Francesco Paolo Frontini (Catania, 6 agosto 1860 – Catania, 26 luglio 1939) è stato un compositore, musicologo e direttore d'orchestra italiano.
«Bisogna far conoscere interamente la vera, la grande anima della nostra terra. La responsabilità maggiore di questa missione dobbiamo sentirla noi musicisti perchè soltanto nella musica e nel canto noi siciliani sappiamo stemperare il nostro vero sentimento. Ricordatelo». F.P. Frontini
Dedicato al mio bisnonno F. P. Frontini, Maestro di vita. Pietro Rizzo
"Queste pagine non sono nè una prefazione, nè una biografia di Vincenzo Giorndano-Zocchi: contengono solo qualche osservazione, qualche appunto, o ricordo, così come viene, senza nesso e misura: non parole abburattate, non vezzeggiamenti di costrutti, non periodi fatti al tornio".
curioso romanzo filosofico-autobiografico, improntato ad amari accenti di pessimismo, pubblicato per la prima volta, postumo, nel 1877 (l'autore si era spento di malaria poco tempo prima). Vincenzo Giordano Zocchi (Napoli, 1842-ivi, 1877) fu scrittore e giornalista affine agli Scapigliati, nonché professore di filosofia nel Liceo di Catanzaro. Collaboratore di numerosi quotidiani e periodici, è oggi noto soprattutto per il presente libro. Cfr. Giuseppe Aurelio Costanzo, Vincenzo Giordano Zocchi, Napoli, 1883.
«La storia della letteratura è rettilinea: chi non va sulla via maestra sarà falciato come una mala erbaccia. Chi si ricorderà in una storia letteraria futura di coloro che, vissuti al tempo del Carducci, non furono suoi alunni? Chi sono oggi grandi e gloriosi poeti se non i giovinetti carducciani d’una volta? E qual potenza hanno sulla nostra vita e sulla nostra arte Mario Rapisardi con i suoi cento, Arturo Graf con i suoi mille?» (Rivista “Hermes”, Prefazione, 1° gennaio 1904)
Gli
Arabi furono in Sicilia nei secoli IX e X.
Amarono tanto questa magica terra, che la considerarono la loro perla
più preziosa, la perla del Mediterraneo. Per essi la Sicilia
divenne il giardino più fiorente e Palermo una delle capitali più
belle di quel tempo, e anche molto oltre. E cantarono questa loro
terra: una terra da non dimenticare! E quando gli eventi storici li
costrinsero ad abbandonarla, piansero le loro lacrime più cocenti e
amare. Per l'Editore Mondadori, tra i Poeti dello Specchio, è
apparso un bel volume dal titolo seducente:
impressioni
di Vittorio Morello
POETI
ARABI DI SICILIA. Vi sono i versi più belli mai concepiti dagli
Arabi, nella versione di poeti di grande rilievo come Mario Luzi,
Valerio Magrelli, Edoardo Sanguineti, Patrizia Valduga, Antonio
Porta, Maurizio Cucchi, Giovanni Raboni, Toti Scialoja, Giovanni
Giudici, Jolanda Insana, Cesare Viviani, Elio Pagliarani, Giorgio
Manganelli, Emilio Isgrò, Biancamaria Frabotta, Alfredo Giuliani,
Franco Fortini, Ignazio Buttitta, Andrea Zanzotto. Gli Arabi si
trovarono ad ispirarsi in un ambiente saturo di cultura greca e vi
crearono le loro liriche più altisonanti: era la fiamma della loro
anima mediterranea, ebbra di sole e di mare, di terre rigogliose, che
cantava per l'eternità. È bene tenere presente che l'influsso di
chiaro vibrante sapore arabo si innesta su una forte tradizione
greco-latina, creando una particolare sonorità di linguaggio, che si
è poi riflessa nel mondo cortese dei musici, cantori e giullari
dell'epoca normanna e di quelle successive. Penso che i poeti
italiani, incaricati di curare le versioni dai testi arabi, abbiano
rispettato il più possibile la particolare sonorità sopraccennata,
cercando con cura e amore le parole più adatte ad esprimere il
pensiero dei poeti arabi di Sicilia. Ora i poeti arabi del volume,
con a fianco i curatori delle versioni, in brevi selezioni. Emerge da
testi e versioni la fiamma mediterranea.
