Francesco Paolo Frontini (Catania, 6 agosto 1860 – Catania, 26 luglio 1939) è stato un compositore, musicologo e direttore d'orchestra italiano.

«Bisogna far conoscere interamente la vera, la grande anima della nostra terra.
La responsabilità maggiore di questa missione dobbiamo sentirla noi musicisti perchè soltanto nella musica e nel canto noi siciliani sappiamo stemperare il nostro vero sentimento. Ricordatelo». F.P. Frontini

Dedicato al mio bisnonno F. P. Frontini, Maestro di vita. Pietro Rizzo

domenica 27 settembre 2015

Vincenzo Giordano-Zocchi " Memorie di un ebete" - 1842/1877

"Queste pagine non sono nè una prefazione, nè una biografia di Vincenzo Giorndano-Zocchi: contengono solo qualche osservazione, qualche appunto, o ricordo, così come viene, senza nesso e misura: non parole abburattate, non vezzeggiamenti di costrutti, non periodi fatti al tornio".



 "Memorie di un ebete" - PDF1 - PDF2

 Aurelio Costanzo - Bricciche letterarie, Catania, Giannotta, 1904, da pp. 3/51 (col titolo Un eroe della soffitta).




























 Memorie di un ebete - PDF1 - PDF2
curioso romanzo filosofico-autobiografico, improntato ad amari accenti di pessimismo, pubblicato per la prima volta, postumo, nel 1877 (l'autore si era spento di malaria poco tempo prima). Vincenzo Giordano Zocchi (Napoli, 1842-ivi, 1877) fu scrittore e giornalista affine agli Scapigliati, nonché professore di filosofia nel Liceo di Catanzaro. Collaboratore di numerosi quotidiani e periodici, è oggi noto soprattutto per il presente libro. Cfr. Giuseppe Aurelio Costanzo, Vincenzo Giordano Zocchi, Napoli, 1883.


venerdì 19 giugno 2015

IL CASO RAPISARDI di Giuseppe Giarrizzo - 1987


«La storia della letteratura è rettilinea: chi non va sulla via maestra sarà falciato come una mala erbaccia. Chi si ricorderà in una storia letteraria futura di coloro che, vissuti al tempo del Carducci, non furono suoi alunni? Chi sono oggi grandi e gloriosi poeti se non i giovinetti carducciani d’una volta? E qual potenza hanno sulla nostra vita e sulla nostra arte Mario Rapisardi con i suoi cento, Arturo Graf con i suoi mille?» 
                (Rivista “Hermes”, Prefazione, 1° gennaio 1904)


 
disegno di Antonino Gandolfo 



IL CASO RAPISARDI

1987

qui PDF

martedì 2 giugno 2015

"Sicilia perla del mediterraneo" - Poeti arabi di Sicilia

Gli Arabi furono in Sicilia nei secoli IX e X. Amarono tanto questa magica terra, che la considerarono la loro perla più pre­ziosa, la perla del Mediterraneo. Per essi la Sicilia divenne il giardino più fiorente e Palermo una delle capitali più belle di quel tempo, e anche molto oltre. E cantarono questa loro terra: una terra da non dimenticare! E quando gli eventi storici li costrinsero ad abbandonarla, piansero le loro lacrime più cocenti e amare. Per l'Editore Mondadori, tra i Poeti dello Specchio, è apparso un bel volume dal titolo seducente: 



impressioni di Vittorio Morello 
POETI ARABI DI SICILIA. Vi sono i versi più belli mai concepiti dagli Arabi, nella versione di poeti di grande rilievo come Mario Luzi, Valerio Magrelli, Edoardo Sanguineti, Patrizia Valduga, Antonio Porta, Maurizio Cucchi, Giovanni Raboni, Toti Scialoja, Giovanni Giudici, Jolanda Insana, Cesare Viviani, Elio Pagliarani, Giorgio Manganelli, Emilio Isgrò, Biancamaria Frabotta, Alfredo Giuliani, Franco For­tini, Ignazio Buttitta, Andrea Zanzotto. Gli Arabi si trovarono ad ispirarsi in un ambiente saturo di cultura greca e vi crearono le loro liriche più altisonanti: era la fiamma della loro anima mediterranea, ebbra di sole e di mare, di terre rigogliose, che cantava per l'eternità. È bene tenere presente che l'influsso di chiaro vibrante sapore arabo si innesta su una forte tradizione greco-latina, creando una particolare sonorità di linguaggio, che si è poi riflessa nel mondo cortese dei musici, cantori e giullari dell'epoca normanna e di quelle successive. Penso che i poeti italiani, incaricati di curare le versioni dai testi arabi, abbiano rispettato il più possibile la particolare sonorità so­praccennata, cercando con cura e amore le parole più adatte ad esprimere il pensiero dei poeti arabi di Sicilia. Ora i poeti arabi del volume, con a fianco i curatori delle versioni, in brevi selezioni. Emerge da testi e versioni la fiamma mediterranea. 

