi?
Tutto ciò non potrà magari piacere al Marinetti, ma i signori critici non dicano che ò torto....
In tutti i casi si difenderanno, che ne àn diritto, distinguendo futurismo da futuristi! Io per tanto son con loro: Non tutti gli spartani eran valorosi e coraggiosi allo stesso modo; ne tutti i poeti di Italia àn cantato una Divina Commedia!...

III. — Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una nuova bellezza: la bellezza della velocità. Un automobile da corsa, col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall'alito esplosivo... un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia.
Questioni di gusti. È stato forse determinato da alcuno, che ne abbia avuto formale incarico dall'Umanità, l'ambito entro cui la ispirazione dell'Artista s'abbia a contenere? Non può forse la fantasia del Poeta sferrare per l'eccelse plaghe dei cieli intentati ?
Un solo monito ed una sola legge: Seguire ed imporsi un sogno di bellezza. Allora quando sentirà intensamente ed in egual misura saprà riprodurre le  sue sensazioni, l'Artista à creato opera vitale, e gli uomini avranno da Lui preteso non ingiustamente e non oseranno chiedergli oltre.
Massimo Bontempelli elogiava l'automobile e la sua donna scalmanata nella corsa, quando ancora il futurismo non aveva proclamato i suoi diritti; ed il maltrattato Monti — or è molti anni — tesseva una sua classica ode al signor di Mongolfier, speranzosa e profetica, come tutto ciò che s'abbandona con fiducia al futuro.
Ciò non pertanto la Vittoria di Samotracia resterà a significare l'espressione d'uno stadio di bellezza oltrepassato, non condannato, nè irriso, e maraviglioso. Si deve per ciò incancrenire ed immarcire la energia nuova con innesti anacronistici? Non crediamo.

IV. — Noi vogliamo inneggiare all'uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la terra, lanciata a corsa,  essa pure, sul circuito della sua orbita.
Bella ed efficace figura retorica per dire che tirate le somme pànta réi! Tutto scorre, si muove, agisce; che la dinamica par sia per sostituire, nella esatta concezione dell'universo, la statica, Energheia: ecco la decima Musa. Non è forse la filosofia bergsoniana che tanta fortuna solleva in Europa, poggiata sulla mobilità del reale ? E perchè solo ai futuristi, contro i cui petti luccicano occhi sgranati di sdegno e di irrisione, s'à da reclamare il foglio di via della loro origine?
Ma lasciate che gli episodi della vita si compiano, senza intralci: niente è più sacrilego ed infecondo che il sopruso e la violenza perpetrata a danno dell'entusiasmo.

V. — Bisogna che il poeta si prodighi, con ardore, sforzo e munificenza, per aumentare l'entusiastuo fervore  degli  elementi primordiali.
Né alcun passatista, come direbbe il Marinetti, negherà l'approvazione a questo numero.... del proclama.
Infatti l'Artista è come certe ruote d'ingranaggio, le quali ànno un congegno tale da centuplicare il primitivo impulso e restituire una forza attiva, avendo ricevuto l'urto con l'energia latente. Egli elabora con ardore la materia grezza ed aumenta il fervore dell'elemento primo.

VI. — Non v'è più bellezza, se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all'uomo.
Tutte le consorterie sono esclusiviste: il futurismo come tutti gli aggruppamenti letterari, che in buona fede credono d'avere risolto il problema estetico, é una consorteria, intesa nel senso benevolo ed originario della parola. Epperò io — il quale sono una quantità come un'altra, forse negativa per molti — sarò futurista quando il Marinetti avrà dichiarato esplicitamente le sue vere intenzioni nell'atto di dettare il proclama, or mai celebre, e quando per conseguenza avrà risciacquato nel puro lavacro originale l'unica etichetta che — in questo caso solo — avrebbe una ragione d'esistere, futurismo: cioè negazione di tutte le etichette, scuole, cenacoli, accademie, consorterie.. Proclama di grandi verità, benissimo sintetizzate in una felice, semplice e vecchia frase.... fatta: l'Arte è la Vita, per dire fra l'altro che il Passato anche glorioso non è la Vita, ma l' antitesi di essa.
Quando poi il carattere aggressivo imposto dal futurismo all'opera d'arte perchè possa essere un capolavoro, avesse avuto nell'intenzione dello scrittore significato di intensità suggestiva noi sentiremmo la verità alzar la voce a suo vantaggio: nè alcuno potrebbe dar torto.

