Francesco Paolo Frontini (Catania, 6 agosto 1860 – Catania, 26 luglio 1939) è stato un compositore, musicologo e direttore d'orchestra italiano.

«Bisogna far conoscere interamente la vera, la grande anima della nostra terra.
La responsabilità maggiore di questa missione dobbiamo sentirla noi musicisti perchè soltanto nella musica e nel canto noi siciliani sappiamo stemperare il nostro vero sentimento. Ricordatelo». F.P. Frontini

Dedicato al mio bisnonno F. P. Frontini, Maestro di vita. Pietro Rizzo

giovedì 4 settembre 2014

Opere di Gesualdo Manzella Frontini


a sinistra, G. Manzella Frontini

Estratto da « Memorie e Rendiconti » dell'Accademia di Scienze Lettere e Belle Arti degli Zelanti e dei Dafnici di Acireale - Serie III - Volume V - di Vito Finocchiaro - 1985


Il ricordo di Gesualdo Manzella Frontini è ritornato piacevole e grato alla mia mente con lo «speciale» di Gaetano Zappalà, «Don Gesualdo di Trezza», pubblicato su «La Sicilia» del 28 ottobre 1985, nella ricorrenza del centenario della nascita del letterato catanese. Definire letterato il Manzella Frontini è, forse, un poco riduttivo, anche se l'essere cultore della letteratura, e cultore come lo fu lui, è pregio non da poco. Riduttivo, nel suo caso, perché egli non fu soltanto un eccezionale, coltissimo conoscitore e profondo studioso dell'«insieme delle opere, pertinenti ad una cultura o civiltà, affidate alla scrittura», non un semplice fruitore delle opere altrui, ma un soggetto attivo, un protagonista del fatto letterario. Fu, infatti, scrittore, poeta e giornalista raffinatissimo, impegnato, espressivo e fecondo (dei suoi ottant'anni di vita ne dedicò più d'una sessantina allo scrivere!), un nome autentico a livello nazionale ed europeo, se è vero, com'è vero, che lo troviamo con Filippo Tommaso Marinetti tra i fondatori del futurismo, nel 1910 tra i firmatari del «Manifesto dei drammaturghi futuristi» dello stesso Marinetti (è con i poeti Gian Pietro Lucini, Paolo Buzzi, Federico De Maria, Enrico Cavacchioli, Aldo Palazzeschi, Corrado Govoni, Libero Altomare, Luciano Folgore, Giuseppe Carrieri, Mario Bètuda, Enrico Cardile, Armando Mazza, assieme ai pittori Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo, Giacomo Balla, Gino Severini ed al musicista Balilla Pratella) e tra le personalità che figurano nel «Manifesto delle avanguardie letterarie ed artistiche europee» firmato da Guillaume Apollinaire nel 1913 a Parigi (nell'elenco vi sono Marinetti, Picasso, Carrà, Matisse, Palazzeschi, Strawinsky, Papini, Soffici, tanto per fare dei nomi che dicono molto a tutti).
Laureato in lettere e diplomato in filologia, insegnante nei licei classici di Prato, Luino, Cassino e Catania («Cutelli» e «Spedalieri») nonché nel liceo dell'Istituto San Michele di Acireale, Gesualdo Manzella Frontini diresse i giornali romani «L'idea liberale» (1914), «Le fonti» (1918), «Corriere africano» (1930) e collaborò a numerosi giornali e riviste, tra cui «Delta», «Vita nova», «Popolo di Roma», «Anthologie», «Lavoro fascista», «Corriere emiliano», «Ausonia», «Misura», «La rassegna», «Il resto del Carlino», «Novella», «Corriere della sera», «Corriere di Sicilia», «Popolo di Sicilia», «La Sicilia», «L'ora», «Giornale di poesia», «La fiera letteraria» e «Poesia», la rivista di F. T. Marinetti.
Fu autore prolifico e versatile, come si conviene a chi nutre molteplici interessi ed ha il desiderio intenso (direi meglio, figurativamente, la smania) di soddisfarli tutti. Scrisse, infatti, ben ventisei opere (e va da sè che mi riferisco a quelle pubblicate in volumi), spaziando dalla poesia al teatro, dai racconti alla letteratura ed alla retorica, dagli studi critici e dai saggi ai romanzi. Val proprio la pena di elencare i suoi libri (e lo farò in appendice, anche per ricordarne alcuni che oggi sono poco noti), divisi per sezioni, non senza notare che ognuna di queste l'Autore curò non episodicamente ma per lunghi periodi della sua intensa vita, con ampio respiro di continuità, dando corpo a coerenti sequenze temporali, che si avvertono particolarmente nei campi della poesia, della saggistica e della narrativa.
Non è, comunque, questa la sede, per chi, come me, non è un critico letterario né sa portare avanti con autorevolezza disquisizioni in chiave di puro estetismo, per approfondire il discorso su Gesualdo Manzella Frontini, scrittore ed operatore di cultura nel senso più largo dell'accezione. A me preme, invece, parlare della fugace conoscenza personale che ebbi con «don  Gesualdo  di Trezza»  e  dare  testimonianza  diretta  d'una delle sue attività più significative, che senza dubbio resta legata alla condirezione con Mario Scarlata della nuova serie di «Camene», la rivista di lettere, arte e scienza che, forse, resta la migliore del genere che sia stata pubblicata a Catania e tra le notevoli in campo nazionale. Camene qui -



dedica allo zio F. Paolo Frontini

Canzon di Maggio
a G Cesare Balbo, amicamente.

