Francesco Paolo Frontini (Catania, 6 agosto 1860 – Catania, 26 luglio 1939) è stato un compositore, musicologo e direttore d'orchestra italiano.

«Bisogna far conoscere interamente la vera, la grande anima della nostra terra.
La responsabilità maggiore di questa missione dobbiamo sentirla noi musicisti perchè soltanto nella musica e nel canto noi siciliani sappiamo stemperare il nostro vero sentimento. Ricordatelo». F.P. Frontini

Dedicato al mio bisnonno F. P. Frontini, Maestro di vita. Pietro Rizzo

sabato 25 ottobre 2014

Zenone Lavagna il pittore votato a grandi cose. Nato a Biancavilla il 14 febbraio 1863

Nato a Biancavilla il 14 febbraio 1863, Zenone Lavagna aveva quattro fratelli (Natale, Salvatore, Antonino e Francesco), e una sorella : Maria. Non si può qui non accennare a Salvatore : medico, letterato e commediografo, che ha lasciato un volume (Camene, Catania 1959) in cui sono raccolti quattro suoi lavori teatrali, tra cui « Thamar », definito da Federico De Roberto « per il disegno e la vigoria di tocco un vero poema drammatico », e « Agata » rappresentata con successo al Teatro Massimo Bellini e all'Anfiteatro Gangi.
Ancora ragazzo, Zenone Lavagna si era fatto notare per le sue spiccate attitudini artistiche. Condotto quindi dai genitori a Catania, qui fu affidato al pittore e pastellista insigne Angelo D'Agata, da poco ritornato da Firenze dove aveva frequentato l'Accademia di Belle Arti. Lo studio del D'Agata era al secondo piano della sua casa in via Madonna del Rosario.
Ottenuto in seguito ai suoi progressi un sussidio dal paese natio, Zenone Lavagna poté recarsi a studiare all'Istituto di Belle Arti di Napoli. Ammesso al corso di figura, divenne ben presto allievo prediletto di Domenico Morelli. Conseguito il diploma passò a Roma per perfezionarsi alla scuola del nudo. E a Roma s'iniziò la sua vita di pittore errabondo. Infatti, oltre che in Svizzera (Zurigo e Locamo) e in Germania, soggiornò ora a Milano, ora a Pallanza, ora a Venezia, ora a Catania, ora a Palermo, dove, colpito da un male inesorabile, spirò nel marzo del 1900 a soli 37 anni.
nudo di donna, collezione Frontini

Al lavoro originale di creazione alternava lo studio delle opere dei grandi maestri, dei quali soleva copiare noti capolavori che poi rivendeva per poter vivere.
A Napoli aveva dipinto fra l'altro una Testa di giovinetta e un'altra Testina (pure di giovinetta), che sono due notevoli pezzi di pittura non foss'altro per il possente rilievo delle loro figure e per la soavità espressiva dei loro occhi.
Quando Zenone Lavagna, dopo aver soggiornato all'estero e in mezza Italia, venne a Catania, mise lo studio, aiutato certo dal fratello Natale, allora Curato della chiesa di S. Cosimo e Damiano, nella chiesa della Confraternita di S. Giacomo, nel medesimo spiazzo della Madonna dell'Aiuto e della Casa di Loreto (« prototipo — dice Guglielmo Policastro — del Santuario Lauretano»). E lì andavano a trovarlo Giovanni Verga e Federico De Roberto, Luigi Capuana e Mario Rapisardi, Calcedonio Reina e qualche volta anche Giuseppe Sciuti, tutti suoi amici e ammiratori del suo genio e della sua arte. Sciuti, dopo aver visto alcune sue tele, gli predisse successo e grandezza. « Voi farete cose grandi », gli disse. E quel vaticinio si sarebbe avverato se il giovane e tra i nostri maggiori pittori dell'Ottocento non si fosse spento allorché il di lui meriggio stava per scoccare, come scrisse Saverio Fiducia in questo stesso quotidiano nel gennaio del 1954.
Giovanni Verga soleva accompagnarsi a Zenone Lavagna e soffermarsi a guardarlo mentr'egli fermava su tela o su tavolette angoli della Catania della fine del secolo. Uno di quegli angoli (un quadretto di cm. 23 x 16) mi fu regalato or son molt'anni, assieme ad una figura terzina di nudo dello stesso Zenone, dal di lui fratello e mio indimenticabile amico dottor Salvatore. Tale quadretto rappresenta l'antica chiesetta di Santa Maria degli Angeli, edificata nel 1383 e assegnata poi ai PP. Cappuccini e tuttora esistente, ma abbandonata, nei pressi dell'icona della Madonna del Conforto, o d' 'u pani cottu, come la chiama il popolo, lungo la via Cifali, che sarebbe stato più giusto chiamarla Cibele.

