Francesco Paolo Frontini (Catania, 6 agosto 1860 – Catania, 26 luglio 1939) è stato un compositore, musicologo e direttore d'orchestra italiano.

«Bisogna far conoscere interamente la vera, la grande anima della nostra terra.
La responsabilità maggiore di questa missione dobbiamo sentirla noi musicisti perchè soltanto nella musica e nel canto noi siciliani sappiamo stemperare il nostro vero sentimento. Ricordatelo». F.P. Frontini

Dedicato al mio bisnonno F. P. Frontini, Maestro di vita. Pietro Rizzo

sabato 15 marzo 2014

Frontini e la canzone Napoletana di Piedigrotta 1898/1903

... "Francesco Paolo Frontini, aveva fatto i suoi studi musicali a Palermo ma si era poi   perfezionato' a Napoli con Lauro Rossi. Temperamento estroso e sanguigno, aveva composto alcune opere di netta marca verista. ' Anche nella sua vasta produzione vocale cameristica spesso il gesto è esorbitante, incontenibile. Si avvicina a Piedigrotta nel pieno della carriera, nel 1898. Viene da sospettare che anche in questo caso ci fosse qualche 'pressione' editoriale. La Società Musicale Napolitana di Beniamino Carelli aveva pubblicato in quegli anni diversi brani vocali di Frontini e non mi sembra illecito pensare che ci fosse stato almeno un 'concordato', finalizzato a produzioni di largo mercato. (Anche perché il musicista era giunto a trentott'anni senza aver dato segni di interesse per la canzone napoletana.) Quanto di buon grado il catanese abbia accolto l'invito non so dire. In quell'anno produce due canzoni per Piedigrotta: 'Ogulio (canzone tarantella) e Ammore bello (canzone patetica). I testi di entrambe sono di Aniello Califano e entrambe vengono pubblicate dalla Società Musicale Napolitana. La prima racconta in modo ammiccante di una certa Pertusella che aveva un desiderio annascuso che non la lasciava dormire. Nessuno riusciva a capire cosa fosse. Ma 'nu bbello furiero maggiore è abbastanza navigato da farglielo passare. Ovviamente il giovinotto è 'ingannatore e dopo tante promesse, finita la 'terapia', la pianta. (Vi' che bbella frittata!) La ragazza cade 'malata' - leggi incinta - e così a ggente sapette e vedette... Qua gulio Pertusella tenette! La musicazione è vivace. Solista e coro si alternano con il necessario brio. Gli spunti melodici si rifanno alla tradizione tarantellesca, da Rossini in poi. La strofa è in minore e il refrain in maggiore. Il tutto si ripete tre volte. Troviamo delle vocalizzazioni del solista sulle frasi del coro, secondo il modulo caro a De Leva. Ma c'è anche un momento decisamente originale. Sotto finale, la melodia si interrompe per una brusca 'strappata'. L'allusione a un pieno d'orchestra mi sembra evidente.



Il fortissimo all'unisono raggiunge la caratteristica abbassata con la precisa percezione del passaggio dai maggiore al minore. Dopo una pausa riattacca la voce sola con un tempo più ritenuto e senza determinare il modo ma alla ripresa dell'accompagnamento ci accorgiamo di essere di nuovo in maggiore. Procedimento che suona decisamente insolito e incisivo.

Ammore bello è un convenzionale inno all'eros. Chi non lo capisce 'Mpietto, 'na petra, tenarrà pe ' core E che ce campa a ffa? Meglio ca more -forse è questo indelicato invito che ha suggerito al musicista il dichiarato 'patetismo'. Per il resto siamo in una prevedibile arcadia' partenopea: Ch"e sciure fanno 'ammore 'e palummelle, Ch''e spine fanno 'ammore li ruselle... E il ritornello conclude: Sta vita che sarria Si nun ce stisse tu? Talché l'andante mesto prescritto appare degno di miglior causa. Abbiamo il solito passaggio dal minore al maggiore, il melodizzare è intenso e richiama alcuni degli stilemi tipici della tradizione. 