O fiorenti beltà siciliane,
lunghesse le radure
gaie ridenti come le campane
su le romite alture;

o turgidi papaveri carnosi,
fra l'oro del fromento
sbocciati come steli desiosi
e rosseggianti al vento ;

amate, poi che tutto si rinnova
ne la feconda luce;
amate: è maggio ne la veste nova
che la vita conduce.

Le chiome come faci intormentite
vibran possenti odori,
son di rose le carni rifiorite,
e li occhi ànno fulgori.

A me poeta che nel Tempo vissi
-eterno inebriamento-
sembra l'acceso palpitar di bissi
un sogno del ducento.

O la vegnente schiera giovenile
nel sole vespertino,
di porpora vestita in suo gentile
incedere divino !

O forosette, la mia giovinezza
è lirica pagana:
io canterò per voi l' acre dolcezza
de la passione umana.

Io son Diòniso, o mie fanciulle fulgide,
l'eletto del piacere :
voi proverete su le labra turgide
l'ardenza del godere.

Alla mia gioventù prodiga ardente
il sangue succhierete,
fin che ne l'ebre bocche avide e spente
non lenirà la sete.

O forosette, nel mio sangue è un dio
che rinnova la vita:
bevete, bevete il sangue mio
ne la coppa infinita.

Io non so chi mi sia : m' urge le vene
la possanza universa.
O tramonto di rose e di permene,
già l' anima nel Tutto s' è riversa.

Ars Nova settembre 1905 - Catania
G. Manzella Frontini.


"Non sono futurista, caro Lipparini, né classicista, né romantico, né simbolista, né parnassiano, né sincerista, né... il diavolo che mi porti; sono un innamorato, un idolatrata dell'Arte, — questo sì — e cerco d'avvicinarmele, devotamente, per ogni via, e la tento e ne provoco un sorriso — questo si!
Sebbene le dediche del Marinetti e di tutti gli altri ingegnosi e valorosi giovani che  stanno attorno all'audace autore di Mafarka mi solletichino, io non posso consolarmi all'appellativo per il solo fatto di non poterne accettare alcuno.
Che se poi futurista vuol dire rivoluzionario, accoltellatore magari e dinamitardo dei principi di sangue... apollineo, i cattedratici, i corrosi, i polverizzati, i baciapile, i tarpatori di ali, e allora sono il più avanzato dei futuristi, a dispetto marcio della mia laurea in lettere e filosofia. Va bene ?" Contemporanei e futuristi» (1910)




OPERE DI G. MANZELLA FRONTINI
POESIA: 
«Novissima Semi ritmi» (1904),
«Le rosse vergini. Rime pagane»(1905),
«Il prisma dell'anima» (1911?),
«Sul gigli gocce sanguigne»(1920),
«Il mio libro dai campi P.W.» (1949).

RACCONTI: 
«Le lupe» (1906),
«Quando la preda è stretta» (1921).Premio “Il Seminatore”

STUDI CRITICI E SAGGI:
«La Lozana Andaluza» (1910),
«Contemporanei e futuristi» (1910),
«Auro d'Alba» (1927),
«Mario Puccini» (1927),
«Il Santo mediterraneo» (1931).
«Abate» (1932)

TEATRO: 
«L'altro sangue» (1922?),
«Verso le ombre» (1923),
«La madre immortale» (1935).Archivio Storico Luce - Attrice Marcella Albani
Giornale Luce B0485 del 06/1934


LIBRI DI LETTERATURA E DI RETORICA:
«Note di letteratura» (1921),
«Lingua e stile» (1931),
«Idee estetiche e gusto»  (1924).

ROMANZI: 
«L'Uomo che non seppe odiare» (1924),
«Il testamento di Giuda» (1925),
«Pupetta» (1926),
«Circo Barum, naja e sciacalli» (1933), premio “Accademia d'Italia”
«Scale» (1935), premio “Foce”
«Crocifissi alla terra» (1953),
«Sorte» (1961), quest'ultimo con presentazione di Bonaventura Tecchi.

VARIE: 
«Volare» (1927),
«L'eroico imperiale» (1928),
«Italia una e diversa, tutte le regioni» (1923).


***
Dal 1903 al 1965 scrive per La Sicilia, il Corriere dell'Isola, La voce dell'Isola, Orizzonti, Libera parola, Il Tevere, Quadrivio, La Gazzetta delle Arti, Ultimissime, Momento Sera, Le Lettere, Il lavoro Fascista, Tribuna Agricola, La Gazzetta del Sud, Il Resto del Carlino, Pomeriggio, Il Risveglio, Milano Sera.
I due pseudonimi (in sicilia) Eligio Flora e Deodato Perduti.

