Francesco Paolo Frontini (Catania, 6 agosto 1860 – Catania, 26 luglio 1939) è stato un compositore, musicologo e direttore d'orchestra italiano.

«Bisogna far conoscere interamente la vera, la grande anima della nostra terra.
La responsabilità maggiore di questa missione dobbiamo sentirla noi musicisti perchè soltanto nella musica e nel canto noi siciliani sappiamo stemperare il nostro vero sentimento. Ricordatelo». F.P. Frontini

Dedicato al mio bisnonno F. P. Frontini, Maestro di vita. Pietro Rizzo

martedì 3 gennaio 2012

Mario Rapisardi - "Senza pianto una zolla e senza fiori Terrà chi invan sfidò numi e tiranni." 4.01.2012 il centenario

Con queste poche righe, voglio ricordare il centenario della morte del Poeta, che viene ignorato dai catanesi. Chi avrà la voglia e il tempo, può approfondire nel sito dedicato. (qui).   
- Catania per Rapisardi doveva essere quella che è Bologna per Carducci, invece .....preferisce il nulla.

«Io preparo le valige per il viaggio nell'ombra, e la notizia d'un tuo lavoro sulla mia vita mi giunge grata come il saluto d'un buon amico al momento della partenza. La mia vita è povera d'avvenimenti, e chi ha la generosa idea di narrarla, ha da contentarsi di uno studio sullo svolgimento delle mie opinioni, dei sentimenti, degl'ideali che hanno guidato la mia vita e che tutti si trovano riflessi nei miei libri. ... ». M. R.
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Egli muore il 4.01.1912 a Catania: al suo funerale parteciparono oltre 150.000 persone, con rappresentanze ufficiali che giunsero addirittura da Tunisi.
Catania tenne il lutto per tre giorni.
Nonostante questo, a causa del veto opposto dalle autorità ecclesiastiche, la sua salma rimase insepolta per quasi dieci anni in un magazzino del cimitero comunale.
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Scendeva dalla sua casa al « tondo » Gioeni, in fondo alla via Stesicoro-Etnea: cappello largo, vestito nero, cravattone nero a farfalla, e un ombrello sotto il braccio, parasole o parapioggia secondo lo stato del cielo: alto, pallido, con la zazzera e i baffi lunghi e spioventi alla cinese: divisa da poeta e da pensatore ribelle. Faceva una sosta alla libreria Giannotta, il suo Zanichelli catanese: e di là con breve compagnia si recava verso le undici all'Università. Ciccio, il portiere con la barbetta rossa, annunciava sin dalla mattina: « Picciotti oggi cala Rapisarda »; e l'annuncio si propagava, e la folla in attesa era grande. Il poeta entrava solenne, in un fragore di applausi. Sedeva sulla cattedra di fronte ai banchi stipati, traeva dalla tasca il manoscritto della lezione - quella volta su Parini - e cominciava con tre parole: « Il prete, il birro, il pedante » che rivelavano il soddisfatto tumulto della sua ispirata fatica.
Con tali parole Concetto Marchesi rievoca fedelmente gli anni catanesi in cui frequentava le lezioni universitarie del fiero professore anticlericale e antimonarchico.


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Riconoscimenti al Titano, così intitola il 4° paragrafo del 5° capitolo di “Una vita tormentata”, pubblicato nel 1991 da Sebastiano Catalano con prefazione di Nicolò Mineo.