Si veda l'abbassamento del secondo grado, mi bemolle della prima battuta, che risulta tanto più avvertibile in quanto poco prima era stato dato in posizione naturale. E l'ulteriore alterazione della sensibile, do diesis / do naturale, che, per quanto giustificato dalla trasformazione nella settima di re, rende il percorso melodico accidentato. A sottolineare la vigoria espressiva, Frontini adopera inoltre un modulo di 'orchestrazione' - la scrittura pianistica ha un netto sentore di 'riduzione' - tipico dell'opera verista: il grande unisono vocale e strumentale che potenzia e infiamma le frasi più accalorate. Una temperie melodrammatica che sembra persino eccessiva per la sua destinazione.

Quattro anni dopo (1902) abbiamo un altro sussulto piedigrottesco con tre canzoni. Che ci fosse di nuovo lo zampino di Carelli si può desumere dal fatto che una è dedicata proprio a lui. Vengono pubblicate quasi contemporaneamente - i numeri di lastra sono 353. 354, 356 - sempre dalla Società Musicale Napolitana. La prima è una Serenata su un testo piuttosto anodino di Luigi Criscuolo. Un innamorato deluso canta per l'ultima volta alla sua ex prima di andarsene per sempre. È un addio più che altro rituale giacché M'è contrario pur'ó viente, Manc'à voce fa sentì; Ma me siente, o nun me siente. Nun me 'mporta. Carulì. La forma è quella della canzone: strofa in minore e ritornello in maggiore. Siamo in un sei ottavi andante appassionato. Compaiono alcuni stilemi tradizionali rivisti alla maniera di Mario Costa: una sesta napoletana data con i fondamentali, l'alternanza insistita di due triadi: maggiore / minore un tono sotto. L'atmosfera è densa. Da segnalare un momento interessante nel finale.

 

La quarta e sesta del Mi maggiore di impianto conduce a una settima di dominante. Ma quest'ultima subito dopo subisce uno spostamento del quinto grado che passa al sesto abbassato. Il quale anticipa la caratteristica del Mi minore della battuta successiva. Procedimento non del tutto inedito ma certamente assai efficace.

Le altre due canzoni del 1902 si basano su testi di Giovanni Capurro. Bella mia... (canzonetta) non sembra una delle vette del poeta di O sole mio. L'innamorato di una ricamatrice le manda messaggini attraverso un uccellino: tu nun sai ca mme ne moro pecché penzo sempre a te. Frontini non si cura dell'obitus imminente e imposta uno spigliato allegretto in quattro quarti. Alternanza di minore / maggiore. Melodie semplici, nessuna 'curiosità http://it.wikipedia.org/wiki/Festa_di_Piedigrotta armonica. Altro impegno dimostra Buscia! (canzone patetica). Il testo è più organico e avvincente. Nun fuste tu ca nzino a me diciste Te voglio bene quanto a vita mia? L'abbandonato ricorda quando le chiese, in una notte di luna, quanto l'amasse e lei rispose: quanto a chella luce 'e Dio. Ma la luna
l'aveva sentita e si coprì con una nuvola pecché sapeva ch'era na buscia. Sono due blocchi di otto endecasillabi. I primi quattro formano la strofa, gli altri quattro, ripetuti, il refrain. La musicazione è accesa, appassionata. Non ci sono particolari che richiamino la tradizione, salvo il consueto minore / maggiore. Il linguaggio e la forma sono quelli della canzone. Si possono notare, nella ripetizione dei quattro versi del refrain, i grandi unisoni 'veristi'. La canzone vinse il primo premio del concorso bandito quell'anno dalla 'ditta editrice'. Si può dire che gli autori giocavano in casa - è questo il pezzo dedicato a Carelli. Peraltro anche l'insigne maestro di canto si era stufato di fare l'editore - aveva superato i settanta - e tre anni dopo cedette l'impresa. Molte canzoni napoletane a Bideri, il resto dell'importante catalogo a Ricordi. (

Lo core sperduto

 di Gianfranco Plenizio )

 


Buscia ! by Francesca Fariello
             

     

 prima al concorso del 1902  Buscia ! di Francesco Paolo Frontini

 

Il Mattino (Napoli) settembre 1902

Concorso di canzoni – Delle moltissime canzoni inviate al concorso bandito dalla Società Musicale napoletane la commissione ne ha scelto e premiate quattro: Buscia di F.P. Frontini; 'A palomma di V. de Vivo, Larì, Larà, di F. Grimaldi e Nanzin'atte di A. Flocco, canzoni che saranno eseguite la sera del sei al Circolo delle Varietà.