Collabora alle riviste
1903 Fantasmagoria
1904 La Lettura
1906 Critica ed Arte
1909 Poesia
1915 Imo de Pectore
1920 Rivista delle Signorine
1921/28 Le Fonti
1922 Il Polline
1923 Delta
1925 Polemica
1926 Bibliografia Fascista
1926/27 Le Thyrse
1926/28 Vita Nova
1926/29 L'Arte Fascista
1927 Quaderni Fascisti. Volare.
1930/31 Il Corriere Africano
1932 L'Asceta
1932/33 In Aevum
1938/39 Il Nuovo Stato
1946 Rassegna
1947 Misura
1947/48 Le Arti Belle
1947/48 Camene
1950/53 Doctrina
1955 Rassegna
1956/62 Catania
1957 Realtà
1957/60 Battaglia letteraria
1959 La Lucerna
1960 Vie Mediterranee.


dedica allo zio F. Paolo Frontini


MANZELLA FRONTINI Gesualdo - Poeta, narratore, giornalista (Catania 1885-1965). Allievo di Luigi Capuana, laureatosi in lettere (1906) e diplomatosi in filologia (1908), insegnò nei licei classici di Prato, Luino, Cassino, Lucera e nei licei catanesi Cutelli e Spedalieri. Tra i maggiori rappresentanti del futurismo in Sicilia, nel 1907 indirizzò un manifesto, precorritore di quello marinettiano del 1909, « alla gioventù contemporanea e agli artisti giovani » definiti « la vita e il futuro, oltre ogni teoria per un fine di rinnovamento ».



ALTRO








lunedì 18 agosto 2014

La Rivista Popolare ed. 1905 - a Giuseppe Mazzini


"Il culto d’un popolo verso i grandi suoi morti è senza dubbio indizio della sua civiltà; ma, quando si pensi che molti di quei magnanimi a cui s’innalzano monumenti furono perseguitati e calunniati e odiati in tutte le maniere mentre durarono in vita, vien quasi voglia di conchiudere che molte che paiono manifestazioni di animi generosi non sono altro che misere ipocrisie, e gran parte di ciò che diciamo civiltà non è che industria d’inganni, onde un popolo si studia apparire quel che non è, non solo al giudizio degli altri ma di sè stesso.
Sarebbe perciò desiderabile, a decoro di una gente e ad onor vero dei grandi trapassati, che non ci si affaccendasse troppo a commemorare, a statuare, a monumentare coloro che furono grandi, e si guardasse invece di conformare i pensieri e le azioni nostre a quelle dei magnanimi, dico di coloro che tali furono veramente, non di tanti che prima e dopo morte usurparono tal nome, e fama e gloria ebbero di grandi non per fatti [p. 6]propri, ma per capriccio di fortuna che li pose in alto, e per adulazione di servi, che più adorano la fortuna che non rispettino la virtù.
Questa sarebbe da vero opera di nazione civile; ma i popoli, quantunque si dicano civili, seguiteranno probabilmente a far pompa di morti per coprire le miserie dei vivi: chè, inalzar marmi e bronzi costa soltanto danari, quando l’ingegnarsi di imitare i grandi costa tali sacrifici che, tranne pochissimi, nessuno è capace, non che di sostenere, d’immaginare." M.R.




MAZZINI
Dall' Atlantide  di Mario Rapisardi - Canto  undecimo

Sei tu, sei tu, con subito e profondo 
Estro d'entusiasmo Edea favella: 
Ben t'affiguro al mite aspetto, al fondo 
Sguardo, alla fronte pensierosa e bella ! 
O intemerato cavalier del mondo, 
Ben principia da te l' età novella, 
Da te, dal cui presago alto pensiero 
Raggiò, qual sole dall' oceano, il Vero !

Quando più pura e più sublime Idea 
Più puro cor, mente più alta accese ? 
Quando in età più tenebrosa e rea 
Raggio più bel di libertà discese ? 
Quando mai l'ala del Pensier che crea 
Finse più mite eroe, più sante imprese ? 
Quando sdegno che atterra, amor che molce 
Andar congiunti in armonia più dolce?

Dolce armonia, che nel tuo bronzeo petto 
Di vaticinj e di dolor nutrita, 
Dalle voci cresciuta, onde un eletto 
Stuolo agitò la tenebra abborrita, 
Alimentata dal perenne affetto, 
Per cui sì novi eroi dieder la vita, 
Resa divina dal sospir di tante 
Madri e dall' ira e dall'amor di Dante,

Nel tuo grido proruppe, e all'aure prave, 
Onda oscura intristia l' itala pianta, 
Diffuse a un tratto un fremito soave, 
Una speranza inusitata e santa; 
Dai pigri petti, dalle menti ignava 
Fugò la nebbia e la negghienza tanta, 
E come squillo di celesti trombe, 
Svegliò la terra ed animò le tombe.