MUHAMMAD
IBN AL-QUTTÀ (Maurizio
Cucchi) "Aiuta
il liquore e ti dà gioia, / cessa dunque di cavalcare / i giovani e
forti cammelli. / Non versare più
lacrime / su un luogo di bivacco / già ormai distrutto..(Valerio
Magrelli) "Se
è tempo di delizie, ne approfitto, / poichè lo stesso uomo che si
sveglia al mattino / forse non giungerà fino alla sera."
"E
se non la raggiungo in questa vita / sarò presso di lei nel buio
della tomba."
IBN
AT-TUBI (Valerio
Magrelli) "La
tua bellezza
iscrive due parentesi / sulle tue guance, e sulle sopracciglia / due
ondulate 'enne' ."
"Così
questa scrittura / reca un senso sottile / e dona agli occhi più
concentrazione."
(Toti Scialoja) "Nella
sua bocca spiccano perle / chiuse nel cerchio della corniola."
"Acuminate
lame di ciglia / sono una spada fine a due tagli."
"Un
solo bacio su quella bocca / apre il sentiero della paura."
IBN
AL-KHYYAT
(Maurizio Cucchi) "Benchè
sia io ormai giunto a età matura / non puoi desiderare che
dimentichi. / Sono chi hai conosciuto / come tuo primo amore."
"Per
il mio scopo viaggio nella notte / come di notte viaggiano le stelle
/ e tra la gente c'è chi si addormenta / e chi viaggia nel
mantello."
AT-TAMINI
(Giovanni
Raboni) "Non
è una casa per me il deserto / ma è nel deserto che l'amato giace."
"Dolce
mi è in te l'amara notte / quanto amara mi è in te la dolce luce."
MUHAMMAD
B. QASIM B. ZAYD (Franco
Fortini) "E
tu che hai nella bocca le dolcezze / uno dei tuoi malati ti domanda,
/ che dalla bocca tua ne beva un sorso."
"Quanta
guerra per te, notte su notte, / e quanti assalti disperati! Quanti /
i desideri di te, gli sgomenti..."
MAGBAR
B. MAGBAR (Mario
Luzi) "La
separazione è dura a sopportare / lascialo andare con il ricordo
del commiato / e promettigli ciò che lo farebbe vivere / un delicato
vincolo un incontro / o sembianza perfetta fra le lune / e splendore
/ di quel che sotto il velo si nasconde..."
ABÙ
ALÌ AL-HUSAYN (Valerio
Magrelli) "Forse
un calice conico ricolmo di bevanda / brilla come la luce del
mattino."
"Non
credere, la lacrima dell'occhio / ha la stessa sostanza del
mio sangue, / è solo il mio sospiro che la fa uscire fuori."
ABÙ
L-QASIM'ABD AR-RAHMAN
(Valerio Magrelli) "Oh,
quanto è bello un lampo che
balena / sopra la terra! Quanto è dolce una visione / che visita la
notte per l'unione / tra noi due."
ABÙ
ABD ALLAH B. SADUS (Toti
Scialoja) "Interminabile
notte fino a parere eterna / senza speranza dell'alba nè di luce per
sempre..."
ABD
AL-AZIZ AL-BALLANUBI (Valerio
Magrelli) "Ti
avevo custodito dentro la mia pupilla, / ma quando l'occhio pianse
volli metterti / vicino a Dio, nel cuore del mio cuore."
ALÌ
AL-BALLANUBI (Giovanni
Giudici) "Al
tramonto bevemmo il sole d'un bel vino / che portò la sua luce al
sole dell'aurora..."
(Jolanda Insana) "La
spada del suo sguardo trapassò il mio cuore / e il sangue cola e
rosseggia sul suo viso."
(Valerio Magrelli) "Gioisci
delle arance che raccogli: / dalla loro presenza viene gioia."
(Patrizia Valduga) "Del
mio turbante coronandola / senza velo la guardai."
"E
le intessei drappi preziosi / e tutta la drappeggiai."
"Ricamai
segni ma il presagio / temetti e li cancellai."