Fra le opere più importanti di Zenone Lavagna, oltre quelle già citate, sono da ricordare : un ritratto del Card. Dusmet, che dovrebbe esistere alla Curia Arcivescovile ; l'Arabo, una testa trattata con una tecnica comune, sì, ad altri pittori del suo tempo, ma che tuttavia si distacca e differenzia dalla pittura coeva per una personale impronta e vigoria di disegno, impasto e tocco ; il Monaco, che è il ritratto di un noto frate catanese soprannominato Pisasale; i ritratti della Madre e della Signora Concettina. Questi due ritratti segnano, fra l'altro, il passaggio dell'arte di Zenone Lavagna ad una tecnica, per cui essi hanno per lo studioso una rilevante importanza. Si tratta di una nuova tecnica che andò poi sviluppandosi ed evolvendosi attraverso audacie coloristiche che se nell'Ottocento potevano sembrare ed erano tali, ora mostrano invece quanto fossero avveniristiche e precorritrici.
Accanto a codesti due ritratti stanno l'Opera che, ispiratagli dall'omonimo romanzo zoliano, figurò nel 1895 alla Triennale di Brera; Peccato e Perdono, che raffigura un pittore davanti il cavalletto in atteggiamento triste e pensoso con a fianco la modella compresa dell'afflizione del maestro; di Mater Admirahilis, nonché di paesaggi, quali, ad esempio, 77 lago di Como e Rio di Venezia. A proposito di Mater Admirahilis, che è una delle migliori e più avvenenti opere di Zenone Lavagna e della pittura dell'Ottocento non soltanto catanese, essa fu tuttavia respinta da una Mostra religiosa torinese, ma poi, nel 1898, accettata ed esposta alla Mostra Internazionale di Venezia ed acquistata dal cav. Francesco Parisi per la sua Galleria veneziana. Il titolo a codesta opera fu dato da Calcedonio Reina.
Un'opera veramente singolare è la tela che rappresenta : a destra Cristo in croce, a sinistra la Madonna straziata dal dolore e nello sfondo il panorama di Gerusalemme. A parte la bellezza delle figure animate di verità e poesia, la singolarità di questa tela, oltre che nella grandiosità (metri quindici per dieci), consiste nel fatto che mentre il fondo è azzurro le figure sono bianche, un bianco, però, che, col passare degli anni, si è un po' oscurato. Eseguita nel 1896 appartiene alla chiesa madre di Belpasso e viene esposta una volta l'anno dalla domenica delle Palme a Pasqua . A proposito della Pasqua, ecco un particolare che mi è stato raccontato dall'amico belpassese prof. Venero Girgenti. Un tempo, quando la gloria suonava di mattina, verso le ore undici, i ragazzi che affollavano la chiesa fuggivano a gambe levate per andare a prendersi 'i Cicilia, cioè i cuddura ccu l'ova.
A questo punto mi corre l'obbligo di ringraziare non soltanto l'amico Girgenti, bensì, per le notizie gentilmente favoritemi, il parroco Padre Giuseppe Vasta e il signor Antonino Lavagna, pronipote di Zenone, figlio del quasi novantenne nipote Giuseppe, che porta il nome del nonno.
   