VII. — Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!... Perchè dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell' impossibile? Il tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo nell'assoluto, poiché abbiamo già creata l'eterna velocità onnipresente.
Questa mia è opera di divulgatore ed illustratore, cerchiamo perciò di ridurre in più democratica forma il pensiero dei miei illustri amici : né conto d'interpretare esattamente quello che àn voluto dire....
Noi siamo sul promontorio... cioè: Noi siamo il risultato di una somma d' esperienza tale da permetterci  un atteggiamento di superiorità innanzi alle vicende della specie. Noi abbiamo superato le possibiliià umane e ci avviamo energicamente a scassinare le porte dell' Impossibile, per trafugarne il mistero... Frattanto siamo l'assoluto onnipresente, cioè oltre la storia ed oltre... la Terra: nessun colore di tempo né di razza impronterà le nostre concezioni.
O io mi sbaglio, ed allora ò torto, o non mi sbaglio, allora non ò ragione, poiché m'è saltato sul naso il grillo di discutere anche questo.... degli articoli il più spurio, così come certi numeri di programma dai quali l'impresario s'aspetta un trionfo e vi cadono ch'è un piacere.
Qui i miei amici scattando sull'acciaro dei loro muscoli corsero per afferrare la mosca bianca da collocare sul làbaro e si trovarono d' aver colto un pappo.

VIII- —Noi vogliamo glorificare la guerra—sola igiene del mondo — il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna.
Sia gloria alla guerra... patriottica quand' essa si trascina dietro anche il militarismo, così leggero del resto in grazia delle corazzate di Terni ; sia laude al libertario che sul formidabile ordegno d'una macchina infernale pone il fiore rosso della propria vita per il più rosso fiore dell' Idea esaltata ; siano prodighi i Poeti di canzoni a chi muore per un sogno fantasioso...
Epperò — e vorrei scriverlo con tre p — permettete, o Marinetti, che entro l'alone d'un bel gesto io possa, e con me, le retroguardie del Futurismo, scorgere la linea incerta della concreta bellezza, la figlia prediletta dello spirito dell'uomo. E se di quest'uomo voi mi fate un clown che ridicolosamente vi balli sopra un filo di ferro per divertivi... la folla, questa è azione da dilettante, da snob, non da Grande Poeta, quale io sento che voi siete. Credete ch'io vi predichi morale?... Bel pulpito la sconfinata mia coscienza per una predica!...
È ch'io non capisco l'incomposto arrabbattarsi d'una falange geniale per un frivolo istinto di rappresaglia. Chè la vostra guerra — igiene del Mondo — ed il vostro militarismo mi sanno di tendenza antisocialista lontano.... molto lontano!
E credete voi sul serio che una scuola letteraria — come vi piace chiamare il futurismo—possa concretarsi su basi, le quali non abbiano nelle profondità dell'essere il primo e più forte piano? La sincerità, ecco la sola   igiene del mondo! tranne non vi sorrida una   umanità  che  sia  la  resultante degli invalidi, dello scarto delle leve e di vecchi e di donne..... Delle quali pare ci si debba guardare come dalla... spinite: del resto è caso tipico in cui la causa per l'effetto calza, e come calza. Scherzi a parte sotto certi aspetti il futurismo l'à piantata giusta sull' affare della donna.
I belati, i piagnucolamenti, i deliqui e gli svenimenti ci àn rammollita un pò la colonna vertebrale, ed è tempo che l'uomo ritrovi il midollo della sua naturale vigoria maschia di propulsore e dominatore, specie quando una innumere turba di suffragettes à imposto alla tradizionale serietà britannica una veste da camera mostruosa, per arrivare più svelta, in mutandine, a carpire l'arma micidiale e sovvertitrice: il voto!... E l'à carpita!
Nè centro dell'universo, nè macchina da far figli, e s'intende non a torto oggi dal futurismo messa alla gogna, quando s'inveschia a farla da pepe in ogni minestra... la più spiccia della mensa politico-sociale.
Dice il futurismo: meno carne e più... nerbo. E sia!