MUHAMMAD IBN AL-QUTTÀ (Maurizio Cucchi) "Aiuta il liquore e ti dà gioia, / cessa dunque di cavalcare / i giovani e forti cammelli. / Non versare più lacrime / su un luogo di bivacco / già ormai distrutto..(Valerio Magrelli) "Se è tempo di delizie, ne approfitto, / poichè lo stesso uomo che si sveglia al mattino / forse non giungerà fino alla sera." "E se non la raggiungo in questa vita / sarò presso di lei nel buio della tomba." 

IBN AT-TUBI (Valerio Magrelli) "La tua bellezza iscrive due parentesi / sulle tue guance, e sulle sopracciglia / due ondulate 'enne' ." "Così questa scrittura / reca un senso sottile / e dona agli occhi più concentrazione." (Toti Scialoja) "Nella sua bocca spiccano perle / chiuse nel cerchio della corniola." "Acuminate lame di ciglia / sono una spada fine a due tagli." "Un solo bacio su quella bocca / apre il sentiero della paura." 

IBN AL-KHYYAT (Maurizio Cucchi) "Benchè sia io ormai giunto a età matura / non puoi desiderare che dimentichi. / Sono chi hai conosciuto / come tuo primo amore." "Per il mio scopo viaggio nella notte / come di notte viaggiano le stelle / e tra la gente c'è chi si addormenta / e chi viaggia nel mantello." 

AT-TAMINI (Giovanni Raboni) "Non è una casa per me il deserto / ma è nel deserto che l'amato giace." "Dolce mi è in te l'amara notte / quanto amara mi è in te la dolce luce." 

MUHAMMAD B. QASIM B. ZAYD (Franco Fortini) "E tu che hai nella bocca le dolcezze / uno dei tuoi malati ti domanda, / che dalla bocca tua ne beva un sorso." "Quanta guerra per te, notte su notte, / e quanti assalti disperati! Quanti / i desideri di te, gli sgomenti..." 

MAGBAR B. MAGBAR (Mario Luzi) "La separazione è dura a sopportare / lascialo andare con il ricor­do del commiato / e promettigli ciò che lo farebbe vivere / un delicato vincolo un incontro / o sembianza perfetta fra le lune / e splendore / di quel che sotto il velo si nasconde..." 

ABÙ ALÌ AL-HUSAYN (Valerio Magrelli) "Forse un calice conico ricolmo di bevanda / brilla come la luce del mattino." "Non credere, la lacrima dell'occhio / ha la stessa sostanza del mio sangue, / è solo il mio sospiro che la fa uscire fuori."

ABÙ L-QASIM'ABD AR-RAHMAN (Valerio Magrelli) "Oh, quanto è bello un lampo che balena / sopra la terra! Quanto è dolce una visione / che visita la notte per l'unione / tra noi due."

ABÙ ABD ALLAH B. SADUS (Toti Scialoja) "Interminabile notte fino a parere eterna / senza speranza dell'alba nè di luce per sempre..." 

ABD AL-AZIZ AL-BALLANUBI (Valerio Magrelli) "Ti avevo custodito dentro la mia pupilla, / ma quando l'occhio pianse volli metterti / vicino a Dio, nel cuore del mio cuore." 