nudo di donna 2, collezione Frontini

Ma non possiamo chiudere queste brevi note su Zenone Lavagna senza accennare al suo San Francesco di Paola.
È un'opera firmata. Nessun dubbio, quindi, che sia sua. Ma perché, vien fatto di chiedersi, perché sotto la firma l'artista ha scritto : « dal Tiepolo di Venezia », se non ha nulla che la faccia somigliare a quella del Tiepolo? Proprio nulla. Né l'atteggiamento della figura, ispirata e solenne nel Tiepolo, conclusa invece in una mistica compostezza nel Lavagna ; né la luce che, mentre nel Tiepolo non investe solamente l'immagine del santo ma tutto il quadro, nell'opera del Lavagna è crepuscolare e lo sguardo del santo traluce appena dalle palpebre socchiuse ; né, infine, lo sfondo, grigio nel Lavagna, splendente invece e rallegrato da alcuni angeli nel Tiepolo. Che Zenone Lavagna abbia visto il San Francesco di Paola del Tiepolo e gli sia venuto l'estro di trattare anche lui il medesimo soggetto, questo sì. Ma che poi lo abbia fatto a modo suo, anche questo non si può negare. E così il suo San Francesco di Paola è suo, tutto suo. Se qualcuno avesse dei dubbi, non ha che da andare a Venezia a vedere, nella chiesa di San Benedetto, quello del Tiepolo e poi venire a casa mia a vedere quello del Lavagna. Sì, perché ce l'ho io da circa quarantanni.
Era andato a finire, attraverso chi sa quali e quanti passaggi, nella botteghina di un caro vecchietto nei pressi di San Placido. Me ne parlarono, data l'amicizia che ci legava, il pittore prof. Benedetto Condorelli e il dott. Salvatore Lavagna, fratello, come già detto di Zenone.
Andammo insieme, ricordo, e io comprai il quadro. Lo feci incorniciare e da allora l'ho sempre tenuto nel mio studio.

* « LA SICILIA », 9 marzo 1977. di Francesco Granata
* Catalogo illustrato della « Mostra retrospettiva della pittura catanese » organizzata nell'ottobre del 1939 in Castello Ursino dal quotidiano « Il Popolo di Sicilia ».







domenica 5 ottobre 2014

"La solita canzone" di Gian Pietro Lucini, critica di Gesualdo Manzella Frontini - 1910



Di Gian Pietro Lucini, non appena mi sarà dato, io voglio scrivere a lungo poi che i suoi grandi difetti e le sue meravigliose virtù di Poeta trascendono e sconfinano dai limiti d'una fugace rassegna.
È troppa complessa visione quella della sua anima perchè si possa riportare nei brevi tratti piani d'un articolo senza menomarne i contorni. Io ch'ebbi il piacere di parlare del suo volume penultimo Revolverate, e trovarmi a doverlo difendere dalle anonime scuriate di chi ebbe paura d'immergersi nel mondo pericolosamente ironico  del  Poeta, oggi con allegrezza ritorno all'ordine delle mie idee poi che col nuovo libro La solita canzone Egli dà una riconferma... rinterzata della sua bella e completa figura.