IXNoi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d'ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria.
La bufera degl'improperi s'è avventata contro l'innocente grido di rivolta, quado classicisti degni dell'umanesimo— e valga uno per tutti Ettore Romagnoli, mio illustre maestro—già da anni non pochi, s'armano dell'acuta amara satira, densa d'attico sale, per colpire la turba degli accademici, musoni topi miserabili, tignole bibliofile....
Dice: È la forma, il modo che offende !... Non li credete ! È che àn trovato da far bene il lor gioco su quattro audaci, audacissimi, ma giovani e di questi, alcuni ribelli per istinto, perché inesperti di.... materiale storico (ahi! quanto... materiale!) e ci si son messi col silenzio agghiacciante, coll'ironia sboccata e col ridicolo....
Ah, in quanto a questa positura di guerra benedetto tre e quattro volte e anche sette il futurismo del più irresistibile ed imponderabile futurista... Servirà anche dal suo canto a sbarazzarci la via troppo ingombra di materiale... 

X Noi canteremo le grandi folle agitate dal  lavoro, dal piacere o dalla sommossa ecc. ecc.
Cantate, cantate, o ardenti cicale, di questa estate rossa, purchè non veniate a schiacciarci innanzi le tignole raccolte fra i palinsesti o i codici adespoti e a gabellarci quell'esercitazione poco pulita per... un dattilo acatalettico in flagrante furto d' una sillaba!...
*Critica al Manifesto del Futurismo - Le Figaro - 20 febbraio 1909

***
(Critica...)
romanzo africano



Avendo finito di leggere, la mia grande curiosità gelosa s'era rilasciata in una stanchezza d'esasperazione.
Non ci si avvicina ad un libro d'un uomo d'ingegno, specie se quest'uomo è un nostro amico, con serenità né tanto meno con indifferenza. Anch'io ò creduto spesso alla cara illusione d'una critica impersonale, ma oggi più che altra volta, mi son trovato uomo di parte, chè se l'irritazione prodottami da «Mafarka-el-Bar» il romanzo futurista di F. T. Marinetti, mi fosse venuta da altri e per l'altra via, son certo che non avrei scritto queste note per paura dell'art. 295 del C. P.
Curiosità !
Io volevo sentire la prosa di romanzo del Marinetti, ma non potevo concepire fino a che punto possa trascinare il fanatismo d'una idea fissa o la coscienza della propria magnifica sostanza intellettiva, ed il Marinetti ch'è un milionario non avrebbe dovuto sprecare tanto fior di sangue e di nervi per colmare le mani, non piene mai, di coloro che àn bisogno esca onde dar fuoco alla paglia fumosa... soffocante.
D'un altro avrei forse detto che s'era sbagliato a suo mal grado, ma per il Marinetti ò la presunzione di affermare che Egli à scritto un libro per èpater le bourgeois (scandalizzare la borghesia).
Che si possa discutere un'opera di arte dal punto di vista della sua significazione etica e sociale, sebbene ancor oggi lo si pretenda e quel ch'è peggio lo si faccia, io non credo.