ALÌ AL-BALLANUBI (Giovanni Giudici) "Al tramonto bevemmo il sole d'un bel vino / che portò la sua luce al sole dell'aurora..."
 (Jolanda Insana) "La spada del suo sguardo trapassò il mio cuore / e il sangue cola e rosseggia sul suo viso."
 (Valerio Magrelli) "Gioisci delle arance che raccogli: / dalla loro presenza viene gioia." 
 (Patrizia Valduga) "Del mio turbante coronandola / senza velo la guardai." "E le intessei drappi preziosi / e tutta la drappeggiai." "Ricamai segni ma il presagio / temetti e li cancellai." "E fummo preda delle coppe, / svanì il liuto più che mai." 
 (Cesare Viviani) "L'amore non è che un sentiero rischioso, / un laccio in cui vi si scivola." "e in quest'ombra la giovane minuta gazzella / cattura il leone della foresta."
 
I poeti arabi della Sicilia amano l'amore, amano la vita, amano la terra, il mare, il cielo, amano la Sicilia. Amano la loro magica terra. Chiudiamo con due versioni in vernacolo siciliano:
IBN HAMDIS (Ignazio Buttitta) "l'aurora porta lustru nno scuru / comu un mureddu sudatu da cursa..." "suspiru versu la me terra..." 
(Emilio Isgrò) "Ah, mari, mari tintu, / è tuttu a li to spaddi 'u paradisu." 
Sicilia, Sicilia, la perla del Mediterraneo! 
 

martedì 28 aprile 2015

Scapigliati e Futuristi uniti dal "filo d'Arianna"

«Io sono partigiano del buon senso,
Nè al becero nè al Re fo di cappello;
Non soffro dittatori, e quando penso
Mi piace di pensar col mio cervello.
Rido del volgo ignobile e melenso
Che grida: viva a questi e morte a quello!
Scenda dal trono o sorga dalla via
Sono nemico d'ogni tirannia.» Antonio Ghislanzoni





Quando finalmente qualcuno si deciderà a scrivere un libro di storia della  letteratura capace di non uccidere di noia l’anima degli studenti, mostrando il volto inquieto di una scrittura nata nelle trincee, nelle fabbriche in agitazione, nei bassifondi, sulle barricate, fra i fumi maleodoranti della suburra e le esalazioni allucinate dell’assenzio? Anche perché, parliamoci chiaro, non solo per gli studenti ma anche per tanti professori e sedicenti esperti i nomi di Ferdinando Fontana, Ada Negri, Mario Rapisardi sono quelli di illustri sconosciuti. Eppure basterebbe dare una letta alle biografie di questi poeti maledetti dell’Italia post-risorgimentale (dei famosi come degli sconosciuti) per comprendere come si abbia a che fare con uomini e artisti letteralmente immersi nelle problematiche, nelle battaglie e nei sentimenti diffusi del loro tempo. Troviamo così uno Stanislao Alberici-Giannini, un Eliodoro Lombardi, un Domenico Milelli, un Luigi Morandi, un Vittor Luigi Paladini che vengono dritti dritti dalla militanza garibaldina. E se Ulisse Barbieri conobbe il carcere a 16 anni per aver affisso manifesti patriottici, Pompeo Bettini, Pietro Gori, Carlo Monticelli e lo stesso Turati saranno in prima fila nelle agitazioni socialiste, sindacali e anarchiche. Giovanni Antonelli, dal canto suo, farà per tutta la vita la spola tra manicomi e carceri, mentre la “poetessa del quarto stato” Ada Negri, dopo una vita a cantare gli umili, diventerà la prima donna membro dell’Accademia d’Italia per volere dell’amico Benito Mussolini.


Vite border line di contestatori e libertari, fratelli maggiori dei piromani che pochi anni dopo daranno fuoco all’italietta borghese. È da questi fermenti, infatti, che si dipanerà il filo rosso dell’altro  Novecento italiano, quello che vedrà come protagonisti i bohemien dimenticati della scapigliatura, gli intelletti eretici de La Voce e di Lacerba, gli alfieri del sacro teppismo anarcosindacalista, gli eroi dell’arditismo, i poeti incendiari del futurismo e su su fino a contaminare almeno in parte un certo “socialismo tricolore" riemerso qua e là nel dopoguerra. Punk di un secolo fa, sessantottini ante litteram (ma più belli e più autentici), questi poeti maledetti anticipano l’atmosfera elettrica di Fiume e non sono altro che i padri di quegli Arditi così rievocati da Italo Balbo: «Io – disse un giorno il grande aviatore – non ero in sostanza, nel 1919-1920, che uno dei tanti: uno dei quattro milioni di reduci delle trincee… Un figlio del secolo che ci aveva fatto tutti democratici anticlericali e repubblicaneggianti: antiaustriaci e irredentisti esasperati in odio all’Asburgo tiranno, bigotto e forcaiolo».