* * *
Non è la solita canzone ch'Egli ci canta, sebbene si compiaccia perdersi tra le grige nebbie d'un titolo repugnante: strana compiacenza di Artista, allora quando altri si scalmana a giocare sull'illusione delle etichette straluccicanti!
La solita canzone: Primavera, senso, fedeltà, stanchezza, desiderio, voluttà, spasimo, abbandono, debolezza... Tutti i motivi della sinfonia, della grande eterna sinfonia polifonica dell'Amore, principio e fine! Ebbene non adorò l'Uomo nella vibratile coscienza primìgena una imagine d'Amore, nel rozzo cervello passata quando selvaggiamente cantava a torno la Natura anarchica? Dice l'Ecclesiaste (I. 9,10): « Quello che è stato fatto è lo stesso che si farà; e non vi è nulla di nuovo sotto il sole! » E dunque le scuole, le chiese e chiesuole, le differenziazioni, le selezioni naturali non sono che modalità: l'Arte è un organismo di natura superiore, ma la sua materia è indistruttibile, eterna, unica e le sue
varietà  sono   soggettive.....   Vecchio
ciarpame questo ch'io vado sventolando, ma è che ancora ci si illude di poter trovare il nuovo assoluto.
Non à forse — sento obiettarmi — ogni movimento artistico riportato sulla via dall'Arte qualcosa che s'era trascurata, o che si era almeno da tempo smarrita dietro un vaneggiare incomposto ?
Io non nego valore all'obiezione affermando che la tecnica, gl'incroci, circostanze di luogo e di tempo abbiano potuto e ci daranno intuizioni, che potranno avere dal soggetto forme varie, ma i motivi nacquero con l'Energia del mondo, sin dal primo sorridere di cielo e lacrimar di stelle tra le tenebre.
La solita canzone ! Ma quali e quanti ravvicinamenti inattesi, quali e quanti accordi inusitati. Egli a volte s'accosta alla natura per una varietà, sonorità, incalzante rapidità di verso, che la Musica del Debussy sino ad oggi solo à saputo raggiungere.
Anima vasta canta su sette motivi differenti la primavera : è preoccupazione del sociologo il quale vede in essa la mezzana dell'aumento straordinario della razza : è la investitrice violenta che sconvolge le quiete coscienze e seduce : è breve inganno e rossa festa : è l'assillo della carne illusa che avidamente vuole : è morte voluttuosa in un bacio: è distruzione: infine è l'alimentatrice della pudredine necessaria che sboccia dai lieviti fermentati.
E su questa eclettica canzone settimina non s'affaccia che una maschera, comica o brutalmente ironica, a ricalcare certe variazioni dolorose: È la maschera del Poeta: innanzi alla tregenda della menzogna, delle ipocrisie, delle doppiezze vigliacche, scintillano i muscoli rilevati d'acciaio e gli occhi taglienti e penetranti della maschera mobilissima. Il Poeta Lucini à della ideal vita un senso eroico di Bontà, Ingenuità, Umanità, Grandezza, e pertanto al suo sguardo, cui non sfugge grinza alcuna delle pieghevoli e cangianti ani-mule, balza il contrasto: Il Poeta allora s'immerge nella lotta, s'azzuffa, svuota la sua sacra bile; oppure gonfia, gonfia le creazioni, vi alita dentro ridendo, e poi d'un tratto spacca con un pugno l'opera vana e ne ritrae la misera otre flaccida; oppure olimpicamente s'abbandona alla visione pura del suo Ideale, ma raramente: O ironia, creazione e distruzione di mondi superiori! Si è detto da alcuni che il Lucini sia maledettamente verboso. E si à torto e ragione.
Per la lunga esperienza fatta sul suo pensiero, speculando, il Lucini ne conosce ogni elemento della complicata composizione chimica, e così passaggi, variazioni, rinsaldamenti, rafforzamenti per una idea che credevamo esaurita, ci sorprendono: questo gioco a volte non gli riesce, e accusa al Poeta la pesantezza.
E quanti di codesti critici vivono — in silenzio — delle briciole di simili ingegni poderosi alla Gian Pietro Lucini, e s'allargano i polmoni piccioletti alle ventate d'ossigeno che la bocca ampia e le labbra instancabili non sparagnano!...
Ed ò detto anche: essi anno pure ragione, ma in un certo senso, poi che notano un difetto, ma ne ignorano la provenienza.
Il Lucini à troppe cose da dire perché la visione del mondo è troppo vasta in lui e profonda ; multiplo congegno intuitivo non sa spesso rispettare il senso della misura qualitativa, e vien fuori materia greggia, concettuale, che non è poesia.
Sarà magari spontaneità d'ispirazione e non volontà dell'Artista, ma la creazione ne soffre come un inquinamento, per un innesto infecondo deleterio.
La poesia procede per imagini — altro vecchio ciarpame e non mai troppo rimescolato — e perciò la terminologia scientifica non è poesia nè tende a divenirlo.
Ma quale delle canzoni del Lucini io dovrò notarvi se mai voleste correre ad esse svolgendo il volume nuovo ? Forse al ditirambo... e per rimuovere il Desiderio?
Ditirambo vertiginoso: esaltazione della vita e dell'amore, in un'orgia di immagini tumultuarie? O pure alla Primavera e gli Alabardieri ove l'impeto selvaggio è contemperato ad una purezza quattrocentesca di Giovinetta che invita dalla barriera, graziosa e ridente? Oppure alla satanica Eva biondina si espone, ove un trattato d'arte di farsi amare trae lacrime da da occhi dolorosi?
Il Lucini bisogna leggerlo e rileggerlo spesso, integralmente: non si presta alle improvvisazioni dei recensori da gazzette, miserabili parassiti d'una mala pianta prodigiosa di notorietà ad ore fisse; nè ai sgargianti papaveri sonniferi d'Italia — speriamo — vorrà venire la bizzarra idea di accorgersi di Lui: Ahi! povero amico come comincio a piangervi!