Infatti se, ad esempio, la Patria lontana del Corradini, di cui ò parlato, è stata posta allo strazio della discussione, anche da giovani di alti criteri d'arte, non è avvenuto già perchè la Patria lontana intenda combattere una battaglia, ma perchè il suo autore più che al titolo d'Artista, di cui d'altronde è degnissimo, tiene a quell'altro d'uomo d'azione.
Ed è per queste mie speciali vedute che io non indendo condannare a priori « Malarka », ma è pur troppo dalle stesse ch'ei vien condannato. Mi spiego.
Se un libro dovesse rispondere del corso ch'esso si compiace di assegnare ai valori della vita, e se dovesse subire lo strazio d'una inchiesta, ordinata a rivederne le alterazioni, nessun artista potrebbe dislacciarsi dalle strette tòrtili. L' artista crea, e la sua, ch' è in fondo una rievocazione dalle più scure ed insondate profondità dello spirito, è opera sacra, già che a volte parla strane voci per i mortali sensi degli uomini, mentre è in Lui una corrispondenza ideale con le forze occulte della natura.
Chi non à inteso ripetere almeno una volta nella sua vita che non è prudente richiedere all'Artista donde venga e a che miri ? Eppure c'è tanta gente la quale facendosi un dovere di appellarsi alla tradizione condanna le opere d'ingegno, cancellando ed insultando quella tradizione alla quale si appiglia perché la ignora, e vituperando d'immoralità tutto quanto non risponde ad una misura stabilita.
Ingenuità delle ingenuità, direbbe uno scrittore biblico, ma non è naturale che le opere d'arte siano tutte amorali se vogliono rispondere ad solo fine, all'Arte? E intendiamoci: amorali nel senso più comprensivo; vale a dire logiche nella loro logica fittizia, naturali nella loro artifiziosità di luci, di scorci e di profili per cui ne risulta una illusione di realtà più vera della verità stessa, poi che non suscettibile di decadenza; etiche nella loro etica opportunistica. Ma prima e sopra tutto pervase da quel senso di indefinibile e complessa elevazione ch'è nell'opera d'arte, cioè la bellezza.
E così non preoccupandomi della balorda ed imponderabile accusa di oltraggio al pudore, per cui il libro del Marinetti è stato sequestrato dalla Procura Generale di Milano, ritorno al mio pensiero: il romanzo del Marinetti non à ragione d'essere poi che non è opera amorale, ma tende sin dalle prime pagine ad una esaltazione che è poi una tesi.
Ripeto non ò il diritto di preoccuparmi della tesi, ma ò quello di sviscerare il valore quantitativamente, in ciò ch'è la sua ragione d'essere, la ragione estetica.
* *  *
Gran poema di barbarie, ove le parole son  orde  selvagge di negri, che rispondono al ritmo d'un fragoroso rombo di tuoni per lanciarsi nella mischia fulminei, sui cavalli sfrenati, il « Mafarka » nella sua prima metà, sarebbe bastato alla gloria d'un poeta primìparo. Infatti senza le posteriori volute avremmo dimenticato le inopportune fila della tesi esposte sin dall' inizio.
Procede il romanzo per grandi quadri non altrimenti d'un poema, epperò un sol pensiero di quella vita intensamente fittizia cui accennavo poco fa, troppo spesso mal frenato, mal chiaro entro il bronzo del periodo, traluce.
Bisogna oltrepassarsi per poter fissare tutti gli strati inferiori della vita senza rimpianti, e nessun mezzo migliore di temprare questa volontà di elevazione, che il rappresentare la bétise degli uomini, crudamente, nella sua debolezza e nella sua istintiva irruenza.
Questa la  sintesi  del  romanzo,  e questa io penso la ragione delle frequenti imaginì lussuriose e delle scene carnali e della macabra, maravigliosa tregenda fallica, Lo stupro delle negre, degna di chi à concepito Re Baldoria, vale a dire del poeta più imaginoso, visionario, originale contemporaneo.
Egli à mezzo di contrapporre cosi' la granitica tagliente volontà di dominio e di purezza, alla molle flessibilità di schiena degli esseri inferiori che s'armano di verga e per essa vivono battendo i fiori sanguigni delle due bocche femminee.