"E
fummo preda delle coppe, / svanì il liuto più che mai."
(Cesare Viviani) "L'amore
non è che un sentiero rischioso, / un laccio in cui vi si scivola."
"e
in quest'ombra la giovane minuta gazzella / cattura il leone della
foresta."
I
poeti arabi della Sicilia amano l'amore, amano la vita, amano la
terra, il mare, il cielo, amano la Sicilia. Amano la loro magica
terra. Chiudiamo con due versioni in vernacolo siciliano:
IBN
HAMDIS (Ignazio
Buttitta) "l'aurora
porta lustru nno scuru / comu un mureddu sudatu da cursa..."
"suspiru
versu la me terra..."
(Emilio Isgrò) "Ah,
mari, mari tintu, / è tuttu a li to spaddi 'u paradisu."
«Io sono partigiano del buon senso, Nè al becero nè al Re fo di cappello; Non soffro dittatori, e quando penso Mi piace di pensar col mio cervello. Rido del volgo ignobile e melenso Che grida: viva a questi e morte a quello! Scenda dal trono o sorga dalla via Sono nemico d'ogni tirannia.»Antonio Ghislanzoni
Quando
finalmente qualcuno si deciderà a scrivere un libro di storia
della letteratura capace
di non uccidere di noia l’anima degli studenti, mostrando il volto
inquieto di una scrittura nata nelle trincee, nelle fabbriche in
agitazione, nei bassifondi, sulle barricate, fra i fumi maleodoranti
della suburra e le esalazioni allucinate dell’assenzio? Anche
perché, parliamoci chiaro, non solo per gli studenti ma anche per
tanti professori e sedicenti esperti i nomi di Ferdinando Fontana,
Ada Negri, Mario Rapisardi sono quelli di illustri sconosciuti.
Eppure basterebbe dare una letta alle biografie di questi poeti
maledetti dell’Italia post-risorgimentale (dei famosi come degli
sconosciuti) per comprendere come si abbia a che fare con uomini e
artisti letteralmente immersi nelle problematiche, nelle battaglie e
nei sentimenti diffusi del loro tempo. Troviamo così uno Stanislao
Alberici-Giannini, un Eliodoro Lombardi, un Domenico Milelli, un
Luigi Morandi, un Vittor Luigi Paladini che vengono dritti dritti
dalla militanza garibaldina. E se Ulisse Barbieri conobbe il carcere
a 16 anni per aver affisso manifesti patriottici, Pompeo Bettini,
Pietro Gori, Carlo Monticelli e lo stesso Turati saranno in prima
fila nelle agitazioni socialiste, sindacali e anarchiche. Giovanni
Antonelli, dal canto suo, farà per tutta la vita la spola tra
manicomi e carceri, mentre la “poetessa del quarto stato” Ada
Negri, dopo una vita a cantare gli umili, diventerà la prima donna
membro dell’Accademia d’Italia per volere dell’amico Benito
Mussolini.
Vite border
line di
contestatori e libertari, fratelli maggiori dei piromani che pochi
anni dopo daranno fuoco all’italietta borghese. È da questi
fermenti, infatti, che si dipanerà il filo rosso
dell’altro Novecento italiano,
quello che vedrà come protagonisti i bohemien dimenticati
della scapigliatura, gli intelletti eretici de La
Voce e
di Lacerba,
gli alfieri del sacro teppismo anarcosindacalista, gli eroi
dell’arditismo, i poeti incendiari del futurismo e su su fino a
contaminare almeno in parte un certo “socialismo tricolore" riemerso qua e là nel dopoguerra. Punk
di un secolo fa, sessantottini ante
litteram (ma
più belli e più autentici), questi poeti maledetti anticipano
l’atmosfera elettrica di Fiume e non sono altro che i padri di
quegli Arditi così rievocati da Italo Balbo: «Io – disse un
giorno il grande aviatore – non ero in sostanza, nel 1919-1920, che
uno dei tanti: uno dei quattro milioni di reduci delle trincee… Un
figlio del secolo che ci aveva fatto tutti democratici anticlericali
e repubblicaneggianti: antiaustriaci e irredentisti esasperati in
odio all’Asburgo tiranno, bigotto e forcaiolo».