tratto da, Contemporanei e Futuristi di G. Manzella Frontini - 1910
                                                        
***
In 8, pp. 360 con 1 tav. n. t. Dedica aut. dell'a. al futurista Manzella Frontini. Il poeta siciliano Manzella Frontini, fu tra i primi aderenti al movimento, schierandosi subito sulle posizioni luciniane (insieme ai suoi conterranei Cardile e De Maria), antiborghesi e antidannunziane. Con il 1912 si conclude questa prima fase con l'esclusione dei luciniani. La solita canzone del melibeo chiude la collaborazione di Lucini con le edizioni di Poesia. Questo testo peraltro è considerato come l'esempio migliore di simbolismo italiano. Salaris, p. 25 - 26. ITA

Altro, archive.org


giovedì 4 settembre 2014

Opere di Gesualdo Manzella Frontini


a sinistra, G. Manzella Frontini

Estratto da « Memorie e Rendiconti » dell'Accademia di Scienze Lettere e Belle Arti degli Zelanti e dei Dafnici di Acireale - Serie III - Volume V - di Vito Finocchiaro - 1985


Il ricordo di Gesualdo Manzella Frontini è ritornato piacevole e grato alla mia mente con lo «speciale» di Gaetano Zappalà, «Don Gesualdo di Trezza», pubblicato su «La Sicilia» del 28 ottobre 1985, nella ricorrenza del centenario della nascita del letterato catanese. Definire letterato il Manzella Frontini è, forse, un poco riduttivo, anche se l'essere cultore della letteratura, e cultore come lo fu lui, è pregio non da poco. Riduttivo, nel suo caso, perché egli non fu soltanto un eccezionale, coltissimo conoscitore e profondo studioso dell'«insieme delle opere, pertinenti ad una cultura o civiltà, affidate alla scrittura», non un semplice fruitore delle opere altrui, ma un soggetto attivo, un protagonista del fatto letterario. Fu, infatti, scrittore, poeta e giornalista raffinatissimo, impegnato, espressivo e fecondo (dei suoi ottant'anni di vita ne dedicò più d'una sessantina allo scrivere!), un nome autentico a livello nazionale ed europeo, se è vero, com'è vero, che lo troviamo con Filippo Tommaso Marinetti tra i fondatori del futurismo, nel 1910 tra i firmatari del «Manifesto dei drammaturghi futuristi» dello stesso Marinetti (è con i poeti Gian Pietro Lucini, Paolo Buzzi, Federico De Maria, Enrico Cavacchioli, Aldo Palazzeschi, Corrado Govoni, Libero Altomare, Luciano Folgore, Giuseppe Carrieri, Mario Bètuda, Enrico Cardile, Armando Mazza, assieme ai pittori Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo, Giacomo Balla, Gino Severini ed al musicista Balilla Pratella) e tra le personalità che figurano nel «Manifesto delle avanguardie letterarie ed artistiche europee» firmato da Guillaume Apollinaire nel 1913 a Parigi (nell'elenco vi sono Marinetti, Picasso, Carrà, Matisse, Palazzeschi, Strawinsky, Papini, Soffici, tanto per fare dei nomi che dicono molto a tutti).
Laureato in lettere e diplomato in filologia, insegnante nei licei classici di Prato, Luino, Cassino e Catania («Cutelli» e «Spedalieri») nonché nel liceo dell'Istituto San Michele di Acireale, Gesualdo Manzella Frontini diresse i giornali romani «L'idea liberale» (1914), «Le fonti» (1918), «Corriere africano» (1930) e collaborò a numerosi giornali e riviste, tra cui «Delta», «Vita nova», «Popolo di Roma», «Anthologie», «Lavoro fascista», «Corriere emiliano», «Ausonia», «Misura», «La rassegna», «Il resto del Carlino», «Novella», «Corriere della sera», «Corriere di Sicilia», «Popolo di Sicilia», «La Sicilia», «L'ora», «Giornale di poesia», «La fiera letteraria» e «Poesia», la rivista di F. T. Marinetti.
Fu autore prolifico e versatile, come si conviene a chi nutre molteplici interessi ed ha il desiderio intenso (direi meglio, figurativamente, la smania) di soddisfarli tutti. Scrisse, infatti, ben ventisei opere (e va da sè che mi riferisco a quelle pubblicate in volumi), spaziando dalla poesia al teatro, dai racconti alla letteratura ed alla retorica, dagli studi critici e dai saggi ai romanzi. Val proprio la pena di elencare i suoi libri (e lo farò in appendice, anche per ricordarne alcuni che oggi sono poco noti), divisi per sezioni, non senza notare che ognuna di queste l'Autore curò non episodicamente ma per lunghi periodi della sua intensa vita, con ampio respiro di continuità, dando corpo a coerenti sequenze temporali, che si avvertono particolarmente nei campi della poesia, della saggistica e della narrativa.
Non è, comunque, questa la sede, per chi, come me, non è un critico letterario né sa portare avanti con autorevolezza disquisizioni in chiave di puro estetismo, per approfondire il discorso su Gesualdo Manzella Frontini, scrittore ed operatore di cultura nel senso più largo dell'accezione. A me preme, invece, parlare della fugace conoscenza personale che ebbi con «don  Gesualdo  di Trezza»  e  dare  testimonianza  diretta  d'una delle sue attività più significative, che senza dubbio resta legata alla condirezione con Mario Scarlata della nuova serie di «Camene», la rivista di lettere, arte e scienza che, forse, resta la migliore del genere che sia stata pubblicata a Catania e tra le notevoli in campo nazionale. Camene qui -