- La Sicilia (Catania) agosto 1902

Pel Maestro F. P. Frontini

Dai giornali politici di Napoli (Roma – Corriere di Napoli – Pungolo – Mattino)

apprendiamo con vivo compiacimento, che nel concorso bandito dalla Società Musicale Napoletana, per le canzoni popolari di Piedigrotta 1902, la canzone titolata “Buscia” del poeta G Capurro, musicata dall'Egregio e valente nostro concittadino maestro F. P. Frontini, ottenne il primo premio.

Nella festa delle canzoni data nel giorno di sabato 6 corrente nel Gran Circo della Varietà, con 100 esecutori d'orchestra, fu eseguita con successo della Buscia tra lo scelto programma delle migliori e più note canzoni napoletane vecchie e nuove. Si ripeterà sotto la direzione del maestro Galassi lunedì 8.

Ci congratuliamo di cuore col maestro Frontini anche pel fatto ch'egli sa tenere alto il nome regionale e come si è tanto distinto in Italia e all'estero nella canzone popolare siciliana, ha saputo oggi gareggiare con onore coi più simpatici maestri napoletani del genere.


- Sicilia teatrale (Catania) Settembre 1902

Canzoni Napolitane

Ci congratuliamo vivamente col maestro F. Paolo Frontini, per il 1° premio ottenuto con la sua canzone Buscia!, su versi del poeta G. Capurro, al concorso bandito dalla Società Musicale Napolitana. La bella e appassionata composizione fu eseguita nelle sere del 6 del 8 settembre, al Circo delle Varietà nel Gran Concerto per la festa delle Canzoni, ed ottenne entusiastico successo, successo riportato in tutti i giornali di Napoli.

Dello stesso maestro si pubblicarono anche in occasione della festa di Piedigrotta, altre due belle Canzoni: Serenata e Bella mia che la stampa napoletana ne ha parlato tanto favorevolmente.

Un bravo al nostro Frontini che porta alto il nome della patria che gli diede i natali.

Le dette composizioni sono state pubblicate in splendida edizione illustrata dalla Società Musicale Napolitana di Napoli.


- Il Pungolo (Napoli) settembre 1902

Il concorso della Società Musicale

Ecco il risultato dell'importante concorso bandito dalla Società Musicale Napolitana.

Sono stati assegnati 4 premi, invece di 3:

1° premio di L. 200 Buscia di Frontini

2° … di L 150 'Apalomma di de Vivo

3° … di L 100 Lorì, Lorà di Grimaldi

4° … di L 100 Nesino a tte! di Flocco




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Beniamino Carrelli 

Che vuò di?Che vuò fa?, Oscar Monaco - s.m.napoli. 1903.

A luna e Vuie, Teodoro Rovito - s.m.napoli. 1903


lunedì 24 febbraio 2014

Manoscritto di Luigi Capuana, da Saghe & Seghe col senno e con la mano. 1887

All'antica e gloriosa tradizione del genere comico-realistico è ascrivibile il gaio libello, ideato come gioco privato, di Luigi Capuana, Federico De Roberto e Francesco Ferlito, Saghe & Seghe col senno e con la mano, edito su carta pregiata, in soli quattro esemplari, «autograficamente numerati & firmati», uno per ciascun autore ed uno per il munifico editore-stampatore Michele Galatola, di cui residua soltanto il secondo che ora si pubblica. Un cimelio bibliografico che può a ben ragione definirsi «unico». Scaturito dalla mai sopita propensione alle burle di Capuana cui inaspettatamente si associava la complicità derisoria e ironica di De Roberto e del serioso avvocato Ferlito, il «sublime volume» è da leggere come evasione intellettuale dei tre sodali (cui certo non mancava lo spirito salace dei siciliani dell'area orientale), gioiosi d'impegnarsi in una sapiente birichinata alla Rabelais, destinata a suscitare ilarità segrete e compiaciute. (Sarah Zappulla Muscarà)


Saghe & Seghe
L. Capuana, F. De Roberto, Francesco Ferlito

 manoscritti inediti - per ingrandire cliccare

AI   TRE,   IL   QUARTO.