Avventurieri, guasconi e scapestrati, figli di un’Italia ribollente di vita che non sempre ha trovato adeguato spazio sui libri di storia. Un’Italia che, mutatis mutandis, forse esiste ancora e che scalpita nelle pieghe della cosiddetta “società civile” che tira avanti nonostante una politica troppo spesso parruccona e ingessata. 

E i balbettii imbarazzati che accompagnano gli scialbi 150° dell’unità, che invece poteva essere l’occasione per una svolta simbolica, lo confermano. Lo stesso centenario del futurismo è apparso ai più come l’ennesima occasione sprecata per ridare all’Italia un’avanguardia attuale, uno spirito nuovo e creativo di cui
pure avremmo disperato bisogno. Ma fuori dalle celebrazioni ufficiali c’è chi va oltre e ripesca – stavolta però con l’occhio realmente rivolto all’oggi e al domani – anche i fratelli maggiori di Marinetti & c. e sodali. Sono i poeti dimenticati di Iannaccone. Sono gli scapigliati, di cui si è potuto dire: «Nell’arte come nella vita, questi anomali personaggi fanno loro il mito di un’esistenza irregolare e dissipata come rifiuto radicale delle convenzioni correnti e delle norme morali. Sono gli scapigliati. Alcolisti incalliti, musicisti, poeti, pittori, combattenti, giornalisti e politici: questo il volto rivoluzionario del nuovo genio artista. Cantano il bene e il male, il bello e l’orrendo, declamano virtù e vizi, raccontano sogni e realtà». E ancora, parlando di Emilio Praga: «Questo è il trillo della delusione di un uomo in miseria distrutto dall’alcool suo compagno di viaggio; un antico Keruac un anarchico integrale, insofferente alla morale, alla religione e alla retorica; sarà lui il primo a cantare la “morte di Dio” ossia di tutte quelle costruzioni razionali e formali che così come nella poesia anche nella storia del mondo hanno messo le catene all’uomo ormai incapace di travalicare i limiti dell’esistenza per assurgere alla vera conoscenza».


La scapigliatura come modello esistenziale trasgressivo per la gioventù del terzo millennio?

In Francia il collettivo artistico-politico dedito a provocazioni mediatiche e politicamente scorrette che ha per nome Zentropa non si è forse dato come slogan «Amour, absinthe, revolution», dove “absinthe” sta appunto per “assenzio”? Torna in mente il Carme comunardo di Domenico Milelli: «Ancor non seppero gli irti filosofi / noi pazzi, o Assenzio, sotto il tuo labaro / schierati in giovani falangi indomite / darem battaglia». Entusiasmo ingenuo e ribellismo adolescenziale? Forse. Ma ne avremmo anche oggi un gran bisogno.
Anche se poi non ci ha messo tanto a mettere i puntini sulle “i” quando il nuovo Stato non ha mantenute quelle promesse di rinnovamento che, insieme all’aspirazione unitaria, aveva mosso anime e corpi al seguito del “generale” Garibaldi… (tratto da un art. di A. Sciacca)
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Lettera indirizzata a Giuseppe Lipparini il 7 luglio 1911, che riporto: “ Credetemi, caro Lipparini, noi abbiamo inventato il “futurismo” per la gravezza paludosa dell'aria che ci sta attorno e ci corrompe e ci pervade entro le vene il sangue e le carni ed il cervello; abbiamo inventato il “futurismo” per bisogno ineffabile ed impellente di nuovo, ci siamo ribellati a tutto e a tutti perché volevamo scorgere, dopo l'empietà dell'incomposta distruzione, qualcosa la quale non fosse il putrido presente incolore, astioso, convinti magari di non aver niente da dire, se non parole di ira, accenti rotti di sdegno, sconvenienze; ma era fede profonda la nostra, ed ora si è capito anche dalle persone serie, era speranza d'invenire fra i rottami il segno vivo di ciò che volevamo.
E se non esistesse bisognerebbe crearlo un movimento simile.. e chiamatelo se più vi piace anarchismo”. Gesualdo Manzella Frontini