Due avvenimenti contrassegnarono lo scorcio del secolo xx: uno di segno positivo che fece risplendere ancora di più il fascino e il carisma che il docente (M. Rapisardi) esercitava sulla gioventù studiosa, la cui fama si era estesa ben oltre l'Isola ed aveva «contagiato» quelli di altre Università (Palermo, Messina, Roma ed anche straniere); l'altro minore, che toglieva qualcosa di accademico al professore, che rinunziava (per motivi di salute) a mantenere la presidenza della Facoltà di Lettere, rivestita da un decennio. Ciò avveniva agli inizi dell'anno 1899. Di ben altra risonanza e valenza il primo, volano del quale furono le manifestazioni promosse da un Comitato di studenti. L'occasione fu il giubileo di Palingenesi (1868), i Trent'anni trascorsi dalla prima edizione.
Le «Onoranze» al Vate coinvolsero studenti vicini e lontani, come le studentesse della Scuola di Magistero di Roma, le autorità cittadine (sindaco e giunta comunale, la Provincia) e tutte le associazioni esistenti allora a Catania, le tre Università e i Sindaci di Palermo e di Messina (ciascuno aderì a nome della rispettiva Città). Naturalmente furono il sindaco e la giunta comunale, che diedero con le deliberazioni adottate ad hoc una veste di festa e solennità che coinvolgeva l'intera città (come vedremo fra poco).
In quell'occasione un gruppo di studenti, particolarmente vicini al Maestro («i discepoli»), con contributi apprezzabili, diedero alle stampe una speciale pubblicazione dedicata al Vate e caposcuola.
Il Rapisardi ringraziava, qualche giorno dopo, commosso per le vibrazioni suscitate in Lui dagli scritti e dalle composizioni.

*// monumento in bronzo voluto dagli studenti universitari
Il programma e lo svolgimento completo delle «Onoranze», deliberate dal Comitato per il 19 giugno 1898, subì il veto del prefetto di Catania. (….)
Le manifestazioni, in seguito autorizzate, si svolsero nel gennaio del 1899 ed ebbero il clou con una cerimonia spettacolare al massimo, che vide la partecipazione massiccia del popolo con le rappresentanze delle autorità catanesi e degli Atenei della Sicilia, di folti gruppi di studenti delle Università di Trieste, Vienna ed altre, e che si svolse domenica 22 gennaio 1899. Per rievocare avvenimenti che hanno per teatro la città intera, occorre attingere alla cronaca coeva che è sempre prodiga di dettagli interessanti.
L'inaugurazione del monumento al Giardino Bellini: essa assurge a glorificazione in vita del Vate, consacrazione definitiva da valere per le nuove generazioni. Il programma comprendeva l'inaugurazione di esso alle ore 12, la conferenza del prof. Ragusa Moleti nel foyer del Teatro Bellini alle ore 15 e, infine, la sera del 19, un'artistica fiaccolata con «Illuminazione festiva del Palazzo Municipale e del Siculorum Gymnasium». (...)
È impossibile riassumere le proporzioni dell'avvenimento, l'imponenza del corteo che si snodava lentamente dalla Piazza Università, i gonfaloni del Municipio e delle tre Università siciliane, le bandiere di tutte le associazioni e dei sodalizi cittadini, le due bande: la municipale e quella dell'Ospizio di beneficenza, che suonavano l'inno degli studenti e l'«lnno a Rapisardi» (autore lo studente Lucio Costanzo).
All'arrivo la «Villa» era già gremita e quindi, inevitabilmente, furono invase le aiuole «fra la disperazione dei guardiani». Subito dopo lo scoprimento, i discorsi del Sindaco, di Virgilio La Scola, in rappresentanza dell'Associazione della Stampa siciliana, del professore Boner di Messina, del dottor Antonio Campanozzi per il Comitato promotore.
Poi il tentacolare corteo si dirigeva verso la casa del Poeta al Borgo. L'incontro fra il Sindaco e il Rapisardi e l'abbraccio alla sommità della scala fu sotto il segno della commozione e delle lacrime. Il cronista attento annotava: «L'illustre Poeta è stordito dalla forte emozione», mentre la folla esigeva di vedere il Poeta e «Finalmente il Rapisardi viene spinto a farsi sul balcone». È un momento esaltante e fantasmagorico, ma per il Poeta di smarrimento «Migliaia di cappelli e di fazzoletti sventolano vertiginosamente, migliaia di bocche gridano: viva Rapisardiì le bande intuonano l'inno a Rapisardi e quello agli studenti, le bandiere oscillano e s'inchinano dinanzi al Grande». «Egli, solenne, circonfuso, ringrazia col gesto, che la parola gli si ferma nella gola stretta dalla commozione...». Per la commozione il Rapisardi è costretto a ritirarsi «la vista gli si offusca, i ginocchi gli si piegano... e si ritira...».
Nonostante l'imponente partecipazione popolare non si registrò alcun disordine e turbamento dell'ordine pubblico, come si dava atto nel rapporto del delegato di P.S. al questore «La cerimonia in complesso è stata ordinatissima e seria» . Fra le personalità presenti nel corteo gli onorevoli Angelo Majorana e Giuseppe De Felice, nonché i rappresentanti della stampa catanese: Nino Martoglio, direttore del «D'Artagnan» e Paolo Arrabito, direttore della «Gazzetta della Sera», quotidiano.
Un'iniziativa editoriale e culturale di rilievo, in consonanza con le onoranze, fu assunta da Antonio Campanozzi, con l'inizio della pubblicazione della rivista «Palingenesi».
Dopo le «Onoranze» veramente eccezionali, che - come abbiamo visto - si conclusero nel gennaio 1899, il Poeta ringraziava con un messaggio diretto «Agli studenti» e rifletteva che mai come di fronte ai giorni resi solenni «io ho sentito l'insufficienza dell'opera mia» ed emergeva il senso di «malinconia». «E la malinconia cresce se considero la tristizia dei tempi e le misere condizioni a cui è ridotto il nostro sventurato paese»; concludeva esortando i giovani a credere «che la giustizia, la libertà, la pace regneranno, presto o tardi, nel mondo». Delle «Onoranze», tributate con affetto, con intensità, solennità ed ufficialità, rimangono gli «Atti», un volume di scritti critici e di rievocazioni, di cronache e di ricordi personali, pubblicato a cura dell'infaticabile presidente del Comitato promotore ed organizzatore.