dedica allo zio F. Paolo Frontini

Canzon di Maggio
a G Cesare Balbo, amicamente.

O fiorenti beltà siciliane,
lunghesse le radure
gaie ridenti come le campane
su le romite alture;

o turgidi papaveri carnosi,
fra l'oro del fromento
sbocciati come steli desiosi
e rosseggianti al vento ;

amate, poi che tutto si rinnova
ne la feconda luce;
amate: è maggio ne la veste nova
che la vita conduce.

Le chiome come faci intormentite
vibran possenti odori,
son di rose le carni rifiorite,
e li occhi ànno fulgori.

A me poeta che nel Tempo vissi
-eterno inebriamento-
sembra l'acceso palpitar di bissi
un sogno del ducento.

O la vegnente schiera giovenile
nel sole vespertino,
di porpora vestita in suo gentile
incedere divino !

O forosette, la mia giovinezza
è lirica pagana:
io canterò per voi l' acre dolcezza
de la passione umana.

Io son Diòniso, o mie fanciulle fulgide,
l'eletto del piacere :
voi proverete su le labra turgide
l'ardenza del godere.

Alla mia gioventù prodiga ardente
il sangue succhierete,
fin che ne l'ebre bocche avide e spente
non lenirà la sete.

O forosette, nel mio sangue è un dio
che rinnova la vita:
bevete, bevete il sangue mio
ne la coppa infinita.

Io non so chi mi sia : m' urge le vene
la possanza universa.
O tramonto di rose e di permene,
già l' anima nel Tutto s' è riversa.

Ars Nova settembre 1905 - Catania
G. Manzella Frontini.