Sorsero sette re, pallulàr sette
Venali turbe al mal d'Italia armate, 
E industri insidie e perfide vendette 
Fra l'erbe ordir dal pianto tuo bagnate; 
Il demonio dell'Odio e delle Sette 
Ti saettò con Farmi avvelenate; 
Ma il vermiglio Guerriero, un contro a tutti, 
Sguainò la sua spada e fùr distrutti.

Salve, o dell' Ideal nitido acciaro, 
Raggio di libertà puro ed ardente, 
Celere qual pensier, come Sol chiaro, 
Gloria della ridesta itala gente ! 
Per te dall' ombre dell' esilio amaro 
Rifiammeggiò del Ligure la mente; 
Per te l'Idea, che il cor gli arse perenne, 
Nella destra d'un dio fulmin divenne !




*****
La Rivista Popolare ed. 1905 n. 11/12




domenica 18 maggio 2014

Medio Evo - poemetto del 1898

 Medio Evo
di
Lucio Costanzo
Musiche di Francesco Paolo Frontini
Prima rappresentazione: Napoli, Teatro dei Fiorentini, 28/01/1899
cantato dall'artista Bice Carelli (figlia di Beniamino Carelli, uno dei grandi maestri di canto ultimo di scuola napoletana) - Concerto Picone



MEDIO EVO è una leggenda del giovane poeta Lucio Costanzo, musicata da un artista di nome caro ed illustre, il maestro Francesco Paolo Frontini.


Il fatto si svolge rapidamente in un prologo e cinque parti: Un principe , alla vigilia delle nozze, galoppa felicemente verso il castello della sua fanciulla. che lo aspetta ansiosamente dall'alto di una torre. Per l'amore, che sta per essere suggellato dal matrimonio, il cavaliere offre alla castellana una croce d'oro, che ebbe in ricordo dalla madre moribonda. Sin qui l'amore è fiorito serenamente nei due giovani cuori; ora la croce svela un orrendo mistero, i due amanti appassionati sono fratello e sorella, l'avvenire di gioia è sparito, la felicità distrutta; la giovane desolata piange disperatamente la morte del fratello e dell' amore. 

Il modo sintetico con cui il fatto è presentato, se da un canto impressiona di più per la evidenza e il rilievo dei punti più drammatici e importanti, dall'altro lascia in chi legge od ascolta, un desiderio giusto d'una rivelazione maggiore delle cause che, così com'è la poesia, nel sentimento e nell'armonia del verso, bisogna argomentare interamente dagli effetti. Una ragione potrebbe giustificare abbastanza questo passaggio rapido da un momento psichico all'altro, lasciando che il pubblico indovini tutto il resto: La ristrettezza imposta dalla forma in cui si è voluto presentar la leggenda, per dare all'arte una produzione nuova per la scuola musicale italiana.

Però il maestro, trovando un'eco appassionata e profonda nell'anima sua al sentimento della lirica, ha saputo svolgere con la musica le idee che il poeta è stato costretto ad accennare semplicemente. Così il prologo, in gran parte di genere descrittivo, dice dell'ansia del cavaliere e della foga dei cavalli, del pulpito della castellana e del frastuono dei ponti che si abbassano per fare entrar la cavalcata; e all'incontro dei due cuori, la melodia, con cambiamento di ritmo e di tempo rivela la dolce commozione di quelle anime che ambiscono l'amplesso supremo. Così, di parte in parte dai sogni gentili in cui lo spirito si slancia per delirio sublime di voluttà, alla gioia reale di amare e di sentirsi amati, la musica eccita e spiega l'incanto che soltanto le note sanno dare nel loro mistero soave. 

Venuto però il momento triste, la melodia è tutt'altra, è l'espressione del dolore che si svela ad un tratto nel la crudele semplicità del vero. Allora sorge spontaneo il rimpianto, e con felice trovata da artista, il Frontini fa ripetere la frase dei sogni dell'amore, quando al dolore presente si contrappongono, per antitesi naturale, i ricordi carissimi della felicità passata che non può rivivere più.

Il lavoro per la sua originalità, per l'eleganza del verso e l'elevatezza dei concetti melodici, è tale d'attirarsi, come ha fatto, la simpatia del pubblico. 

Celestino Mohor - Sancio Panza 1899 Catania




** Lettera di Jules Massenet 
"ho letto le vostre composizioni e vi dico con gran piacere la bellezza che v' ho ritrovato. Quella musica m'ha fatto desiderare di confidarvi le mie impressioni. Invidio le vostre opere e voi scrivete in una lingua musicale che io amo!"

PROLOGO - (la Cavalcata).

Galoppa nel bosco per l'aspro sentiero 
un principe ricco di gioie e beltà, 
ha cento scudieri ed un solo pensiero; 
la donna che sposa domani farà.

Ed ella da l'agile torre merlata
lo scopre e ne gli occhi le splende l'amor, 
e sprona col core la sua cavalcata 
che vola ed arriva con lieto furor.

Già calano i ponti, la sposa gentile 
riceve l'amore, felice così, 
l'amore che in vita le schiude l'aprile, 
l'amor che due cori in un palpito unì.