*Busto all'Università (1899) - Apoteosi per un vivente.
La fase della «monumentazione» del Vate continuò con l'inaugurazione del mezzo busto all'Università, scoperto il 23 gennaio successivo alle ore 14. Oggi non più esistente, era «collocato nel muro di ponente dell'Aula Magna». Dopo gli immancabili discorsi (oratori il dott. Campanozzi, il Rettore Annibale Ricco, il prof. Giardina a nome della Facoltà di Lettere), una commissione di studenti si recò a fare visita al Poeta per consegnargli alcune pergamene, due album: uno con le firme di studenti di Vienna e l'altro con le sottoscrizioni di quelli dell'Università di Roma e delle studentesse del Magistero femminile, un quadro del pittore Alessandro Abate ed altri doni («uno scudo d'argento degli studenti triestini dell'Università di Graz»). Un'ovazione prolungata degli studenti, rimasti ad attendere sulla via «costrinse il Poeta ad affacciarsi per ben due volte». Era il massimo che il Poeta poteva concedere ai suoi giovani estimatori e discepoli! .
Questo grande avvenimento, motivo di orgoglio per qualsiasi persona, turbò il professore Rapisardi. Ecco le «conseguenze» sul comportamento successivo del Poeta, come le riferisce un testimone, il prof. Casagrande «Quando per il giubileo della sua Palingenesi (1899) gli studenti delle tre Università di Sicilia gli decretarono un busto di bronzo, Egli si scusò d'intervenire all'inaugurazione solenne, e d'allora in poi non passò più per la corsia del corridoio superiore, che gli avrebbe mostrato la sua apoteosi. Egli in quella apoteosi vide invece le estreme sue esequie. Da questo quadro esce un uomo schivo, modesto, che scansava le riunioni solenni e, insieme, il fastidio della popolarità, restìo alle esibizioni ed agli applausi.
Vedi anche
Le onoranze del 1889. svolte a Catania per M. R., di Lorenzo Vigo-Fazio

Rapisardi - Un poeta della Natura e del Mistero -
Saggio di Nunzio Vaccalluzzo - ed. R. Sandron 1930   (indispensabile per capire il Poeta)  (Qui)









 (Poemetti - Don Josè VII)

O vecchia vela, che degli euri infidi
Sai la chiara lusinga e il fosco oltraggio,
E all'incertezze d'un lontan viaggio
Audace ancora il sen logoro affidi

Troppo in te forse e del nocchier tuo saggio
Nella fortuna e nel valor confidi,
Se contr'al ciel maligno e al mar selvaggio
Speri giungere illesa agli ardui lidi.