Dunque che fate?
Ve lo menate ?
Nulla stampate,
Nulla mandate !
O ve ne state
Come d'estate
Le sciagurate,
Moltiplicate,
Cicale aurate
Sotto le ombrate
Rame sacrate
D' ulivo ?
Andate !
Non meritate
Che riceviate
Epistolate ! Però sappiate
Che mie giornate
Non son passate
Senza volate
Ver le lasciate
Cataniate
Spiagge bruciate.
Ahi! Sospirate
Con iterate
Brame, ho cercate,
0 mareggiate
Spiaggie, le andate
E le tornate,
Con scarrozzate,
Per le sfilate
Dalle innovate
Vie riboscate
E allineate.

Ho invan cercate Le riposate All' ombreggiate E statuate E pitturate Sedie villate, Quando udivate, Ombre fidate, Le addottrinate Nostre parlate, Spesso sporcate Da ricordate Belle chiavate! Oh Ferlitate, De Robertate, Galatolate, Capuanate ! Volteggiavate Come iridate Farfalle nate Nelle irrorate Siepi frondate!
E voi,  cantate Delle ammirate Figlie ignorate Nidificate Nelle siepate, Rispondavate Alle scapate Nostre risate Con gorgheggiate Ben musicate Perrotteggiate !
Deh, mi lasciate!

Deh, non seccate Le prolassate Mie cordonate, O desiate Belle giornate ! E voi, rimate Epistolate, Laggiù volate; Le addormentate, Triumvirate Genti svegliate; Gridate, urlate, Coi piè pestate, Bestemmiate, Finché stampate Voi non vediate Quelle cazzate Intitolate Saghe segate Tanto aspettate ! Ed annunziate Che d'illustrate Raffaellate Saranno ornate, Qui preparate Con impensate Arti : e annunziate Che, terminate, Le rime in ate Con birbonate, Le addormentate Triumvirate Genti lasciate Insalutate.

***


L'ARTE
Sonetto Liminare
All' Illustrissimo neo-novelliere sciccoso Signor de Roberto (Federico).

O Federico, l'ideal che ride 
Al monocolo tuo serenamente, 
Tanto spazio di ciel da te divide 
Quanto non puote misurar la mente.

Eppur ansio l'affissi, e non s'elide
La tua speranza nel fallir sovente ;
E il raggio che in quel vetro si divide    
Ti si rifrange in cor potentemente.

Beato te che l'Arte ancor lusinga
Coi maliardi suoi fantasmi! Al mio    
Stanco cervello tanto ben si niega.

Ben verrà dì ch' anche per te si tinga 
Di nero quel fulgor, luce di Dio....        
L'Arte dunque che è mai?.. L'arte?.. Una sega!


Scritto il 1° Giugno 1887 nell' Albergo Musumeci in Catania, dopo aver pagata la nota salata dell'albergo {circostanza attenuante) Luigi   Capuana
N. B.—L'autografo inestimabile fu consegnato allo sciccoso novelliere dallo stesso archeologico Autore, come testimonianza di affetto, di rispetto, etc, etc, etc.


Altro:

La Morte di Giovanni Verga - di Federico De Roberto












domenica 19 gennaio 2014

Dall' " Elogio di un pazzo „ di Mario Rapisardi - 1880

" Elogio di un pazzo „
Giunto all'età di cinquan'tanni ei si ridusse pacificamente in campagna, dove non volle altra società che d'un cane vecchissimo e cieco, il quale egli stimava miglior filosofo di tutti, non perchè fosse fedele, non parendogli questa una gran virtù, anzi una qualità nemica se non della saggezza, della felicità; ma perchè per grida e bastonate che gli desse, mai non volle perder l'abitudine di pisciare altrove che nella stanza dei libri : come se lo volesse con questo ammonire che la sapienza dei mortali raccolta e custodita in tanti gelosi volumi non merita niente di meglio che quella tiepida benedizione. Del quale avviso ei pur finalmente si accorse, e a compensarlo di ogni mal trattamento avuto per siffatto procedere, lo ricolmò poi di carezze e gli diede profenda di buoni cibi ogni qual volta gli ripetesse quella saggia ammonizione.
Con questo cane e con gli alberi dell'aperta campagna egli s'interteneva spesso in profondissimi ragionari ; onde quei delle circostanze lo tennero presto in conto di mago o di matto. E dei matti egli ebbe sempre grandissima considerazione; ed essi, non so per qual secreta attrattiva,  lo  avvicinavano   senza  sospetto  e gli diceano parole ch'egli scrupolosamente scriveva in un taccuino   che   portava sempre con  sè, e stimava   più   prezioso   dei   memorabili   di   Socrate.
Oltre a tale strana raccolta, io non credo conservasse altra sua scrittura : e dico così, perchè io so certo che egli si dilettò sempre dell' arte sua; ma le cose composte nella solitudine, e che egli chiamava le sue figliole, consegnò sempre al fuoco appena le avesse finite, scusandosi, che mandandole per il mondo, gliele avrebbero certamente stuprate.
Delle donne amò più presto la bellezza che la virtù, onde preferiva Frine a Lucrezia. Nelle madri la tenerezza dolcissima della sua, che ricordava sempre con passione, parevagli più virtuosa dell'eroismo delle Cornelie e d'altre famose, i cui fatti lodatissimi dagli storici egli attribuiva in gran parte ad animo snaturato da vanità.
Di qualche mia visita si meravigliava come di singolar bizzarria, e, citando un poeta  tedesco, dicea che fra l'altre stravaganze io aveva quella di esser fedele.
Quando l'ultima volta ammalò e si sentì vicino a morire, essendo io tristissimo al suo capezzale e il cane ai piedi del letto, egli mi prese tristamente la mano, additò con l'altra quella povera, bestia che mugolava, e parodiando la parola del figliolo di Dio : Amico, esclamò, ecco il tuo figlio; figlio mio, ecco il tuo babbo.
Scorgendo poco dopo certi vecchi stivali schierati sotto un cassettone: Ascolta, mi disse, e scrivi religiosamente la mia ultima volontà : Io sottoscritto, etc. etc, sano di spirito ma non di corpo etc. (e giù giù tutte le altre formole, come s'egli non avesse fatto altro al mondo che il tabellario) lego e lascio spontaneamente ai miei critici tali dei tali (e qui una filza di nomi, che io per discrezione tralascio) per ciascuno un paio di quegli arnesi, sulla cui punta leggerà, chi ben guardi, la risposta e la gratitudine ch' è loro dovuta.
Avvicinatosi intanto il momento fatale e sentendosi egli venir meno, raccolse come potè meglio le ultime forze e pronunziò solennemente in latino le parole che disse in simile istante Gregorio VII. * Ma vedendo che io prendeva troppo in afflizione quel suo parlare, diede subitamente in una gran risata, e, voltatosi dall'altro lato, spirò. (* Dilexi   iustitiam, odi iniquitatem :  propterea morior in exilio.)

* * *
Queste cose ho voluto raccogliere e riferire dell'amico mio, intendendo a mio corto giudicio di fargli onore. 
Ma se io sono riuscito per avventura al contrario e le ire non anco sopite sul suo sepolcro si scateneranno sul mio povero capo o vero un sogghigno crudele risponderà alle parole pietose dell'amicizia, io non me ne terrò meravigliato ed offeso : parendomi stoltezza il far carico agli asini, di aver lunghe le orecchie, e ai lupi di perdere più tosto il pelo che il vizio.
                                                               Febbraio 1880. Mario Rapisardi.


* Tratto da Mario Rapisardi - Sherzi - Versi siciliani _ ed. Etna 1933




domenica 27 ottobre 2013

Intervista con Amelia Poniatowski, compagna del Poeta Mario Rapisardi

"La storia della letteratura è rettilinea: chi non va sulla via maestra sarà falciato come una mala erbaccia".



Oblio e odio, di Lorenzo Vigo - Fazio


Pregai un mio amico adulto, il Prof. Giorgio Buscema, d'accompagnarmi, e andai con lui a bussare alla porta dell'appartamento, che fu l'ultima abitazione dello scrittore.




La Signora Amelia Poniatowski e il Dr. Alfio Tomaselli, a cui ella, da pochi giorni, era andata sposa, ci accolsero garbatamente e mi fornirono le notizie che desideravo.

Così, «Il Tirso» di Roma, periodico d'arte fondato da Gabriele D'Annunzio, nel n. 36 della decima annata, il 16 Novembre del 1913, pubblicò, in prima pagina, su quattro colonne, il mio articolo: «Oblio e odio alla memoria di Mario Rapisardi (Intervista con Amelia Poniatowski, compagna del Poeta ».