"Non sono futurista, caro Lipparini, né classicista, né romantico, né simbolista, né parnassiano, né sincerista, né... il diavolo che mi porti; sono un innamorato, un idolatrata dell'Arte, — questo sì — e cerco d'avvicinarmele, devotamente, per ogni via, e la tento e ne provoco un sorriso — questo si!
Sebbene le dediche del Marinetti e di tutti gli altri ingegnosi e valorosi giovani che  stanno attorno all'audace autore di Mafarka mi solletichino, io non posso consolarmi all'appellativo per il solo fatto di non poterne accettare alcuno.
Che se poi futurista vuol dire rivoluzionario, accoltellatore magari e dinamitardo dei principi di sangue... apollineo, i cattedratici, i corrosi, i polverizzati, i baciapile, i tarpatori di ali, e allora sono il più avanzato dei futuristi, a dispetto marcio della mia laurea in lettere e filosofia. Va bene ?" Contemporanei e futuristi» (1910)




OPERE DI G. MANZELLA FRONTINI
POESIA: 
«Novissima Semi ritmi» (1904),
«Le rosse vergini. Rime pagane»(1905),
«Il prisma dell'anima» (1911?),
«Sul gigli gocce sanguigne»(1920),
«Il mio libro dai campi P.W.» (1949).

RACCONTI: 
«Le lupe» (1906),
«Quando la preda è stretta» (1921).Premio “Il Seminatore”

STUDI CRITICI E SAGGI:
«La Lozana Andaluza» (1910),
«Contemporanei e futuristi» (1910),
«Auro d'Alba» (1927),
«Mario Puccini» (1927),
«Il Santo mediterraneo» (1931).
«Abate» (1932)

TEATRO: 
«L'altro sangue» (1922?),
«Verso le ombre» (1923),
«La madre immortale» (1935).Archivio Storico Luce - Attrice Marcella Albani
Giornale Luce B0485 del 06/1934


LIBRI DI LETTERATURA E DI RETORICA:
«Note di letteratura» (1921),
«Lingua e stile» (1931),
«Idee estetiche e gusto»  (1924).

ROMANZI: 
«L'Uomo che non seppe odiare» (1924),
«Il testamento di Giuda» (1925),
«Pupetta» (1926),
«Circo Barum, naja e sciacalli» (1933), premio “Accademia d'Italia”
«Scale» (1935), premio “Foce”
«Crocifissi alla terra» (1953),
«Sorte» (1961), quest'ultimo con presentazione di Bonaventura Tecchi.

VARIE: 
«Volare» (1927),
«L'eroico imperiale» (1928),
«Italia una e diversa, tutte le regioni» (1923).


***
Dal 1903 al 1965 scrive per La Sicilia, il Corriere dell'Isola, La voce dell'Isola, Orizzonti, Libera parola, Il Tevere, Quadrivio, La Gazzetta delle Arti, Ultimissime, Momento Sera, Le Lettere, Il lavoro Fascista, Tribuna Agricola, La Gazzetta del Sud, Il Resto del Carlino, Pomeriggio, Il Risveglio, Milano Sera.
I due pseudonimi (in sicilia) Eligio Flora e Deodato Perduti.

Collabora alle riviste
1903 Fantasmagoria
1904 La Lettura
1906 Critica ed Arte
1909 Poesia
1915 Imo de Pectore
1920 Rivista delle Signorine
1921/28 Le Fonti
1922 Il Polline
1923 Delta
1925 Polemica
1926 Bibliografia Fascista
1926/27 Le Thyrse
1926/28 Vita Nova
1926/29 L'Arte Fascista
1927 Quaderni Fascisti. Volare.
1930/31 Il Corriere Africano
1932 L'Asceta
1932/33 In Aevum
1938/39 Il Nuovo Stato
1946 Rassegna
1947 Misura
1947/48 Le Arti Belle
1947/48 Camene
1950/53 Doctrina
1955 Rassegna
1956/62 Catania
1957 Realtà
1957/60 Battaglia letteraria
1959 La Lucerna
1960 Vie Mediterranee.


dedica allo zio F. Paolo Frontini


MANZELLA FRONTINI Gesualdo - Poeta, narratore, giornalista (Catania 1885-1965). Allievo di Luigi Capuana, laureatosi in lettere (1906) e diplomatosi in filologia (1908), insegnò nei licei classici di Prato, Luino, Cassino, Lucera e nei licei catanesi Cutelli e Spedalieri. Tra i maggiori rappresentanti del futurismo in Sicilia, nel 1907 indirizzò un manifesto, precorritore di quello marinettiano del 1909, « alla gioventù contemporanea e agli artisti giovani » definiti « la vita e il futuro, oltre ogni teoria per un fine di rinnovamento ».