Ma sia che il vento ti flagelli, o sia
Ch'oziosa tu penda all'aria morta,
Sempre al ciel t'aprirai nitida e franca;

E se cadrai da'  neri gorghi  assorta,
Cadrai come la vecchia anima mia,
Lacera si, ma dispiegata e bianca.  
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 "Vada intanto al tumulo del prode, che pensò e cantò così altamente ed ebbe così nobili sdegni per tutti gli oppressi, contro le sopraffazioni e le vigliaccherie, il commosso nostro rimpianto e l'affettuoso saluto".
"Critica Sociale", a. XXII, n. 1, 1 gennaio 1912, p. 5.
Necrologio del poeta catanese - Filippo Turati
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PAGINE AUTOPSICOBIOGRAFICHE

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Questa baraonda, giova pure a qualcosa:ci dà la misura della politica, della cultura e della morale italiana... (QUI)


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IN MORTE DI MARIO RAPISARDI
Da vari giorni infermo
giaceva il sommo pensator poeta;
e, rassegnato come un greco stoico,
aspettava seren l'ultima mèta.

E intorno a lui gli amici,
nella trepidazion, nell'amarezza,
prevedevan vicina la catastrofe,
senza speranza alcuna di salvezza.

Ed oggi si diffonde,
messaggera di lutto e di sconforto,
triste notizia, in termini laconici,
ahimè, che Mario Rapisardi è morto!

A sì ferale annunzio,
piange l'Italia che lavora e spera
e il genio, che non ha confini e codici,
piange, anch'egli, al di là della frontiera.

Par che la nostra vita
sia come tôcca da malore ignoto
e si stacchi qualcosa dal nostr'essere,
lasciando noi nello squallor, nel vuoto.

Chi fu? Fu lottatore,
rigido nella vita e nei costumi,
diritto di pensiero e di carattere,
odiato a morte da gonfiati numi.

Fu educator che seppe
sull'esempio basar l'insegnamento,
suscitando nel cuor de' suoi discepoli
la forza e la virtù del sentimento.

Come principio pose
'amor fraterno che insegnò egli stesso;
e, per base, ritenne urgente l'ordine,
e come fine designò il progresso.

Ei di sospetti onori
schivo e flagellator della menzogna,
nella sua vita non trovate un attimo
d'incoerenza e viltà, nè di vergogna.

Il dilagar del vizio
e il traffico sferzò della coscienza;
per questo l'addentava il Giove olimpico,
sotto il manto dell'arte e della scienza.

Sempre sdegnoso e fiero,
della giustizia difensore invitto,
contro l'abuso di civili barbari,
d'oppressi e vinti perorò il diritto.

Egli ebbe anima greca,
cuore di Tito, mente gigantesca;
concezione profonda di filosofo,
genio latino, ispirazion dantesca.

Ei l'avvenire umano
divinar seppe con robusti versi.
Basta legger Lucifero e l'Atlantide
per convincersi meglio e persuadersi.

L'opera di scrittore,
arte fu di sublime poesia;
e benchè non toccò Clitunno e Satana,
chi può negar che novator non sia?

Chi può negare in lui
il genio della scienza e della rima?
Che importa se Carducci, pien di fegato,
volgarmente l'assale e non lo stima?

Basta che lo comprenda
chi sdegna genuflettersi e servire
e non cerca medaglia o laticlavio,
lottando - come lui - per l'avvenire.

Basta che le dottrine
professate da lui diventin pane,
che alimenti la fede e nutra l'anima,
nel turbinio delle vicende umane.

In si calda speranza,
copriam la tomba sua di semprevivi,
mentre, nell'ora luttuosa e tragica,
passano i buoni e restano i cattivi.


 ANTONIO GAMBERI             Joeuf, gennaio 1912

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Ho scritto malissimo lo so; e non per la fretta e la furia con cui ho scritto; ma perchè non so far di meglio. Mi biasimerai? Non m'importa. Non ho nulla da perdere nella fama. (Pietro Rizzo)

giovedì 15 dicembre 2011

Giuseppe Nicolosi Scandurra - Poeta dialettale (Catania 1877-1966).

«Da una campagnola e da un fabbro ferraio, scalzi, nudi, afflitti e miserandi, nel '77, di febbraio, nacqui, fra quattro mura e quattro canne ». 