Ne riproduco, qui appresso, alcuni passi salienti: 

«- Oh, come sono contenta della loro visita!... Avrei dovuto mandare io qualche cosa ai giornali del continente, per protestare contro questa indegna congiura d'odio e d'oblio... Ma giacché loro hanno avuto la bella idea di venirmi a trovare, non ne fa più d'uopo. - Ci dice la Signora Poniatowski ».
...« - Come hanno veduto, la casa ha perduto la fisionomia di prima, perfino la terrazza, così cara a Mario, scompare... »

« - Ma ci dica: non ha reagito ella contro questa violazione? »

«- S'io abbia reagito!... - esclama calorosamente. - Ma se io mi sono votata a tutti i santi... del potere: a sindaci, a deputati, a municipi, a giunte... ».

« E non le hanno dato ascolto? »

«Neanche per sogno. Il padrone di casa mi ha risposto che s'era messo d'accordo col Municipio. 
Ne ho parlato ad artisti, a letterati, a politici. Nessuno ha saputo impedire... quest'accordo. »
«Sarà stato forse perchè Mario, ch'era un'anima alta e nobile, ed ebbe sempre il torto di dire la verità - la quale certe volte riesce amara - scrisse qualche parola frizzante contro municipi, sindaci, onorevoli, giunte comunali, amministrative, ecc. Ed ora se ne vendicano... »
« - E' la vendetta dei vili! - soggiunse il mio amico. »
« - Con l'odio, il disprezzo, l'oblio... Ma Mario resta sempre quello che è; io lo chiamo l'Uomo della verità. »

« - E sanno cosa se n'è fatto del cadavere? - ci chiede il dottore. » 

« - Ecco, lo spiego loro subito. - soggiunge la Signora Amelia - Il 4 Gennaio, farà due anni che il Grande e scomparso. Ed è da quasi due anni, perciò, che il suo corpo giace, non ancora tumulato, nell'ufficio del cappellano del cimitero... Quel povero dottore che l'ha imbalsamato, affinché i sorci non lo mangiassero, ha usato tutti i mezzi... Perché le mosche non cadano nel piatto, ci mettiamo sopra una coppa di rete metallica, così hanno fatto con lui... »

« - E nessuno reclama? - gridai. »

« - L'altro giorno, un gruppo di giovani, in segno di protesta, venne ad apporre quella lapide - ci dice ella, mostrandoci col dito, appoggiata ad una sedia, una lastra di marmo d'un metro quadrato circa. -
Trascrivo quello che vi sta scritto:

RICORDANDO L'IMMORTALE MAESTRO MARIO RAPISARDI
GLI STUDENTI UNIVERSITARI
XX Settembre 1913


« - Si figuri che costoro che si dicono discepoli di Mario, attaccarono la lastra sul muro del domicilio del Signor Chiarenza!... E che chiasso fecero!... »


« Appena io mi fui accorta dell'errore, dissi: - Non sono ancora due anni che Mario Rapisardi è morto, e non vi ricordate più dove è vissuto! - »

« Ed ordinai subito che togliessero quella lapide. ».

Ed i mobili?

« - Sono rinchiusi la dentro - ci dice, indicandoci la porta a tramontana (quella dello studio), che è chiusa con diversi lucchetti. - Un numero rilevante di volte ho mandato a dire al Municipio che li tolgano, e non li lascino rodere dai tarli, ma coloro fanno orecchio da mercante. Anzi, ogni volta, hanno mandato qualcuno, per aggiungere un altro lucchetto; e l'ultima volta, fecero ricoprire esternamente di latta le imposte dei due balconi dello studio. »

« I manoscritti, almeno, sono al sicuro? »

« - Ma che! Sono pure la dentro, gettati per terra, alla rinfusa... »
« Dio voglia che i topi li abbiano rispettati. Se ne trovano fra essi alcuni inediti, che Mario scrisse, adolescente, fra la vita e la morte. Anche quelli della "Palingenesi" e d'altre opere. »
« - Perché il Municipio non li rileva? E tutti gli oggetti sono catalogati? »
« - Niente affatto. Prima di morire, Mario mi diceva sempre: "Cataloghiamoli! Cataloghiamoli!" E loro: "C'e tempo! C'e tempo!" ».