I - (Sogno d'amore).

IL cavalier che il cielo mi destina 
m' ha dedicato il cor, 
ha giurato ch' io son la sua regina 
ed egli è il mio signor.

T'amo, fulgente sol de la mia vita, 
piena per te d'incanti, 
t'amo ne la delizia indefinita 
dei baci inebrianti.

E allor che l'elsa invitta ti saprò 
fiera de la vittoria, 
qual genio de l'amor ti seguirò, 
gloria de la tua gloria !


II - (Addio al castello).

Addio, vecchio castello, in cui si svolse 
il fior del viver mio, 
un altro amore a l'amor tuo mi tolse, 
vecchio castello, addio!

Io ti lascio e ti piango ! le tue mura

sono tutto un passato; 
cangia per me la vita e la ventura 
ma non ti avrò scordato.

La tua memoria in me sempre fiorisce 
nel trionfo de l'amore, 
se ad ogni idea che se ne va finisce 

una parte di core !

III - (la Croce).

L'amore mio m' ha dato un'aurea croce 
in pegno de l'affetto, 
sussurrando dolcissimo la voce: -
« Portala sempre al petto.

« Sacro ricordo è de la madre mia 
« che morendo mi diè ; 
« porta inciso il mio nome e sempre sia 
« ricordo caro a te !  »  -

Io l'adoro ! chè a l'anima rivela 
di lui la gioventù, 
e l'amor suo che la mia vita anela 
per non lasciarlo più !


IV - (Mistero).

Croce fatal!... svelando il tuo passato 
il cor m' hai crocifisso, 
l'amore mio sublime e sventurato 
lanciando ne l'abisso!

La speranza tramonta.... ed il desìo 
cordoglio è divenuto.... 
Idol diletto, tu del padre mio 
tu sei figlio perduto!

Addio, sguardi d'amore, addio sorrisi, 
sorrisi che adorai!... 
Nel cor vi sento eternamente incisi 
ma non vi avrò più mai!


V - (Schianto !)

Morto !... morto !... per sempre irrigidito 
il braccio suo diventa.... 

il dolce suon de la voce è finito.... 
la sua pupilla è spenta!

Perchè ?... perchè cangiar sogno divino 
in desolato pianto ?
Perchè ?... perchè conquidere il destino 
il nostro amore santo ?

Ma tu non senti più la mia parola.... 
finì la nostra sorte!... 
Fratello mio!...or derelitta e sola 

resto a invocar la morte !

***

Come si vede, in sei gruppi di strofe, di dodici versi ciascuno è svolta una leggenda del contenuto eminentemente drammatico, e la cui tela avrebbe potuto servire ad un voluminoso romanzo o ad un lungo dramma.
Questo è secondo me il merito principale del componimento poetico del Sig. Costanzo, il quale ha saputo condensare in quei sei brevissimi canti uno straziante episodio d'amore condannato dal destino. E tanto più ammirevole ne riesce l' arte, quando si pensi che la forma non è narrativa impersonale, ma rappresenta lo sfogo di un'anima dapprima in giubilo, e poi in pena, la quale in piena dei suoi affetti canta e rivela lo strazio dei varii episodii del suo amore. Il componimento ha dunque la forma del monologo prescelta appunto per le esigenze della musica da sola. Solo ha forma narrativa impersonale il prologo il quale può a parer mio esser detto anche dalla stessa voce che da principio narra impersonalmente la corsa del cavaliere baldo di fede e di cuore, che corre ad impalmare la bella castellana, e quindi la stessa voce immedesimandosi nell'episodio, e fare suoi gli sfoghi dell'amorosa fidanzata sacrificata cosi crudelmente dalla fatale rivelazione d'una crocetta regalatale dal cavaliere.
Il compito adunque tanto difficile di condensare in poche strofe tutta la tela dell'episodio, e, sotto forma di monologo, è stato superato dal Costanzo tanto felicemente, da rendere propizia la via al maestro compositore.
I versi poi sono così scorrevoli, e la forma così sobria, la dizione cosi schietta, e scevra di ricercatezza che danno vita e colorito efficace ai vari episodi   ed   ai vari affetti   che vi si concatenano.
Su questi versi e su questa tela il nostro maestro F. P. Frontini ha intessuto le sue melodie, che pregustate in qualche salotto, hanno già fatto parlare tanto benevolmente la Stampa prima della loro pubblicazione. 
Corriere di Catania, Delta


 Medio Evo - La musica


Proseguendo la recensione del nuovo lavoro del M. Frontini, mi studierò di fornire ai lettori un sommario della parte musicale.


Il prologo si apre con un movimento caratteristico in re bemol edel solo pianoforte, in tempo 3|8 con qualche intermezzo di battute in sei; in modo che l'insieme ritmico riesce mimetico dello scalpitio di cavalli, questo movimento prosegue nei bassi ancora quando la  voce con un canto declamato svolge le prime due strofe.