Lo chiamarono «il poeta-contadino ». Non scrisse mai né sapeva ben parlare in italiano: tutto il suo mondo letterario era dialetto siciliano; nei suoi volumi sono in dialetto anche le dediche, talvolta indirizzate alla direttrice della scuola comunale in cui egli era bidello, talvolta al proprietario del vigneto che egli zappava, potava, innestava. Imparò a leggere da solo, perché non aveva il denaro per pagarsi la scuola; scandiva, una sillaba dietro l'altra, le insegne dei negozi; giovanissimo componeva poesie e voleva trovare il mezzo per metterle nero su bianco; quel compitare da autodidatta integrale fu per lui una conquista insperata: gli faceva scoprire che c'era il modo di imparare a leggere e scrivere anche per un contadino, come lui, poverissimo. Fu «scoperto », letterariamente, da Villaroel, che nel '28 lo invitò a Milano e lo presentò a poeti e letterati. Compose alcune migliaia di poesie, sparse in diciannove volumi (molti dei quali arrivarono a esaurirsi). Visse a Catania, portava la cravatta a fiocco; amava inneggiare, come la maggior parte dei poeti vernacoli, agli affetti familiari e ai campi. Morì il 6 aprile 1966, dodici ore dopo la morte della moglie, nel momento stesso in  cui  la  portavano   al   cimitero.

....Egli è di ben proporzionata e muscolosa statura, semplicissimo nelle maniere e negli abiti, temperamento sanguigno e bonario, il viso roseo e adusto, espressivo e luminoso pe' grandi occhi azzurri e risolenti,  copiosi capelli ricciutissimi e brizzolati.
E quand'io lo osservo, in città, fra letterati e ammiratori compiaciuti d'udirlo ripetere le sue georgiche rime, agevolmente la mia immaginazione commossa lo libera dal noioso solino, che gl'imprigiona l'ampio collo, e da tutto l'impaccio borghese, ed io me lo figuro nel negletto costume campagnolo, con la falce in mano, fra le bionde spighe, che recheranno il calore della vita e del pensiero a tante intelligenti creature; o con il cesto ricolmo d'auree o brune uve, fra i pampinosi filari delle opime viti, o nel palmento saturo di intenso odor dì mosto, di canzoni e di fumò, pigiante, calzato di pesanti scarponi, la massa del frutto inebriante; o in allegra compagnia di villani, ..... (Lorenzo Vigo Fazio).

MARI  TIMPISTUSU
Comu cascati d'acqui a miliuni 
 ca petri petri fannu la battagghia,
 grida lu mari, non senti raggiuni,  
 senza 'nimicu a se stissusi scagghia.

S'assicutunu l'unni a cavadduni,
'ntappunu scogghi scogghi e l'acqua spagghia, 
 e l'ecu comu  'rrunfu di cicluni 
 scatta, ribbumma e 'ntona la muragghia.

Lotta la varca supra e sutta l'unni, 
 ora scumpari e poi si torna a vidi, 
 e l'occhiu di guardari si cunfunni.

Chiovi di tutti banni e l'acqua scrusci, 
 li venti pazzi, forti fannu gridi 
 e lu munnu com'è non si canusci.

-Che pennellata da maestro nel sonetto  «Sira» :
'Ntantu la luna sutta rami e fogghi 
Stampa disigni, raccami, puntini, 
E quannu codda tutti si li cogghi.

E che vigore e incanto dì rappresentazione  nell'altro   «Di sira» :

Stenni  la  notti lu so brunu   mantu, 
L'ariu friscu  lu jelu salia, 
Non  ciata ventu e mentri  ca fa  via            
Lu cantaturi strogghi- lu so cantu.

Lu  cani senti rastu e abbaia tantu
A la placita luna ca talia,
La scena è bedda, ma davanti a mia
Sempri cci regna 'mprissioni e scantu, 

Supr'acqua li  larunghi festa fannu,
Forsi  li   peni mei, la mia paura
Ripetunu a lu spissu gracidannu. 

'Mmenzu li fraschi, li notturni  agriddi
Fannu lu runfu di sta vita dura,
E la me  fantasia va  pri li  stiddi.