Intorno a « Mafarka », al fratello suo Magamol, che finisce miseramente con la promessa sposa Ourabelli-Charchar per essere stato morso da un cane idrofobo, intorno a Coloubbi, che pretende essere stata la madre e l'amante del figlio di Mafarka Gazourmah, poi che lo stato dionisiaco, in cui Egli concepì il mostro alato e lo fuse e gli die moto, pretende Coloubbi d'averglielo essa prodotto con un suo sguardo possente, s'agitano le turbe schiave di Mafarka e del suo rivale condottiero di negri Brafane-el-Kibir.
O, le arse e spasimose cavalcate pel deserto dietro un'ombra o dietro un sogno del Marinetti, truccato da re barbaro!.... O, le onde di sabbia infoncata che morde le carni lucide, l'ansito caldo dei petti larghi, le grida strazianti dei feriti, o i gemiti delle negre stuprate in un'orgia titanica! Pagine di impeto e di concezione superiore.
L'estetica del futurismo è puramente e semplicemente dinamica, ma nel suo condottiero assurge alle irrequietezze più folli dell'azione.
E può parere un controsenso che in questo romanzo del Marinetti manchi proprio l'azione del senso più elementare.
Vi manca infatti una linea di svolgimento, quando invece attorno a Mafarka tutto vive una vita intensa. Egli vuole, sa ottenere, s' oltrepassa ma non ci persuade, già che la sua volontà d'elevazione sconfina dal senso umano di visione del mondo. Almeno sino a quando non sarà più ridicolo pensare ad una ideale umanità che faccia dei figli « sans le secours de la vulve! » tranne che non si voglia pensare ad una serie d'esperienze ultravulvari....
M'ero proposto di non discutere il romanzo nella sua tesi.
Mafarka enuncia una sua serie di affermazioni, e nel discours futuriste arriva a questa conclusione « Il est possible de pousser hors de sa chair, sans le concours et la puante com-plicité de la matrice de la femme, un géant immortel aux ailes infail-libles! » Date a questa idea delle premesse e sottoponetela a conseguenze e troverete l'uomo-areoplano, l'uomo-macchina.
Per questo fine, solo per questo fine, ch'è il punto ultimo dalla vita mortale, l'eroe Mafarka-el-Bar acumina l'acciaio delle sue membra e lo stile della sua volontà di dominio sulla cute ossea delle schiene umane.
Gl'istinti primitivi della specie ricondotti alla espressione di una razza eroica: potremmo magari discutere sino a che punto gl' ideali della nuova società democratica si possano e si debbano anzi accordare con questi istinti: la loro contraddizione appar-rebbe meno irriducibile di quanto si pensa. Ma non sarà mai lo sforzo della gente universa teso alla conquista d'un sogno poetico ultra-umano, contro natura.
Belle le sante battaglie dell'ideale, ma fino a quando avranno premesse e finalità umane, come quasi tutti i capisaldi del movimento futurista, ma quando trascendono e danno un balzo a capofitto nell'irrisorio, quale il figlio inorganico di Mafarka,  allora non   entrano   nemmeno   nel   mondo delle visioni.   
E per questo e per ragioni meno fondamentali, ch'io non son uso apportare quando parlo d'un'opera d'ingegno non comune, Mafarka-el-Bar non è un libro riuscito.

***
Vedi anche:  

LA VERA STORIA DEL FUTURISMO, la parola a Gesualdo Manzella Frontini 


"Volare - Il tema della sfida allo spazio aereo attraverso il volo meccanico, con le relative opportunità che essa offre di avventura umana e di sogni imperiali, viene aggiudicato nella collana della Bemporad al poeta futurista Gesualdo Manzella Frontini. Il quale ha tutti i titoli, come futurista, anche se nel corso degli anni Venti viene prendendo le distanze da certe radicalizzazioni dei giovani compagni di strada e viene sottoscrivendo le riserve critiche degli ex futuristi fiorentini, Papini, Soffici, Palazzeschi, ma anche come fascista della prima ora, come reduce della Grande Guerra, come portatore di una fantasia estrosa e generosa, per confrontarsi con questa prova."
G. Manzella Frontini e Carlo Carrà