L'intento artistico è raggiunto con tale perfezione che non solo si resta ammirati nella parte descrittiva del pianoforte, per la felice imitazione, ma nel successivo insieme col canto, si hanno contemporaneamente presenti le rappresentazioni della corsa del cavaliero, e quella  dei pensieri che lo dominano in quel momento, svolti dal canto.
Questa frase declamata esce quindi in una frase larga in tempo 6|agli ultimi due versi: L'amore che in vita le schiude l'aprile....  che ferma opportunamente l'attenzione sul concetto espresso dalle parole.
E il prologo viene chiuso con parecchie battute del solo pianoforte che torna al primo tempo e ritmo.

I - Sogno d'amore. 
Segue questa melodia nella quale la bella castellana in attesa del cavaliero dà sfogo alla piena dei suoi affetti e delle sue gioie con un canto appassionato, andante in la bemolle, mentre il basso riproduce, come eco lontana, la melodia che i cantini accompagnano con ritmo di crome sulle note acute.
E in questo canto il Frontini trasfonde tutta la passione che l'animo suo di artista ispirato gli suole suscitare, specialmente alla frase «t'amo fulgente sol... » che prorompe dopo una battuta di pausa,  con un  fa minima.
La melodia si chiude con un pianissimo alla parola «t'amo» ripetuta per due battute interrotte da una battuta di pausa, su due note decrescenti, e con sapiente monotonia d'accordo da tradurre insieme la dolcezza ineffabile di quella espressione.

II - Addio al castello.

La bella castellana sul punto di correre fra le braccia del suo amore, e di abbandonare il natio castello, gli rivolge l'ultimo addio con una melodia in sol minore che comincia sulla quarta del tono e precede con accompagnamento pesante di semiminime, come a denotare la tristezza di quel saluto; alla quale viene ancora accresciuto il colorito e l'espressione dalla frase: «Se ad ogni idea che se ne va, finisce - una parte di core... » tessuta su note basse del canto.

E qui la melodia, il cui stile comincia ad elevarsi, riproduce cosi fedelmente la dolce malinconia dell'abbandono, tanto nella tessitura della frase musicale come nel colorito del tono minore, che compenetra della situazione e commuove addirittura.

III - La croce. 
Qui l' amorosa. castellana ricorda il dono di una crocetta fattale dal suo fidanzato quale prezioso talismano.
E la melodia in do maggiore, con andamento largo, in tempo 2|4, con accompagnamento sincopato sul violino segue il concetto del misterioso regalo a cui un presentimento indeterminato, sovrasta quasi, da principio, per diminuire il godimento, finchè il canto erompe in una frase appassionata alle parole «Io l' adoro... (la croce)» in cui cangia il movimento dei bassi e cangia la tessitura, come per l' erompere di un affetto prepotente che vince ogni preoccupazione incosciente.

IV - Mistero. 
I sogni d'ebbrezza sono  distratti. La castellana ardente d' amore ha riconosciuto ,  con quella crocetta, che l' amante è suo fratello.
La rivelazione è preceduta da poche battute del pianoforte, con una frase ad andamento largo, la quale si ripete fra la prima e la seconda strofa; e la melodia s' apre in mi minore , con una tale tessitura di note che lo stile cessa di avere la caratteristica da sala, e raggiunge l' altezza di stile d' opera; quindi la melodia passa nel tono maggiore alla frase :  Addio Sguardi d' Amore che dà più segnatamente l' impronta di romanza d' Opera, a questa bella melodia della quale l' arte e l' ispirazione hanno fatto un piccolo capolavoro, il cui pregio è accresciuto da certe alterazioni di tono, e movimenti di biscrome nei bassi, di effetto originale.

V - Schianto ! 
L' amore è morto, violentemente ucciso dal Destino. Non resta che il pianto e la disperazione.
Il pianoforte preludia a solo, sotto cinque battute di pausa nel canto , lo schianto di quell'anima in pena, con accenni gravi fraseggiati e accompagna in la minore con note pesanti, tenute, un declamato su note basse. 
Succede un tempo di marcia funebre per pianoforte, mentre la voce piange un canto che sfiora l' altro alle parole « perchè ? perchè ?» e la frase del pianoforte con un crescendo molto sensibile va a risolvere in una frase straziante interrotta dalla voce che, come un singhiozzo grida: Morto ! . Indi ripetendosi la frase del« Sogno d' amore » in contrasto coll'attuale momento psicologico di suprema disperazione, con un tremulo nel violino, la voce a frasi spezzate canta:  Ma tu non senti più la mia parola » finchè finisce ancora, come eco di dolore, col grido ripetuto « Morto ! .

Celestino Mohor - Sancio Panza 1899  - Catania


Anche per orchestra
La partitura di Frontini prevede l'utilizzo di:
flauti, oboi, clarinetti in sib, fagotti
corni in Mi b, timpani, arpa, archi.