E che immagine felice in « Notti di Giugno » :
Comu pecuri muti, fermi e 'mpaci 
Brunniunu li  gregni arristucciati.

Ma ecco un vero capolavoro, perspicuo per quell'« arcana melodia pittrice » che Vagheggiava il poeta delle Grazie : ogni nota o schiarimento che mi sembrano del resto superflui, ne sminuirebbero  la  potenza  evocatrice.
Cascata d'acqua di notti
Di 'nciancu di munti autu si ietta
N'acqua a linzolu e fa janca scumazza,
Sunanti petri petri s'ammazza,
Poi pigghia lu  so cursu e s'arrizzetta.

C'è la luna, e l'immagini perfetta
Specchia pr'unni fa lagu e pari chiazza, 
Nata, si sciacquaria, canta e svulazza 
La caccia e l'umbra tessi all'acqua netta.

'Ranti, 'ranti, li salici ramuti
Silinziusi attentimi,  adumbrannu 
L'acqua di sutta e li canni giummuti.

La scena è d'accussì di sta nuttata, 
Già li larunghi restanu cantannu, 
E l'acqua  sona, ccu la so cascata.

Non è facile trascegliere in questa aiuola di poesia,  che ha tutto il fresco aroma delle zolle arate e il  profumo agreste delle erbe e dei fiori in mezzo a cui vive  il poeta.   Egli lo sente, e chiude il secondo sonetto di dedica alla città natia con questi bei versi :
Catania, su di tia mi su accittati, 
Li  oduri comu zagari e violi, 
Pirchì  su ciuri di li toi cuntrati.
........ (Mario Guzzetta, dal Nuovo Giornale - Firenze - 28 - IX - 1922)

- Opere -

Catana : La siciliana, F. Di Paola, 1914
Firenze : A. Forlivesi e C., 1921
Natura e sintimentu : liriche / Giuseppe Nicolosi Scandurra ; con prefazione di Giuseppe Villaroel
Catania : V. Muglia, 1922
Catania : Casa editrice musico-letteraria L'arte sicula, 1926
Milano : f.lli Treves, 1931
Catania : Studio editoriale moderno, 1934
Catania : Studio Edit. Moderno, 1934 (Tip. F. Zingale)
Catania : Tip. Conti, 1948
Catania : Tip. F. Conti, 1951
Catania : Tip. G. Gibilisco, 1952
Catania : tip. F.lli Di Benedetto, 1955
Catania : s.n., 1957
Catania : \s.n.!, 1959 (Catania : Tip. N. Di Benedetto)
Catania : Arti grafiche Edizioni Camene, 1959
Catania : \s.n.!, 1961 (Catania : Tip. Di Benedetto)
Catania : Tip. La moderna, 1963
Catania : Tip. S. Gullotta, 1963
\S.l. : s.n.!, 1965 (Catania : Tip. "S.Agata")
Catania : Tip. S. Agata, 1965
Catania : Tip. S. Gullotta, s.d
Catania : s.n., 1965
- Bibliografia -
Enciclopedia di Catania, ed. Tringale

giovedì 8 dicembre 2011

M. Rapisardi, G. Marradi e A. Costanzo per gl'inondati 1882.

(tratto da Caritas strenna per gl'inondati 1882.83)


RONDO'
Precipita, o sole, precipita,
Raggiante tra folgori d'or: 
La notte si dorme, si oblia, si fantastica, 
E intero ne' sogni sprofondasi il cor.


Precipita, o notte, precipita,
O corso stellato del ciel : 
Eterne son l'ore che il tarlo ci numera 
D'un vigile tedio, d'un'ansia crudel.


Precipita' dunque, precipita
O tempo si lento per me ! 
Ahi lungi dagli òcchi, dagli occhi suoi d'aquila, 
Più stella non ride, più sole non c'è!
                                                                          Giovanni Marradi.

*****

Le bianche membra tue, le tue fiorenti 
Membra, desìo de' miei sensi codardi, 
Quando t'abbraccio, divengon serpenti 
Ignei serpenti, onde m'attorci e m'ardi:


Scoccan fischiando da' tuoi nivei denti 
Suoni che paion voci e pur son dardi, 
Saettan gli occhi tuoi lampi non sguardi, 
Fiamme non baci da le labbra avventi.