...« Loro che sono liberi scrivano, scrivano tutte queste cose che il pubblico non sa! »

« Promettiamo di dire tutta la verità ai nostri lettori, e ringraziando, ce n'andiamo, con nel cuore, un sacro impeto di sdegno. »

La pubblicazione di tale mio articolo suscitò uno scalpore più grande del previsto. Numerosissimi furono i quotidiani, le riviste, i periodici che lo riprodussero o lo riassunsero; e tutti, prendendo le mosse dalla vibrante nota di protesta, che il Comitato di Redazione del « Tirso » vi aveva posto in calce. Anche taluni importanti quotidiani stranieri pubblicarono quanto io avevo denunciato all'opinione pubblica, biasimando l'incuria del Municipio di Catania. 

La stampa catanese quotidiana e periodica faceva larga eco all'indignazione nazionale ed estera.
Così che l'amministrazione municipale fu costretta a provvedere al più presto a dare onorata sepoltura al Poeta; ed invitò Carlo Pascal a commemorarlo, nel Teatro Massimo Bellini.

Ricorderò sempre con compiacimento codesto coraggioso episodio giornalistico della mia adolescenza, il quale mi procurò la malevolenza dei responsabili dell'abbandono, in cui erano stati lasciati li cadavere di Mario Rapisardi e le sue cose; e d'altro canto, segno l'inizio della campagna, da me durata in Italia ed all'estero, per diffondere il pensiero del Poeta, rivalutarne l'opera e difenderne la fama (1).

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(1) Nel 1922, commemorai, in Catania, il X anniversario della morte di M. Rapisardi, pronunciando, nel Teatro Massimo Bellini, un discorso su « L'epistolario inedito di Mario Rapisardi », che fa parte del mio volume « Saggi e Discorsi», edito, nel 1925, da « Bottega d'Arte » di Carpi di Modena. 


Ho scritto del Rapisardi, su tanti giornali e riviste; e nei periodici da me diretti «Endimione» (Casa editrice «Ausonia », Roma) e « Rivista di Catania e del Meridione », la vita e l'opera del Poeta vi furono ampiamente illustrate.




Nel 1930 l'editore Alfredo Formica di Torino pubblicò la raccolta, a cui avevo atteso per quindici anni: « Mario Rapisardi: Prose, Poesie, Lettere postume, raccolte e ordinate da Lo renzo Vigo-Fazio ».

Il 4 Gennaio del 1933, in Parigi, nella sede della «Dante Alighieri», commemorai il XXI anniversario della morte del Poeta, tenendovi un discorso su « L'opera e la fortuna di Mario Rapisardi», il quale, nel 1955, fu pubblicato in opuscolo estratto dalla « Rivista di Lecco ».



II 3 Febbraio del 1944, l'Assemblea dei Soci del Centro di Studi Rapisardiani, in Catania, mi elesse suo Socio onorario; e nella seduta del 7 Novembre 1954, in seguito alla morte del suo illustre Presidente, Prof. Francesco Marietta, mi chiamò, con voto unanime, a succedergli, in tale carica. Nel 1962, il Centro di Studi Rapisardiani in Catania pubblicò il mio libro: « Mario Rapisardi nel cinquantenario della morte ».



***


La denuncia partì dal Magnifico Rettore dell’epoca, Prof. Giuseppe Majorana
(a sua volta informato dal presidente della Società di Storia Patria, prof. Vincenzo Casagrandi n.d.r.) direttamente dalle colonne del “Giornale dell’Isola”. La lettera datata 29.gennaio 1917, conteneva un resoconto piuttosto dettagliato circa le condizioni in cui si sarebbe trovato il corpo dello “scomodo” poeta. Majorana, alquanto sconcertato, si lamenta: “ La salma-dice- trovasi in luogo e modo impropri e indecorosi nella casa del deposito e che i topi sono giunti a scalfire il viso del poeta (…) perfino le scarpe nuovissime, che il discepolo Santino Scandurra aveva scelto fra le migliori della sua calzoleria e che aveva egli stesso calzate ai piedi gelidi del grande Maestro, non furono più trovate l’indomani: erano state rubate.”



E’ lì che ancora oggi riposa il corpo del “Vate”; dove inizia “il viale degli uomini illustri”. Sul piccolo mausoleo spiccano i versi siciliani del poeta Saro Lizzio: 

“Sta giusta urna chiudi lu to’ corpu 
ma lu munnu non chiudi lu to’ nomu.


* Tratto da Mario Rapisardi