Avventurieri,
guasconi e scapestrati, figli di un’Italia ribollente di vita che
non sempre ha trovato adeguato spazio sui libri di storia. Un’Italia
che, mutatis
mutandis,
forse esiste ancora e che scalpita nelle pieghe della cosiddetta
“società civile” che tira avanti nonostante una politica troppo
spesso parruccona e ingessata.
E i balbettii imbarazzati che
accompagnano gli scialbi 150° dell’unità, che invece poteva
essere l’occasione per una svolta simbolica, lo confermano. Lo
stesso centenario del futurismo è apparso ai più come l’ennesima
occasione sprecata per ridare all’Italia un’avanguardia attuale,
uno spirito nuovo e creativo di cui
pure avremmo disperato bisogno.
Ma fuori dalle celebrazioni ufficiali c’è chi va oltre e ripesca –
stavolta però con l’occhio realmente rivolto all’oggi e al
domani – anche i fratelli maggiori di Marinetti & c. e sodali.
Sono i poeti dimenticati di Iannaccone. Sono gli scapigliati, di cui
si è potuto dire: «Nell’arte come nella vita, questi anomali
personaggi fanno loro il mito di un’esistenza irregolare e
dissipata come rifiuto radicale delle convenzioni correnti e delle
norme morali. Sono gli scapigliati. Alcolisti incalliti, musicisti,
poeti, pittori, combattenti, giornalisti e politici: questo il volto
rivoluzionario del nuovo genio artista. Cantano il bene e il male, il
bello e l’orrendo, declamano virtù e vizi, raccontano sogni e
realtà». E ancora, parlando di Emilio Praga: «Questo è il trillo
della delusione di un uomo in miseria distrutto dall’alcool suo
compagno di viaggio; un antico Keruac un anarchico integrale, insofferente alla morale, alla religione e
alla retorica; sarà lui il primo a cantare la “morte
di Dio”
ossia di tutte quelle costruzioni razionali e formali che così come
nella poesia anche nella storia del mondo hanno messo le catene
all’uomo ormai incapace di travalicare i limiti dell’esistenza
per assurgere alla vera conoscenza».
La
scapigliatura come modello esistenziale trasgressivo per la gioventù del terzo millennio?
In
Francia il collettivo artistico-politico dedito a provocazioni
mediatiche e politicamente scorrette che ha per nome Zentropa non
si è forse dato come slogan «Amour,
absinthe, revolution»,
dove “absinthe”
sta appunto per “assenzio”? Torna in mente il Carme comunardo di
Domenico Milelli: «Ancor non seppero gli irti filosofi / noi pazzi,
o Assenzio, sotto il tuo labaro / schierati in giovani falangi
indomite / darem battaglia». Entusiasmo ingenuo e ribellismo
adolescenziale? Forse. Ma ne avremmo anche oggi un gran bisogno.
Anche
se poi non ci ha messo tanto a mettere i puntini sulle “i” quando
il nuovo Stato non ha mantenute quelle promesse di rinnovamento che,
insieme all’aspirazione unitaria, aveva mosso anime e corpi al
seguito del “generale” Garibaldi… (tratto da un art. di A. Sciacca)
***
Lettera indirizzata a Giuseppe Lipparini il 7 luglio 1911, che riporto: “ Credetemi, caro Lipparini, noi abbiamo inventato il “futurismo” per la gravezza paludosa dell'aria che ci sta attorno e ci corrompe e ci pervade entro le vene il sangue e le carni ed il cervello; abbiamo inventato il “futurismo” per bisogno ineffabile ed impellente di nuovo, ci siamo ribellati a tutto e a tutti perché volevamo scorgere, dopo l'empietà dell'incomposta distruzione, qualcosa la quale non fosse il putrido presente incolore, astioso, convinti magari di non aver niente da dire, se non parole di ira, accenti rotti di sdegno, sconvenienze; ma era fede profonda la nostra, ed ora si è capito anche dalle persone serie, era speranza d'invenire fra i rottami il segno vivo di ciò che volevamo.
E se non esistesse bisognerebbe crearlo un movimento simile.. e chiamatelo se più vi piace anarchismo”. Gesualdo Manzella Frontini