Mi divincolo invan, misero, in tali
Strette; ma pigra lambendo mi strugge 
La serpentina fiamma, e tra mortali


Spasimi il sangue e l'anima mi sugge.
Se 'l vede Amor, vigliacco, e, non che l'ali 
Darmi a la fuga, a me si avvinghia, e rugge.
                                                                                    Mario Rapisardi

Di Vincenzo Giordano Zocchi

O giovani, "Vincenzo Giordano-Zocchi era giovine candido e fremente come voi, ed egli, scrivendo le sue Memorie di un Ebete, guardava confidente l'avvenire, perchè lo vedeva pregno di tempeste e di vendette. Ma l'avvenire siete voi, o fervidi e valorosi giovani, e voi farete giustizia al nostro caro e grande estinto.
Giordano-Zocchì è morto da tempo, oramai; è morto, si può dire, sulla breccia, protestando contro l'alta e bassa' canaglia che fa siepe : agl' ingegni, soffocando in loro la grande patria. Le basse invidiuzze, i silenzi patteggiati, l'indifferenza e l'ingiustizia ufficiali se poterono strappare e disfare anco la trama delicata della sua travagliata esistenza, non riescirono a schiacciare con la pietra della fossa il suo nome, il quale oggi è più vivo di prima: i tratti simpatici, caratteristici, luminosi del suo ingegno, del suo nobile spirito ed originale, voi, o giovani, li troverete in gran parte in questo prezioso volume (1), che io offro alla giovinezza dell'anima vostra.
E voi le accoglierete queste pagine, queste fibre del cuore del vostro compagno d'armi ; ed il vostro culto, il vostro amore, giustizia postuma verso il mio povero amico, saranno la sua più alta vendetta.
 Sia clemenza o giustizia della vita e della storia, è cèrto che i congiurati silenzi, le frecce velenose ed acute degli emuli, innanzi a una pietra sepolcrale, si spuntano; e il nome della vittima, circonfuso di poetica aureola, balza su con la terribilità di un'idea, sgomento de' lepidi carnefici in sessantaquattresimo, che a colpi di penna non seppero e poterono spegnerlo, amore, benedizione, bandiera di coloro, che questo tempo chiameranno antico.
Questa convinzione è, di per sé, la forza de' grandi caratteri, degli ingegni veramente superiori e solitari come Giordano-Zocchi.

Anch'egli, nell'intimo presentimento che l'idea, a furia di sconfìtte e catastrofi, sempre più s'individua, specifica e generalizza — onde la eternità del pensiero — trovò, come i pochi suoi pari, l'eroismo del sacrificio, la devozione e l'amore dell'ideale che lo signoreggiava, dell'ideale bello in sè e per sè, indipendentemente dal basso utilitarismo e de' fischi e de' plausi, effimeri spesso, sospetti sempre, de' contemporanei, nella maggior parte opportunisti, calcolatori, fraudolenti,  partigiani guerci e fegatosi. 
(1) Il volume a cui allude, sarà  messo in vendita quanto prima, ed ha per titolo: Saggi d'arte.

                                                                                      Gius. Aurelio Costanzo

curioso romanzo filosofico-autobiografico, improntato ad amari accenti di pessimismo, pubblicato per la prima volta, postumo, nel 1877 (l'autore si era spento di malaria poco tempo prima). Vincenzo Giordano Zocchi (Napoli, 1842-ivi, 1877) fu scrittore e giornalista affine agli Scapigliati, nonché professore di filosofia nel Liceo di Catanzaro. Collaboratore di numerosi quotidiani e periodici, è oggi noto soprattutto per il presente libro. Cfr. Giuseppe Aurelio Costanzo, Vincenzo Giordano Zocchi, Napoli, 1883.


ANTIFONA

                                                                         Dixit dominus • • •
Disse il Signore al servo suo cosi:   .
—  Pecca l'uom giusto sette volte al dì.
—  La donna giusta quante può fallire? 
Questo il Signor non ce lo seppe dire.
                                                                        Jorik