* Il poema "Medio Evo" musicato da Francesco Paolo Frontini è stato scritto da Lucio Costanzo, nato a Mineo nel 1872 da Giuseppe e da Marianna Cirrone. Autore di altri componimenti poetici, tra cui "Il Veltro" pubblicato da Giannotta editore di Catania. Il padre era uno dei più cari amici di Luigi Capuana che lui stesso conobbe e frequentò. Egli stesso era un bravo musicista e compose sopratutto dei valzer. Insegnò al Liceo Cutelli di Catania, ove morì negli anni 30, non avendo avuto figli dal matrimonio. Questa breve biografia è tratta da memorie di famiglia. Vincenzo G. Costanzo.

giovedì 8 maggio 2014

Saverlo Fiducia - Cantore di uomini e cose

Scrisse una volta Saverio Fiducia che pensando alla Catania dell'ultimo Ottocento, anche senza chiudere gli occhi, gli pareva di sognare. Chi lo conobbe, può credergli. Perché Catania l'amava veramente e più di tutti. E guai a chi osava disprezzarla o contraddirlo.

Saverio Fiducia, Catania 1878/1970 

Ricordava con precisione e minuzia ineguagliabili tutta la infinità di cose, di uomini, di avvenimenti visti e vissuti e per cui, fin da ragazzo, aveva sempre avuto sguardi non solo attenti, ma da vero innamorato. La sera del 31 maggio 1890 suo padre lo portò all'inaugurazione del Teatro Bellini. Non aveva ancora dodici anni e, dopo ottant'anni, Saverio Fiducia non aveva dimenticato nulla di quel sogno incantevole. Suo padre era impiegato al Comune. Naturale, quindi, che il piccolo Saverio vi si recasse spesso.                                 
Che cosa facesse di preciso non saprei dirlo. « Giovinetto lavoravo all'Archivio », ha lasciato scritto in certi suoi appunti di diario. Certo, l'amore per l'arte, per la storia, per i monumenti dovette germogliare in lui fra le montagne di carte, in mezzo agli austeri saloni e scaloni, ai monumentali archi e alle possenti colonne del sontuoso palazzo Vaccariniano. Perciò, quando nel 1944 lo incendiarono, Saverio Fiducia ne soffrì più di tutti. Aveva frequentato solo le tecniche, compagno e coetaneo del poeta Giovanni Formisano. Avrebbe poi voluto recarsi a studiare pittura a Napoli, o a Roma, o a Firenze. Non fu possibile. Si accontentò di frequentare la scuola serale di disegno « Figli del lavoro ». Vi insegnava, fra gli altri insegnanti, Francesco Toscano, disegnatore e acquarellista dell'architetto Carlo Sada. E Fiducia, alla fine dei quattro anni di corso, vinse il primo premio. In gioventù non solo disegnava, ma dipingeva bene. E chi, come il sottoscritto, ha potuto ammirare suoi disegni e dipinti, sa quello che dice. Frequentò anche una scuola di scherma e divenne amico di Agesilao Greco.
Mentre come giornalista Saverio Fiducia esordì nel 1923 con gli articoli apparsi in « Siciliana », la rivista fondata e diretta da Natale Scalia e poi, morto Scalia, dallo stesso Fiducia; la sua passione per il teatro, che s'era rivelata in lui quando ancora quinquenne il padre lo portava agli spettacoli di lirica e di prosa, aveva dato i primi frutti nel 1912 con due atti unici in lingua: « La nube » e « Il singhiozzo nell'alcova », che però non furono mai rappresentati. La prima affermazione l'ebbe con la commedia in dialetto « Notti senz'alba », la quale, presentata nel 1914 da Giovanni Grasso jr. al Politeama Garibaldi di Palermo, riscosse un gran successo. Il 2 luglio 1921 Grasso senior la fece trionfare anche al Lirico di Milano. E ciò nonostante, come ebbe a scrivere lo stesso Fiducia, fosse stata « stroncata da Renato Si-moni, plagiata da Ugo Betti e poi lodata da Saverio Procida ». Nel 1929 lo stesso Grasso senior ne farà una delle sue migliori interpretazioni in una sua serata d'onore al Rojal Theatre di New York.
Altri notevoli successi sono all'attivo di Saverio Fiducia: nel 1928 « Li du' surgivi » (Siracusa, interprete Turi Pandolfini); nel 1929 « Dòmini » (Palermo, interpreti Giovanni Grasso jr. e Virginia Balistrieri); nel 1930 « Vicolo delle Belle » in lingua e col commento musicale del maestro F. P. Frontini (Catania, interprete Turi Pandolfini).
A proposito de « Li du' surgivi », quando nel giugno del 1968 furono riprese nel nostro Teatro Rosina Anselmi con la regìa di Carmelo Molino, che suggerì a Fiducia, e Fiducia accettò, alcuni tagli e variazioni, il successo si rinnovò. Specialmente alla fine del secondo atto, quando escono di scena, muti e sotto lo scampanio festoso della vicina chiesa, i due vecchietti (massaru 'Nniria e 'a matri scanusciuta), il pubblico andò in delirio. E Saverio Fiducia, commosso e felice come un giovane autore alle prime armi, disse che mai quel suo lavoro era stato recitato così stupendamente.
Ma per il teatro non scrisse soltanto codesti lavori. Ne scrisse molti altri che per brevità non elenchiamo e che non tutti furono rappresentati. Ricordiamo soltanto « Solitudini », tre atti scritti nel 1936, che piacquero a Maria Melato e che li avrebbe rappresentati se intanto, per ragioni politiche, non fosse stata sciolta la sua Compagnia.
Per la RAI, oltre il bozzetto in un atto « Caffè notturno » e a svariate conversazioni e riduzioni, tra cui « La lupa » e « La caccia al lupo » di Verga, « San Giovanni decollato » di Martoglio, « U spirdu » di A. Russo Giusti, tradusse « Bellavista » di Pirandello e, dal napoletano, « Addio mia bella Napoli » di Ernesto Murolo, che, giudicata « felice », fu data nel nostro Teatro Coppola la sera del 12 febbraio 1920 con un discorso introduttivo di Francesco De Felice. 