ALTRO








lunedì 18 agosto 2014

La Rivista Popolare ed. 1905 - a Giuseppe Mazzini


"Il culto d’un popolo verso i grandi suoi morti è senza dubbio indizio della sua civiltà; ma, quando si pensi che molti di quei magnanimi a cui s’innalzano monumenti furono perseguitati e calunniati e odiati in tutte le maniere mentre durarono in vita, vien quasi voglia di conchiudere che molte che paiono manifestazioni di animi generosi non sono altro che misere ipocrisie, e gran parte di ciò che diciamo civiltà non è che industria d’inganni, onde un popolo si studia apparire quel che non è, non solo al giudizio degli altri ma di sè stesso.
Sarebbe perciò desiderabile, a decoro di una gente e ad onor vero dei grandi trapassati, che non ci si affaccendasse troppo a commemorare, a statuare, a monumentare coloro che furono grandi, e si guardasse invece di conformare i pensieri e le azioni nostre a quelle dei magnanimi, dico di coloro che tali furono veramente, non di tanti che prima e dopo morte usurparono tal nome, e fama e gloria ebbero di grandi non per fatti [p. 6]propri, ma per capriccio di fortuna che li pose in alto, e per adulazione di servi, che più adorano la fortuna che non rispettino la virtù.
Questa sarebbe da vero opera di nazione civile; ma i popoli, quantunque si dicano civili, seguiteranno probabilmente a far pompa di morti per coprire le miserie dei vivi: chè, inalzar marmi e bronzi costa soltanto danari, quando l’ingegnarsi di imitare i grandi costa tali sacrifici che, tranne pochissimi, nessuno è capace, non che di sostenere, d’immaginare." M.R.




MAZZINI
Dall' Atlantide  di Mario Rapisardi - Canto  undecimo

Sei tu, sei tu, con subito e profondo 
Estro d'entusiasmo Edea favella: 
Ben t'affiguro al mite aspetto, al fondo 
Sguardo, alla fronte pensierosa e bella ! 
O intemerato cavalier del mondo, 
Ben principia da te l' età novella, 
Da te, dal cui presago alto pensiero 
Raggiò, qual sole dall' oceano, il Vero !

Quando più pura e più sublime Idea 
Più puro cor, mente più alta accese ? 
Quando in età più tenebrosa e rea 
Raggio più bel di libertà discese ? 
Quando mai l'ala del Pensier che crea 
Finse più mite eroe, più sante imprese ? 
Quando sdegno che atterra, amor che molce 
Andar congiunti in armonia più dolce?

Dolce armonia, che nel tuo bronzeo petto 
Di vaticinj e di dolor nutrita, 
Dalle voci cresciuta, onde un eletto 
Stuolo agitò la tenebra abborrita, 
Alimentata dal perenne affetto, 
Per cui sì novi eroi dieder la vita, 
Resa divina dal sospir di tante 
Madri e dall' ira e dall'amor di Dante,

Nel tuo grido proruppe, e all'aure prave, 
Onda oscura intristia l' itala pianta, 
Diffuse a un tratto un fremito soave, 
Una speranza inusitata e santa; 
Dai pigri petti, dalle menti ignava 
Fugò la nebbia e la negghienza tanta, 
E come squillo di celesti trombe, 
Svegliò la terra ed animò le tombe.

Sorsero sette re, pallulàr sette
Venali turbe al mal d'Italia armate, 
E industri insidie e perfide vendette 
Fra l'erbe ordir dal pianto tuo bagnate; 
Il demonio dell'Odio e delle Sette 
Ti saettò con Farmi avvelenate; 
Ma il vermiglio Guerriero, un contro a tutti, 
Sguainò la sua spada e fùr distrutti.

Salve, o dell' Ideal nitido acciaro, 
Raggio di libertà puro ed ardente, 
Celere qual pensier, come Sol chiaro, 
Gloria della ridesta itala gente ! 
Per te dall' ombre dell' esilio amaro 
Rifiammeggiò del Ligure la mente; 
Per te l'Idea, che il cor gli arse perenne, 
Nella destra d'un dio fulmin divenne !




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La Rivista Popolare ed. 1905 n. 11/12