A eccezione delle cento e una « Passeggiate sentimentali » raccolte nel volume edito dal Giannotta, la produzione di Saverio Fiducia è rimasta disseminata e dispersa in giornali e riviste, e, per la parte teatrale, nei copioni i quali, insieme con i racconti in gran parte inediti, sono custoditi, con non pochi altri ricordi e manoscritti del padre, da una delle sue due figlie, la signora Santuzza Cambellotti.
Dopo il suo esordio in « Siciliana » Saverio Fiducia collaborò al « Giornale dell'Isola », allora diretto da Gioacchino Di Stefano; fu dal 1929 al 1935 con Luigi Gandolfo segretario di redazione della rivista del Comune « Catania », diretta da Guido Libertini, e, chiamatovi da Piero Saporiti e Vito Mar Nicolosi, fu critico cinematografico del « Popolo di Sicilia », incarico poi passato, con grande amarezza del Fiducia, a Ottavio Profeta. Nel 1952, riprese le pubblicazioni la rivista del Comune, vi fu richiamato e vi rimase, spiegando grande impegno e amore, fino alla cessazione, avvenuta nel dicembre del 1962. Sorta, anzi risorta, nel 1947, « La Sicilia », vi iniziò la collaborazione. Qui, in queste colonne, apparvero tutte le sue « Passeggiate sentimentali » (l'ultima rimase incompleta nella macchina da scrivere), diecine e diecine di articoli vari d'interese storico, civico, artistico, nonché racconti e novelle e, inoltre, delle rubriche come « Echi », « Cartoline illustrate ». Rubriche simili aveva tenuto anche in altri quotidiani. Ricordiamo: « Periscopio cittadino », « Itinerario sentimentale », « Le luci della città » e altre.
In merito ai racconti e alle novelle, ecco un particolare che nessuno o solo pochi ìntimi conoscono. Ne aveva preparato un volume, per lo più inediti, ma non ebbe il tempo di vederlo stampato. E fu questa, certo, un'amarezza che si portò nella tomba. Lo aveva consegnato circa un anno prima di spirare a un libraio, che voleva iniziare la sua attività editoriale proprio con un volume di Fiducia. Ma poi, per varie ragioni, le cose andarono alle lunghe, Tutte le volte che Fiducia andava a sollecitarne la stampa voleva che lo accompagnassi io, non per altro che per l'amicizia che ci legava. Ma quando il male si rivelò inesorabile, volle (rammento con angoscia ancora la telefonata di casa sua) che andassi io a ritirare il manoscritto. E quando lo riebbe, provò tanta gioia che sembrava guarito.
Un'altra cosa conosciuta da pochi, è questa. Le « Passeggiate » non dovevano essere raccolte in volume dall'editore Niccolò Giannotta, bensì dal prof. Venero Girgenti, direttore de « La Tecnica della scuola ». L'accordo tra Fiducia e Girgenti era stato raggiunto. La spesa sarebbe stata divisa a metà. Ma, a un certo punto, entra in scena Giannotta, e riesce, consenziente però Girgenti, a guadagnare Fiducia alla sua casa editrice. E così, il primo volume delle « Passeggiate sentimentali », anziché Girgenti, lo stampò Giannotta. Girgenti ne ebbe una copia con la seguente dedica: « A Venero Girgenti, artefice principale della pubblicazione di questo libro, memore e grato Saverio Fiducia ». Chi volesse saperne di più, vada a leggersi, nel fase. n. 8 di giovedì 25 gennaio 1973 de « La Tecnica della scuola », l'articolo di Venero Girgenti.

"Vicolo delle belle" commedia di Saverio Fiducia con commenti musicali di F.P. Frontini (1930)



La mia amicizia con Saverio Fiducia nacque subito dopo la guerra '15-'18, quando io, giarrese, venni a stabilirmi a Catania. E se anch'io, non catanese, mi sono innamorato di Catania, lo devo principalmente a Saverio Fiducia. Fu il suo amore che infiammò il mio. Del resto, non si poteva essere suo amico se non si amava Catania.

* La Sicilia, 13.05.1975 Francesco Granata 

---------------------------------------------------------------------------------------------

ll dramma di una vita - Francesco Paolo Frontini 1860/1939